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Chicago ha un nuovo nemico pubblico numero uno. Ma a differenza di Al Capone, il gangster piu’ temuto negli anni ’20 del secolo scorso, la nuova minaccia per la citta’ e uno che non ha mai attraversato le sue strade. Ioaquin “El Chapo” Guzmàan, leader del cartello di Sinaloa considerato come il principale obiettivo dalle autorita’ della citta’, riconoscendo di fatto l’importanza del cartello del narcotraffico molto al di l’a della frontiera tra Messico e Usa. Queste organizzazioni sono presenti gia’ in molti Stati non frontalieri, cosi’ come fa sapere un’indagine dell’agenzia stampa Associated Press (AP).
Decine i casi pendenti in diversi distretti giudiziari del Paese, come fa sapere la DEA (agenzia di lotta contro la droga) e interviste con autorita’ delle citta’ piu’ colpite, a cui ha avuto accesso la AP, mostrano un dispiegamento di aderenti dei cartelli in USA, sospettati di controllare reti di distribuzione di droghe con Stati come Ohio, Kentucky, North Carolina, Indiana, Michigan e Minnesota.
“La gente pensa che la frontiera sia a 2.700 Km, e che questo non sia il proprio problema”, ha dichiarato all’agenzia Jack Riley, direttore della DEA a Chicago. “Ma di fatto noi dobbiamo operare a Chicago come se fossimo alla frontiera”. Secondo le autorita’ nordamericane, il cartello di Sinaloa distribuisce la maggior parte della droga che si vende a Chicago e in altre citta’ del Paese, in un mercato che supera i 60.000 milioni di dollari all’anno.
I documenti consultati dalla AP parlano di conversazioni intercettate a Jose’ Gonzalez-Zavala, appartenente al cartello de La Familia e residente a Chicago, che supervisionava le spedizioni di cocaina verso citta’ dell’Illinois, Wisconsin e Indiana. Li’ viveva anche Jorge Guadalupe Ayala-Germàn, che si dichiaro’ colpevole di molteplici spedizioni del narcotraffico. Cosi’ come Socorro Hernàndez, arrestata nel 2011, e che nego’ la sua appartenenza alla medesima organizzazione di fronte alle accuse delle autorita’ di Atlanta, dove fu imprigionata, e la accusarono di essere uno dei membri piu’ importanti de La Familia.
In quanto a Chicago, gli investigatori della Commissione del Crimine della citta’, assicurano che sono due o tre anni che hanno individuato la presenza di “rappresentanti” dei cartelli. “Si e’ trasformato in un grande mercato, che e’ difficile da controllare”, spiega Art Blick, uno dei responsabili.
Altri esperti fanno notare che all’aumento della presenza di membri dei cartelli non ha corrisposto un equivalente presenza degli agenti Usa, fino a quando la DEA non ha reso piu’ efficienti le sue indagini, incamerando una notevole quantita’ di informazioni sulle loro attivita’.
“Molte volte aspettiamo mesi o anno per essere sicuri che quando li colpiamo, possiamo arrestare centinaia di persone”, commenta Tony Payan, professore di Scienza della Politica all’Universita’ del Texas di El Paso, esperto nella lotta al narcotraffico in Usa. “Questo non significa che ci siano piu’ iniziative, ma una maggiore attenzione verso le stesse”.
Payan, autore di vari libri sulle questioni di sicurezza su immigrazione e traffico di droghe alla frontiera, fa sapere che quest’ultimo si e’ mantenuto stabile da diverso tempo e che in questa regione si sono avute la maggiori innovazioni sull’attivita’ dei narcos, “cambiando costantemente le loro strategie per introdurre la droga nel Paese”.
Una di queste strategie consiste nel confidare in contatti statunitensi per superare la frontiera. “E dalla frontiera procedono verso Atlanta, Houston, Dallas, Chicago, Los Angeles o Phoenix”, dice Payan. “E qualcuno riceve questi carichi, persone quasi sempre membri sicuri dell’organizzazione che non siano facilmente riconoscibili dalle autorita’ e che possano muoversi con facilita’ dentro gli Usa”.
Secondo i dati pubblicati dall’Associated Press, queste persone erano ogni volta cittadini messicani con un visto temporaneo o con doppia nazionalita’, ma non statunitensi. “Si tratta di persone verso le quali il cartello puo’ accedere con facilita’ e che, nello stesso tempo, sulle quali possono esercitare pressioni, obbligandole a lasciare il Paese in caso di fallimento”. Se uno di questi viene identificato dalla polizia o ha precedenti In Usa, l’organizzazione lo fa tornare al suo Paese.
Secondo la DEA di Chicago, “si tratta della maggiore minaccia con cui gli Usa devono avere a che fare in termini di crimine organizzato”, dice Rilev, direttore dell’agenzia. Le statistiche rese note questa settimana dicono che nel 2008, 230 comunita’ Usa hanno denunciato un certo livello di presenza dei cartelli. Nel 2011 il numero e’ salito a 1.200.
Payan spiega che la DEA e altre autorita’ statunitensi lottano contro il narcotraffico con metodi tradizionali come il controllo dei mezzi di comunicazione, seguendo e localizzando le persone, nonche’ con l’uso di agenti infiltrati nelle loro organizzazioni. Negli ultimi anni hanno adottato una strategia piu’ differenziata, come il controllo del lavaggio di denaro che e’ connesso ai narcos. Una di queste operazioni, legata al traffico di armi e che aveva uno speciale percorso attraverso la frontiera, e’ finita da due anni con grande insuccesso. Quando gli Usa persero il controllo di centinaia di armi che facevano parte dell’operazione Rapido y Furioso del Dipartimento di Giustizia, una di queste armi fu utilizzata per sparare contro un agente di frontiera.
“Le autorita’ Usa sono consapevoli che con i soldi che stanno riciclando, le organizzazioni investono in servizi e spese per alimentare le proprie operazioni”, dice Payan. “Ma è una parte del prezzo da pagare in questo lavoro”. L’esperto difende sia la DEA che il Dipartimento di Giustizia che non possono inventarsi prove contro i narcotrafficanti e che sempre si assicurano che, nel caso di detenzione di uno dei membri dei cartelli, il giudice dia loro ragione. “Sempre ci vogliamo garantire che quando diamo un colpo contro questi gruppi, lo stesso sia sufficientemente potente per poter poi catturare centinaia di membri. E dovranno ricominciare da capo. Sono come l’Idra, ogni volta cresce sempre una nuova testa”.