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Ciudad Juarez – In Messico, tutti parlano di guerra “de los cuernos de chivos”. La guerra delle corna di vacca, un nome che potrebbe far pensare ai toreri e alle corride. Non è così. La guerra delle corna di vacca prende il nome dall’arma preferita dai narcotrafficanti messicani, il Kalashnikov, che col suo caricatore ricurvo da 70 colpi ricorda le corna dei bovini.

Ma che è decisamente meno mansueto, visto che dal 2001 a oggi i morti di questa guerra fra i signori della droga e il governo di Città del Messico sono stati più di 12.000, di cui 3.600 nell’ultimo anno e mezzo.

Oggi, l’epicentro del conflitto è la città di Ciudad Juarez, la più popolosa dello stato di Chihuaha, la provincia più grande di tutto il Messico. A pochi chilometri dalla frontiera con gli Usa, è lo snodo principale della droga che dal Sud America arriva negli Stati Uniti. Di fronte a Ciudad Juarez, in Texas, c’è El Paso: in pratica, una sola grande area metropolitana divisa in due dal confine. Con la differenza che da una parte, regna l’ordine, mentre nella metà messicana sparatorie, morti e ritrovamenti raccapriccianti sono all’ordine del giorno.

I numeri sono impressionanti. Dall’inizio di maggio più di 70 morti, di cui 34 domenica scorsa, un record. Dall’inizio dell’anno, oltre 300. In marzo, gli agenti della polizia messicana hanno ritrovato una fossa comune con 36 cadaveri nel giardino di una villetta, dove hanno anche sequestrato ingenti quantitativi di marijuana. Una situazione che sembra sempre più senza soluzione se anche il capo della Polizia di Ciudad Juarez si è dimesso, dopo reiterate minacce di morte. Guillermo Prieto era finito in una lista di 22 agenti da eliminare stilata dai boss della droga: morti i primi sette, ha deciso di lasciare il comando della città, per non rischiare di fare la fine di tanti colleghi. Colleghi anche di alto rango, come il capo ad interim della PF (la polizia federale), Edgar Millan Gomez, ucciso a inizio mese in una sparatoria proprio sulla porta di casa sua.

Prima di lui era toccato al direttore operativo della polizia dello stato di Morelos, Victor Enrique Payan Anaya, rinvenuto nel bagagliaio di un auto di servizio assieme a un altro agente, Ferry Melendez Diaz. I due poliziotti sarebbero stati intercettati mentre si recavano da Cuernavaca, capitale di Morelos, a Città del Messico e subito freddati coi Kalashnikov.

Il governo del presidente Felipe Calderon ha deciso di reagire all’escalation di violenza in maniera quanto più determinata e dura possibile, mobilitando oltre 36.000 uomini fra polizia ed esercito. Uno spiegamento di forze ingente, che è riuscito a raggiungere molti risultati, pur subendo perdite considerevoli: nell’ultimo anno e mezzo, infatti, sono stati uccisi oltre 300 poliziotti, fra cui almeno 25 erano ufficiali d’alto rango. Alcuni sono morti in sparatorie, altri in modi molto più cruenti. Dal dicembre 2006 i killer dei narcotrafficanti, fra cui i “Los Zetas” e “Los Pelones y La Familia” sono i due gruppi più noti e più pericolosi, hanno deciso di utilizzare un nuovo metodo per inviare messaggi al governo e alle bande rivali: decapitare i poliziotti catturati e i traditori. Anche la scorsa settimana, nel distretto di Città del Messico, è stato rinvenuto nel bagagliaio di automobile un corpo decapitato con la testa in una borsetta di plastica e un biglietto che diceva “Per aver voluto metterti contro di noi”.

Ma dopo gli ultimi successi, con l’arresto di personaggi di spicco dei vari gruppi e il sequestro di ingenti quantità di droga, la situazione per gli uomini della Pf e dell’esercito si è fatta più dura: vedendosi colpiti, infatti, i Los Negros, influenti nel cartello di Sinaloa, si sono avvicinati agli uomini del cartello del Golfo per resistere in maniera più efficace alle pressioni governative. Assieme a loro agiscono, come braccio armato, anche i “Los Zetas”: molti sono ex militari corrotti, abili nell’uso delle armi e degli esplosivi più sofisticati, che si sono dimostrati capaci di resistere anche all’esercito regolare.

Un aiuto al governo messicano potrebbe arrivare da Washington, dove il Congresso ha votato un piano da 350 milioni di dollari. I disordini sulla frontiera, infatti, si ripercuotono anche negli Usa: molti ufficiali di polizia chiedono asilo politico e talvolta le scorribande dei boss messicani li portano oltre confine. È proprio durante una di queste che è stato arrestato Osiel Cárdenas, ex capo del cartello del Golfo, ancora detenuto negli Stati Uniti. La cooperazione fra i due Paesi si è fatta più intensa dopo l’11 settembre 2001: fino ad allora la frontiera fra Messico e Usa era porosa, mentre dopo l’attentato alle Torri Gemelle i controlli sono molto aumentati. Questo ha portato a scontri fra i vari clan, che prima occupavano un pezzo di frontiera ciascuno e che hanno iniziato ad affrontarsi per il controllo totale di un mercato da 20 miliardi di dollari l’anno fatto di marijuana, cocaina, eroina e metanfetamine da smerciare negli Usa. La prospettiva, anche per gli Stati Uniti, non è piacevole. Se la guerra alla droga del presidente Calderon dovesse fallire, Washington si troverebbe come vicino meridionale un narco-stato da 110 milioni di abitanti. Non esattamente il vicino che ci si può augurare.