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Si è tenuta la scorsa settimana una riunione “intersessionale” della Commission on Narcotics Drugs (CND), l’organo dell’ONU deputato a sovrintendere le convenzioni internazionali sulle droghe. L’intera sessione è stata monopolizzata dal dibattito intorno alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rispetto alla riclassificazione della cannabis nelle tabelle internazionali.

Si preannuncia battaglia su una decisione, quella del recepimento da parte degli Stati Membri della CND di raccomandazioni della massima autorità sanitaria mondiale, che normalmente viene vista come un semplice e scontato passaggio burocratico. Ma per la cannabis nulla è semplice e scontato. Già ad inizio millennio, come vi abbiamo raccontato su Fuoriluogo cartaceo, ci fu l’insabbiamento della raccomandazione sul dronabinolo. Poi il rinvio della presentazione della raccomandazione due anni fa, e il rinvio del voto a marzo di quest’anno. Trovate tutta la storia nel nostro speciale Cannabis e OMS.

Torniamo al vertice di Giovedì scorso, quando molti paesi hanno espresso una fortissima opposizione alla modifica dello status della cannabis. Come vi abbiamo raccontato più volte Russia e Cina guidano l’opposizione alle modifiche, seguiti da molte delegazioni provenienti dall’Asia e dall’Africa. A questi si sono uniti anche alcuni paesi dell’America Latina e dei Caraibi.

Attualmente fanno parte della CND, e quindi andranno al voto il prossimo dicembre: Afghanistan, Algeria, Angola, Australia, Austria, Bahrain, Belgio, Brasile, Burkina Faso, Canada, Cile, Cina, Colombia, Costa D’Avorio, Croazia, Cuba, Republica Ceca, Ecuador, Egitto, El Salvador, Francia, Germania, Ungheria, India, Iraq, Itaiay, Jamaica, Giappone, Kazakhstan, Kenya, Kyrgyzstan, Libia, Messico, Marocco, Nepal, Olanda, Nigeria, Pakistan, Perù, Polonia, Russia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Svizzera, Thailandia, Togo, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Regno Unito, USA e Uruguay.

Secondo il Knowmad Institute, ONG che ha seguito con attenzione l’intero percorso di riclassificazione della cannabis, la situazione al momento è un testa a testa: 47,2% dei paesi votanti sarebbe contrari, 45,3% favorevoli e il 7,5% ancora indecisi. Sarà quindi di grande interesse capire la posizione dell’Unione Europea, che da sola conta 12 voti alla CND e se e come anche i paesi in dubbio si adegueranno alla posizione comune. Una pratica comunemente adottata, con la famosa eccezione dell’Italia ai tempi di Giovanardi.

La Raccomandazione 5.1 (ovvero la rimozione della cannabis dalla tabella IV, quella delle sostanze pericolose e senza valore terapeutico) sembra essere quella con più possibilità di essere accettata, mentre sulle altre i dubbi e i tentennamenti dei paesi sembrano aumentare giorno dopo giorno. In particolare per le Raccomandazioni 5.5 (quella sull’esclusione del CBD dalle tabelle delle convenzione) e 5.6 (l’inserimento del dronabinolo nella tabella III della convenzione del 1961, quella delle sostanze che non presentano rischio di abuso).

E’ evidente che le raccomandazioni sulla cannabis sono l’occasione per i paesi proibizionisti per tirare su barricate nei confronti dei venti di riforma che oramai investono tutto il globo. La Chiesa della Proibizione vede mettere in dubbio i propri dogmi, e quindi alza il livello dello scontro e richiama spettri inesistenti. Addirittura l’International Narcotics Control Board, il cane da guardia delle convenzioni, ha considerato di scarso impatto per gli Stati Membri il complesso delle raccomandazioni.

Ma il vero tema, più volte ripetuto dai contrari, è la preoccupazione che l’adozione delle raccomandazioni porti alla percezione pubblica che la cannabis non sia più dannosa. Una posizione del tutto ideologica: l’unica cosa che la raccomandazione 5.1 sancisce è che la cannabis può avere un uso terapeutico, come milioni di persone nel mondo sperimentano ogni giorno. La cannabis rimanendo nella tabella I resta una droga “pericolosa” al pari di eroina e cocaina. Ed è semmai questa la grande ipocrisia: l’OMS per motivare questo mantenimento si è aggrappata al fatto che è la sostanza più consumata al mondo, e i cui effetti dannosi – anche se non paragonabili con quelli delle sostanze in quella tabella – possono quindi essere più diffusi. Una motivazione piuttosto contestabile, se solo pensiamo alla diffusione di alcol e nicotina.

La strada, che mai abbiamo considerato spianata, sembra oggi essere in salita. Mai come in queste settimane servirà l’attenzione della Società Civile e dell’opinione pubblica per far sì che la scienza possa vincere sul dogma della proibizione.