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I Paesi latinoamericani piu’ danneggiati dalla violenza del narcotraffico, come Messico e Colombia, mantengono la propria offensiva militare antidroga senza prendere il considerazione la legalizzazione come in Uruguay, un’opzione che secondo gli esperti potrebbe dare un impatto decisivo nel ridurre la violenza e indebolire i cartelli.
Nonostante i discutibili risultati e gli alti costi di quaranta anni di “guerra contro la droga”, iniziative come quelle dell’Uruguay -il primo Paese a farsi carico di tutto il processo di produzione e vendita della marijuana- servono per approfondire il dibattito se la regolamentazione di queste sostanze potrebbe far diminuire il narcotraffico e il crimine organizzato nella regione.
“Non c’e’ molta criminalita’ specifica in Uruguay, per cui non ci sara’ un grande cambio. Nella sostanza e’ un esperimento, ma che non puo’ essere replicato con facilita’, in Paesi con maggiori problemi, dice Steven Dudley, co-direttore del sito web Insightcrime, specializzato sul narcotraffico in America Latina.
Il ricercatore dubita che l’iniziativa, che sara’ definitivamente votata domani,avra’  molto impatto sulla sicurezza di Paesi come Colombia o Messico come nel mercato locale della distribuzione delle droghe: “quello che maggiormente genera violenza non e’ il mercato della marijuana” ma quello della cocaina e dei suoi derivati come il crack.
Da un altro punto di vista, l’economista della Universita’ Autonoma della Colombia ed esperto in droghe, Felipe Tascòn, crede che l’iniziativa dell’Uruguay “avra’ un peso simbolico enorme” nella regione e specialmente nei Paesi che, come il Messico, sono sul punto di discutere progetti di legge in merito (la capitale di questo Paese ha gia’ allo studio la possibilita’ di una regolamentazione del mercato della cannabis).
Il caso uruguayano “dara’ un grande appoggio agli antiproibizionisti. Sara’ un esempio e un laboratorio per mostrare che la marijuana puo’ essere trattata legalmente e non come un fenomeno criminale”, dice Gustavo Duncan, esperto in narcotraffico e sicurezza dell’Universita’ de los Andres a Bogota’.
Ogni volta che si parla di una revisione della lotta antidroga in America Latina, specialmente facendo riferimento agli Usa -maggiore promotore e consumatore al mondo- si apre sempre di piu’ verso la regolamentazione della marijuana a livello statale.
Lo scorso maggio, grazie ad una petizione dei suoi Paesi membri, la Organizzazione degli Stati Americani (OEA) ha presentato un rapporto in cui scommetteva sulla depenalizzazione delle droghe e per politiche che non criminalizzassero i consumatori del continente, che nel caso della marijuana rappresentano un quarto di tutti i consumatori al mondo.
A questa posizione ha aderito il presidente del Guatemala, Otto Perez Molina, ferreo difensore della legalizzazione delle droghe in Centroamerica, una zona chiave del transito del narcotraffico, che negli ultimi anni ha visto una escalation di violenza tra le piu’ alte al mondo.
Tra chi sostiene la legalizzazione e chi la rifiuta totalmente, si trovano i governi di Messico e Colombia, che sostengono che per garantire la effettivita’ di nuovi e audaci strumenti di lotta in materia, ci deve essere un grande accordo in tutto il continente.
I “cambi unilaterali di strategia non danno una soluzione ad unl problema, che va oltre le frontiere”, dice l cancelliere messicano José Antonio Meade, prendendo posizione su quanto accade in Uruguay.
Il governo di Enrique Pena Nieto (2012-2018) ha mantenuto il dispiegamento militare contro i cartelli lanciato da Felipe Calderon alla fine del 2006, quando ebbe inizio un’ondata di violenza che ha portato a piu’ di 77.000 persone uccise; e lo stesso ha fatto Juan Manuel Santos (2010-2014) in Colombia.
Alcuni esperti hanno anticipato degli scenari per il Messico, il secondo produttore mondiale di marijuana e porta d’accesso verso gli Usa, nel caso di una generalizzata legalizzazione nel continente. “Non ci aspettiamo miracoli” dice l’analista Alejandro Hoper sul suo blog “Animal Politico”, che rileva come la marijuana rappresenti solo il 20/25% del business dei cartelli messicani. Gli eventuali effetti della regolamentazione “sarebbero di segno positivo, ma il suo impatto sarebbe molto piu’ modesto”. “Non spezzerebbe i cartelli e non finirebbe la mattanza. Non si svuoterebbero le carceri e non si riempirebbero le casse pubbliche”, dice Hoper, che nel 2011 lavorava nell’intelligence del governo messicano.
L’effetto in Messico sarebbe “minimo” perche’ i criminali hanno diversificato le proprie fonti di guadagno, e quando viene meno un mercato “trovano altre alternative. Questo e’ cio’ che accadrebbe”, dice Dudley.
Il ricercatore statunitense crede che il “gran pericolo” attuale per i cartelli e’ la legalizzazione della marijuana e di altre droghe a livello nazionale in Usa, ma non si deve sovrastimare la sua importanza perche’ altri mercati di consumo stanno crescendo in modo esponenziale grazie all’aumento delle classi medie in America Latina, Russia e Cina.