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In questo mese di maggio circa la metà della popolazione mondiale sta vivendo restrizioni alla propria mobilità, i valichi di frontiera sono stati chiusi e l’attività economica si è drasticamente ridotta, poiché molti Paesi hanno deciso di far abbassare le serrande a quelle ritenute non essenziali. E al normale commercio internazionale spesso si aggancia anche il traffico di stupefacenti. Motivo per cui ci si è chiesti più volte quale sia l’impatto della pandemia sulla produzione, il traffico e il consumo di sostanze psicoattive.

COVID-19 and the drug supply chain: from production and trafficking to useChiariamo subito che, ovviamente, è ancora presto per fare un bilancio complessivo, men che mai definitivo. L’emergenza è del resto ancora in corso, con un contagio che in questi mesi si è diffuso dalla Cina all’Europa, poi negli Stati Uniti e solo in seguito nel resto del mondo. Quindi, anche le misure restrittive, quali i lockdown e le chiusure delle frontiere, non sono avvenuti contemporaneamente. Anzi, in alcuni Paesi sono appena iniziate, in altri appena state allentate.

Una prima fotografia abbastanza completa della situazione l’ha però fornita un rapporto dell’Ufficio contro la droga e il crimine delle Nazioni Unite (Unodc), i cui risultati principali sono stati pubblicati in un più ampio rapporto curato dal “Committee for the Coordination of Statistical Activities” (Ccsa) lo scorso 13 maggio. Composto da organizzazioni internazionali e sovranazionali, questo comitato ha il mandato di garantire il funzionamento efficiente del sistema statistico internazionale, sviluppando standard comuni con l’obiettivo di produrre statistiche di alta qualità. Il rapporto “How COVID-19 is changing the world: a statistical perspective” è basato su dati affluiti da 36 organizzazioni internazionali.

Dal brief report dell’Unodc “COVID-19 and the drug supply chain: from production and trafficking to use” emergono diversi aspetti interessanti:

Reati violenti

Il primo riguarda il numero di omicidi (l’ufficio in questione, come chiarisce già il nome, si occupa anche di crimine). Ebbene, su questo, i lockdown o le restrizioni legate all’emergenza Covid-19 sembrano aver ridotto la violenza soltanto nei Paesi in cui il loro tasso era già relativamente basso, come negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale. In Italia, a marzo si sono ad esempio più che dimezzati rispetto allo stesso mese del 2019 (del resto la costrizione nelle proprie case non poteva che farli crollare). Mentre nel ristretto arco temporale che va da marzo a metà aprile 2020, nelle nazioni in cui è endemica la presenza dei cartelli della droga, delle narcomafie e delle bande giovanili, come quelle dell’America centrale, resta immutato (vedi Messico o Honduras), o in alcuni casi in leggero calo (come in Guatemala). Segno che, almeno in questa fase, la criminalità organizzata ha continuato ad operare, ricorrendo ovviamente alla propria tradizionale violenza. L’altro campanello d’allarme che viene fatto suonare nel report, anche se c’entra poco o nulla con la droga ma non per questo è meno preoccupante, riguarda la violenza di genere. In tantissime nazioni sono infatti aumentate le richieste di assistenza pervenute alle forze dell’ordine o quelle di aiuto ricevute dai centri di assistenza deputati alla protezione delle vittime di questi crimini.

Produzione d’oppio ed eroina

Afghanistan. In quello che da quasi un ventennio è il principale produttore mondiale d’oppio, «i mesi chiave per la raccolta sono da marzo a giugno». Impossibile quindi al momento, comprendere se e come la pandemia cambierà o meno la produzione. Anche se, riguardo alla forza lavoro necessaria, è bene ricordare che quella adoperata normalmente nei campi d’oppio afgani proviene dai clan familiari. Appare quindi difficile pensare possa risentire delle misure restrittive, soprattutto in un Paese rurale come quello, dove peraltro il controllo governativo del territorio è sempre più limitato. Discorso diverso per la produzione di eroina: secondo il report dell’Unodc, la pandemia potrebbe «rendere carenti le forniture di anidride acetica, un precursore vitale per raffinare l’eroina che non viene prodotto in Afghanistan» e va quindi importato.

Myanmar. Nell’ex Birmania, parte assieme a Laos e Cambogia del cosiddetto Triangolo d’oro leader nella produzione d’oppio prima dell’invasione angloamericana dell’Afghanistan del 2001, a quanto pare, «il raccolto 2020 è stato completato prima dell’inizio della pandemia».

Messico. Da diverso tempo a questa parte i cartelli della droga messicani, oltre a trafficare negli Usa la cocaina proveniente dal Sudamerica e a produrre in proprio metanfetamina, coltivano anche l’oppio. Ma l’eroina che ne ricavano non sarebbe molto apprezzata dai consumatori statunitensi. Si tratta principalmente del cosiddetto “black tar” (catrame nero), nome che deriva dalla sua consistenza gommosa. Essendo poco idrosolubile, poiché ottenuta attraverso un metodo rudimentale, è un’eroina ritenuta poco adatta all’uso per via iniettiva. Detta di primo livello, questa raffinazione è però relativamente facile da praticare per i cartelli della droga, in quanto non necessita di chimici esperti e apparecchiature sofisticate. Detto ciò, riguardo agli effetti della pandemia su coltivazione e produzione, il report non contiene informazioni aggiornate sul Messico.

Produzione di cocaina

Colombia. Nel corso dei decenni è diventata il primo produttore di cocaina al mondo, pur essendo la pianta di coca storicamente originaria della regione andina di Perù e Bolivia. In questa fase, a quanto pare, l’attività delle raffinerie nascoste soprattutto nella giungla non viene ostacolata tanto dall’attività repressiva, condotta anche attraverso le tanto pubblicizzate campagne di eradicazione (che per l’Unodc «continuano come previsto»), quanto piuttosto dalla «carenza di benzina» (essenziale nel processo di macerazione delle foglie). Nella Colombia orientale questo carburante veniva contrabbandato a buon mercato, e in grandi quantità, soprattutto dal Venezuela, il petro-Stato della regione quinto esportatore al mondo di oro nero. Ma ora, con la chiusura e i maggiori controlli alla frontiera tra i due Paesi, starebbe scarseggiando.

Bolivia. In questa nazione, le turbolenze politiche di fine 2019, sommate all’emergenza Covid-19, sembrano tenere le autorità impegnate su altri fronti e si potrebbe quindi registrare persino un prossimo «aumento della produzione».

Perù. Nell’altro Paese in cui la foglia di coca fa parte di una tradizione millenaria, «il calo del prezzo della cocaina (…) potrebbe disincentivare nel breve periodo la coltivazione della coca».

L’Unodc aggiunge infine che «l’incombente crisi economica potrebbe indurre in tutti i principali Paesi produttori di cocaina, un maggior numero di agricoltori ad orientarsi sulla coca o aumentarne la coltivazione».

Droghe sintetiche

La produzione di queste sostanze può teoricamente avvenire ovunque, ma è strettamente legata alla disponibilità dei precursori chimici necessari ai laboratori, spesso artigianali, che le sintetizzano. In questa inedita fase la loro disponibilità dipende ovviamente dai flussi produttivi e commerciali internazionali del comparto chimico-farmaceutico. Detto ciò, sempre secondo il citato rapporto Unodc, starebbe continuando come prima nel Sud-est asiatico e in Russia, risultando invece fortemente limitata dalle restrizioni in Messico, Libano, Siria e Repubblica Ceca, nazioni in cui si producono metanfetamina o più un generale anfetamine. Nessuna notizia invece dall’Olanda, leader in Europa, e non solo, per le sostanze sintetiche (oltre il 90% a livello mondiale, nel caso dell’Mdma, il principio attivo dell’ecstacy).

Traffici

L’impatto della pandemia evidenziato finora sul narcotraffico è strettamente legato al modo in cui già prima i carichi di stupefacenti attraversavano i confini. Quello dell’eroina avviene ad esempio principalmente via terra, motivo per cui ha subito una riduzione diversa rispetto a quello di cocaina, che storicamente si basa su rotte marittime, ancor più durante questa pandemia (come l’Unodc afferma riportino i rapporti provenienti dalla Colombia). I recenti grandi sequestri di cocaina nei porti europei dimostrerebbero così come le restrizioni per il Covid-19 abbiano finora inciso poco sul traffico di “polvere bianca”. Altre considerazioni che possiamo fare sull’eroina riguardano la “rotta meridionale”, di più recente costituzione. Si tratta di quella che via mare approda nei grandi porti dell’Africa orientale, proseguendo poi verso l’Europa o via aereo tramite i narcorrieri “ovulatori” (traffico al momento interrotto dal blocco dei voli commerciali) o risalendo il “continente nero” via terra (tanto che in Egitto e Nigeria stanno crescendo i carichi intercettati). Riguardo al rinnovato ricorso alla “rotta meridionale”, l’Unodc ha registrato un recente aumento dei sequestri di eroina nell’Oceano Indiano, ritenendolo un possibile cambio di strategia dei narcos avvenuto proprio a seguito delle misure contro il Covid-19.

Nel caso dell’Afghanistan, come detto primo produttore mondiale d’oppio e quindi anche d’eroina, l’unico suo accesso al mare è attraverso il Pakistan, i cui valichi di montagna sono al momento stati chiusi. A questo punto, l’unica rotta che resterebbe attiva è quella via terra, attraverso il lungo, pianeggiante e quindi poroso, confine con l’Iran. Come dimostrerebbero gli elevati sequestri che continuano ad essere segnalati dalle autorità di Teheran. Il transito in Iran fornisce accesso ai narcos sia alla tradizionale “rotta balcanica” via terra, sia ai porti dell’Africa orientale di quella “meridionale”. Anche se il Central Asian Regional Information and Coordination Centre for combating the illicit trafficking of narcotic drugs (Caricc), nel registrare un «calo dei sequestri», ritiene potrebbe dipendere dal traffico via terra ora «diventato più rischioso» nell’intera regione. Tanto che in Myanmar, fornitore d’eroina soprattutto a livello locale (nell’est e nel sud-est asiatico), l’improvviso calo dei prezzi dell’oppio suggerirebbe che «gli acquirenti non sono più in grado di raggiungere le aree di produzione per acquistare oppio o eroina». Anche le informazioni pervenute all’Unodc dalle Americhe, portano a ritenere che il maggiore controllo ai confini dato dalla pandemia stia rendendo «più difficile il traffico di eroina dal Messico agli Stati Uniti». Mentre riguardo all’altro principale mercato finale, l’Europa, l’Agenzia Onu riferisce che in alcune nazioni, come Regno Unito e Irlanda, i sequestri sono aumentati, in altre come l’Italia diminuiti.

Disponibilità e consumi

Le misure adottate, come detto abbastanza omogenee, stanno a quanto pare provocando, laddove la produzione continua, un «aumento degli stock». Cosa che potrebbe portare, a emergenza finita, alla «crescita dell’offerta di stupefacenti a basso costo e di buona qualità, aumentando il rischio di overdose». Mentre ora, al contrario, si sta registrando una generalizzata «carenza al dettaglio di sostanze illecite, un aumento dei prezzi e una riduzione della loro purezza». Ma non dappertutto, visto che nei Paesi in via di sviluppo, nei quali «soprattutto durante il giorno le restrizioni sono meno severe», sempre secondo il report dell’Unodc, è cambiato poco. In varie nazioni e continenti sembra invece «in crescita la domanda di cannabis», più facile da reperire in quanto «spesso prodotta nei pressi dei mercati finali» e quindi «meno dipendente dalle lunghe e quantitativamente elevate spedizioni intercontinentali». Un’altro dato che emerge chiaramente è il rinnovato ricorso, da parte dei consumatori, ai farmaci psicoattivi per far fronte alla momentanea riduzione della disponibilità e delle possibilità di accesso alle sostanze illecite. A farla da padrone, e in alcuni Paesi come gli Usa non è una novità, «l’uso di oppiacei sintetici in sostituzione dell’eroina», cui si aggiungono tranquillanti, sedativi e antipsicotici. L’elemento nuovo, semmai, è il prezzo sul mercato nero di questi farmaci che «si è raddoppiato». Quello che forse deve ancora essere fotografato come fenomeno è quanto la pandemia stia incidendo sulle condizioni psicologiche della popolazione mondiale, rischiando di far aumentare il numero di persone che usano psicofarmaci o che finiscono nelle maglie della psichiatria, creando nuovi consumatori di sostanze.

Servizi

Nel report dell’Unodc si legge anche che «alcuni Paesi hanno segnalato difficoltà nel mantenere attivi i servizi per i tossicodipendenti», altri in cui «sono state gravemente colpite le attività delle organizzazioni che forniscono supporto alle persone che usano sostanze». Inoltre, «per cercare di rispondere alla riduzione dell’accessibilità ai servizi di trattamento avvenuta durante il blocco, alcune nazioni hanno aumentato i servizi a bassa soglia e favorito l’ottenimento dei farmaci sostitutivi degli oppiacei». Il Regno Unito ha, ad esempio, «consentito alle farmacie di dispensare metadone». Mentre per quanto riguarda l’Italia, rimandiamo allo speciale di Fuoriluogo.it. L’Agenzia Onu contro la droga e il crimine sostiene infine che «la recessione economica causata dalla crisi Covid-19 può provocare a lungo termine una duratura trasformazione dei mercati della droga (…) che le difficoltà economiche causate dalla crisi rischiano di interessare soprattutto le persone che si trovano già in una situazione di maggiore svantaggio socio-economico (…) facendo crescere il numero di quanti ricorrono ad attività illecite legate alla droga per guadagnarsi da vivere (…) e/o essere reclutate dalle organizzazioni impegnate nel narcotraffico».

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