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Leonardo Fiorentini

Leonardo Fiorentini

Il 28 giugno scorso è stato per il Messico “un giorno storico per le libertà con il consolidamento del libero sviluppo della personalità nell’uso ricreativo della cannabis”. A pronunciare queste parole è stato Arturo Zaldívar, Presidente della Corte Suprema messicana a seguito della Declaratoria General de Inconstitucionalidad (DGI) di una serie di norme afferenti al consumo personale di cannabis. I giudici, con un voto 8 a 3, hanno stabilito che vietare il consumo viola il diritto al libero sviluppo della personalità.

Il tema era stato portato all’attenzione della Corte anni fa, a seguito di un contenzioso strategico promosso dall’Ong México Unido Contra la Delinquencia (MUCD). Nel 2013 i membri di MUCD crearono la Società messicana per l’autoconsumo responsabile e tollerante (SMART) un’associazione costituita con l’unico obiettivo di richiedere l’autorizzazione alle autorità sanitarie affinché i suoi membri potessero produrre e consumare cannabis in modo ricreativo e senza scopo di lucro. Al diniego delle autorità, i membri di SMART ricorsero in tribunale sostenendo che “i loro diritti al libero sviluppo della personalità e alle decisioni rispetto alla propria salute fossero violati, in virtù del divieto che ancora oggi grava sulla cannabis”. Tre anni fa la Corte Suprema si è espressa positivamente sugli ultimi due ricorsi, raggiungendo il fatidico numero di cinque sentenze univoche necessarie per vincolare, secondo la legge messicana, qualsiasi altro tribunale del paese a decidere allo stesso modo in qualsiasi caso simile. La Corte suprema, nel ritenere incostituzionale il divieto della cannabis, aveva concesso al Congresso un periodo di tempo limitato per rendere la legislazione sulle droghe conforme alla Costituzione (vedi in questa rubrica Hassan Bassi, 5 dicembre 2018). Un’analoga azione è stata poi intrapresa da MUCD anche rispetto all’uso personale di cocaina.

La decisione della Corte Suprema del Messico di fine giugno è un fatto storico, con un solo precedente, che arriva dopo che la stessa Corte aveva dato un termine, per ben tre volte prorogato, perché il Parlamento regolamentasse il mercato legale della cannabis. Gli effetti della declaratoria per i consumatori di cannabis messicani non saranno particolarmente significativi, e per questo il movimento per la riforma messicana chiede al Parlamento di approvare la regolamentazione legale della cannabis impantanata fra Camera e Senato. L’unico reale effetto è che le autorità non potranno più negare i permessi, ma resta incardinato il resto della legislazione proibizionista, compresa la possibilità da parte della Polizia di fermare coloro trovati in possesso di cannabis per il tempo necessario a verificare la quantità detenuta (se superiore a 5 grammi risulterà punibile ai sensi del Codice Penale). Di fatto con il permesso si potrà fumare in casa, in assenza di minori, e forsanche coltivare, ma acquistare e trasportare in strada rimarrà un potenziale problema. Del resto, è la stessa Corte Suprema ad esortare, per l’ennesima volta il parlamento a legiferare “per dare sicurezza ai consumatori“.

Ora tocca alla Politica, che pare in difficoltà nell’affrontare questo tema, fra imbarazzi, interessi economici e timori elettorali. Una situazione molto simile a quella italiana, dove sinora sono i Tribunali a dover sancire il diritto di autodeterminazione delle persone sul proprio corpo.

Il Messico potrebbe passare da essere uno dei maggiori produttori di cannabis illegale al mondo ad essere il più grande mercato legale del pianeta, con oltre 126 milioni di abitanti, fuggendo dal paradosso di dover rimanere indietro rispetto alle corporation dell’industria legale della cannabis statunitense e canadese. La Corte ha bussato forte, tocca al Parlamento messicano aprire le porte alla riforma e alla legalizzazione della cannabis.