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L’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale (CPI) ha avviato l’esame di una serie di documenti per capire se sia possibile preparare un esame preliminare su questioni relative alla guerra alla droga lanciata dal 2016 nelle Filippine.

“Nel corso del 2020, verranno intraprese una serie di azioni con il fine di consentire al procuratore di decidere se chiedere l’autorizzazione ad aprire un’indagine sulla situazione nelle Filippine” si legge in un rapporto dell’ufficio. Secondo la sua relazione annuale, l’Ufficio “ha avanzato la sua valutazione sull’esistenza di una base ragionevole per procedere ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, dello statuto che recita ‘Se il Procuratore conclude che vi sono elementi che giustificano l’inizio delle indagini, presenta alla Camera Preliminare una richiesta di autorizzazione alle indagini, unitamente ad ogni elemento di supporto raccolto. Le vittime possono essere rappresentate di fronte alla Camera Preliminare, in conformità al Regolamento di Procedura e di Prova”.

L’8 febbraio 2018, il procuratore Fatou Bensouda aveva annunciato l’apertura di un esame preliminare sui presunti crimini commessi nella guerra alla droga del presidente Rodrigo Duterte nei due anni precedenti. L’annuncio faceva seguito all’esame di una serie di comunicazioni e rapporti che documentano presunti crimini tra cui uccisioni extragiudiziali. Del tema era stata investita anche la Commissione Droghe delle Nazioni unite nel marzo del 2017 durante un side event al quale aveva partecipato con un video messaggio la vice-Presidente delle Filippine Leni Robredo. Già nell’ottobre del 2016 la Procuratrice aveva rilasciato una dichiarazione in cui esprimeva “preoccupazione per le notizie di presunte uccisioni extragiudiziali di presunti spacciatori di e consumatori nelle Filippine […] chi incita o commette reati di competenza della CPI è potenzialmente soggetto a procedimenti giudiziari dinanzi alla Corte”.

A seguito dell’annuncio di quell’esame preliminare, il 17 marzo 2018 il governo filippino aveva inviato al Segretario generale delle Nazioni Unite una notifica scritta di ritiro dallo Statuto della Corte di cui era parte. Il ritiro è entrato in vigore un anno dopo, il 17 marzo 2019. ll rapporto pubblicato in questi giorni chiarisce che la Corte ha ancora giurisdizione sul caso. Si legge infatti che la CPI “mantiene la giurisdizione su presunti crimini che si sono verificati sul territorio delle Filippine durante il periodo in cui il paese era uno Stato Parte dello Statuto, vale a dire dal 1 novembre 2011 fino al 16 marzo 2019 compreso. Inoltre, l’esercizio della giurisdizione della Corte (vale a dire le indagini e il perseguimento di reati commessi fino al 16 marzo 2019 compreso) non sono soggetto a limiti di tempo”. L’ufficio della Procuratrice ha riferito di aver “raccolto, ricevuto e analizzato informazioni da più fonti”.

In aggiunta all’invio di documenti da varie organizzazione sono stati esaminati centinaia di articoli, relazioni, banche dati, documenti legali e accademici, documenti, comunicati stampa e dichiarazioni pubbliche di organizzazioni intergovernative, governative e non governative e altre fonti pertinenti.

Il rapporto afferma che la Procuratrice “ha continuato a impegnarsi e consultare le parti interessate al fine di affrontare una serie di questioni rilevanti per l’esame preliminare e cercare ulteriori informazioni per preparare una valutazione della situazione” compresi gli incontri con le parti interessate come varie organizzazioni della società civile. L’Ufficio ha inoltre espresso preoccupazione per le notizie di minacce contro i difensori dei diritti umani, compresi coloro che hanno criticato la campagna di guerra alla droga.

Come denunciato più volte e da più fonti, oltre 5.000 sospetti di droga sono stati certamente uccisi dal 1 luglio 2016, l’inizio dell’amministrazione Duterte, al 30 giugno del 2019. Secondo alcune associazioni il numero delle vittime sarebbe di quasi tre volte superiore a quanto reso noto dalla polizia nazionale filippina a luglio che ha sempre insistito che gli uccisi nella guerra alla droga avevano resistito all’arresto e che non si tratta di campagne di esecuzioni extra-giudiziarie. Non è stato reso noto il calendario delle decisioni future dell’Ufficio della Procuratrice.

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