Tempo di lettura: 2 minuti

Vivi ma schiavi dei cartelli del narcotraffico: e’ in queste condizioni che, secondo diverse fonti, si trovano molti dei 27 mila desaparecidos nel Messico, prigionieri nelle zone di montagne piu’ sperdute del Paese, costretti a lavorare, anche con mansioni specializzate, per i trafficanti di droga. A denunciarlo sono familiari degli stessi desaparecidos. Ma anche, per esempio, il vescovo di Saltillo, nello stato di Coahuila, Raul Vera: “Ci sono indizi consistenti che queste persone possano trovarsi in veri e propri campi di concentramento, ai lavori forzati”. Nel suo ultimo numero, il settimanale Proceso ha pubblicato un reportage il cui titolo e’ “Prigionieri nell’inferno”, mentre il sito web Animal Politico ha tempo fa scritto sugli “Schiavi specializzati”, riferendosi proprio a tecnici o altre persone esperte in alcuni settori – quali le telecomunicazioni o l’ingegneria – che lavorano per i cartelli della droga. Sempre a Coahuila, il sito ‘elarsenal.net’ qualche mese fa ha citato autorita’ locali, secondo le quali molti dei rapimenti compiuti nella regione “non sono legati alla richiesta di riscatto” e le persone sequestrate “paiono svanite nel nulla”. A occuparsi del fenomeno e’ anche l’ong Fuerzas Unidas por Nuestros Desaparecidos en Coahuila, la procura speciale dello stato e della diocesi di Saltillo. Tutti concordano nel riferire che che “le persone sequestrate vengono fatte lavorare nelle piantagioni di marijuana gestite dai cartelli”. “In due anni – precisano queste fonti – sono scomparsi contadini, imbianchini, ingegneri, architetti, chimici, agronomi, avvocati, imprenditori”. Solo a Cohauila la procura locale ha aperto 324 indagini di questo tipo, ma gli esperti sostengono che i casi siano molti di piu’. Spesso non vengono denunciati, precisano, perche’ i familiari dei sequestrati hanno paura di rappresaglie delle gang del crimine organizzato. Nel ricordare che molti dei sequestrati sono esperti in comunicazioni, il presidente della commissione sicurezza del Senato, Felipe Gonzalez, sottolinea che in effetti negli ultimi anni i narcos sono riusciti a organizzare reti di telecomunicazioni molto complesse. Cio’ spiega il fatto, afferma, che abbiano bisogno di personale specializzato. Fra i ‘mestieri’ che a quanto pare sono obbligati a fare i sequestrati ci sono i “falchi” (guardiani) nei campi di coltivazione della marijuana, ma anche uomini che devono costruire tunnel, alimentare i prigionieri, occuparsi della prostituzione. Teresa Ulloa, responsabile della Coalizione donne e bambine contro la tratta di essere umani, sottolinea che in tutte le regioni dove ci sono i narcos sono tante le giovani che scompaiono e che “vengono fatte prostituire” dagli uomini del narcotraffico. Sono di fatto – sottolinea – schiave dei boss. I familiari dei desaparecidos raccontano d’altro lato che in occasione dei compleanni, o in altre date significative, i sequestrati telefonano a casa, senza pero’ dire una parola. “Chi risponde alle telefonate, per esempio le madri, inizia automaticamente a parlare e raccontare. Sanno infatti che a telefonare sono i figli, che a loro volta rimangono in silenzio perche’ sono controllati: non dicono una parola per evitare rischi ai familiari”, afferma Blanca Martinez, responsabile del Centro diritti umani della localita’ di Fray Juan de Larios.