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I legami del governo con i trafficanti di droga sarebbero forti e sempre piu’ evidenti. Mentre dilaga la repressione della protesta dei monaci buddisti nell’ex-Birmania da parte della giunta militare, l’Unione Buddista Italiana e’ sempre piu’ preoccupata per un “fortissimo dubbio” sulla “connivenza del governo con le organizzazioni internazionali della droga. I ragazzi che muoiono per overdose -spiega il presidente Giorgio Rasta ai microfoni di Ecoradio- hanno usato per la maggior parte sostanze provenienti da li'”.
A dar manforte a questa tesi dei buddisti italiani, il trasferimento da parte del governo della capitale del Myanmar da Rangoon a 400 km di distanza, “cioe’ all’interno della foresta, sotto la protezione di delinquenti che forniscono la droga a tutto il mondo”.
E la violenta repressione della giunta militare sta andando a colpire proprio i monaci, da sempre “vicini alla sofferenza della gente”, con i loro “Monasteri aperti al territorio”. Gli echi delle violenze sono da giorni arrivati anche in Italia, e la preoccupazione dei fedeli a Buddha della Penisola e’ sempre piu’ forte: “Il governo birmano sta violando tutti i principi buddisti. Se non manterremo forte l’attenzione su questo dramma, continuera’ a reprimere nel sangue la protesta. L’ONU non e’ potuto intervenire, la Birmania rischia l’isolamento”.
Anche perche’, ha concluso Rasta, “i funzionari delle ambasciate sono terrorizzati, sono barricati nelle loro abitazioni. E non si sa dove sia l’ambasciatore birmano in Italia”.

FERMARE I FINANZIAMENTI ONU ANTI-DROGA – Bruno Mellano, deputato radicale della Rosa nel pugno, e Igor Boni, presidente dell’associazione radicale Adelaide Aglietta, ricordano che da tempo il loro partito denuncia che ‘i finanziamenti erogati per la lotta alla droga a stati totalitari hanno il solo effetto di rafforzare i loro regimi’. ‘Valeva per i Talebani allora come vale ora per il regime dell’ex Birmania’, aggiungono i due radicali.
Boni e Mellano sottolineano che la Birmania ‘fa parte degli stati che ricevono i finanziamenti da parte delle Nazioni unite tramite l’Undoc, ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine, guidato dall’italiano Antonio Maria Costa’.

‘Il solo risultato – sostengono Mellano e Boni – al di la’ dei dati forniti di diminuzione di produzione di oppio e’ stato di creare un sinistro legame tra la giunta militare, gli eserciti di milizie etniche e la rete di coltivatori, finanziatori ed esportatori impiegati nel narcotraffico’.
Per questo, i due radicali concludono chiedendo ‘che immediatamente venga interrotto il flusso di denaro che l’Undoc fornisce al Myanmar’.

SAN PATRIGANO: NO, LA REPRESSIONE FUNZIONA -Nel mezzo della drammatica protesta contro il regime militare in Birmania, giungono dall’attuale Myanmar segnali di speranza sul fronte della coltivazione di oppio, ridotta nel giro di dieci anni di ben l’80 per cento. A portare la testimonianza di questa conversione colturale, che non riguarda solo le piante ma anche e soprattutto le persone, una coppia di tenaci “coltivatori”: Ua Bayla e Hilan Ui, coinvolti nel progetto per la regione di Wa delle Nazioni Unite e presenti con il loro stand a San Patrignano, nell’area di GoodFood, nell’ambito di Squisito!.

“Il processo di espianto della coltivazione di papavero da oppio è cominciato dal 1999. Con l’assistenza dell’Ufficio antidroga dell’Onu, stiamo provvedendo a sostituirlo con la pianta del tè, coltivata nelle varietà nera e verde. La nostra zona del resto è il luogo di nascita del tè, che ha una diffusione amplissima come bevanda”, spiegano. Il progetto Unodc si è sviluppato soprattutto a partire dal 2003 e coinvolge ormai decine di villaggi e numerose famiglie. “Noi puntiamo a un miglioramento della qualità di vita. Il nostro obiettivo non è solo stroncare le coltivazioni, ma anche abbattere l’uso degli oppiacei tra la popolazione, che incideva in modo devastante sull’esistenza delle persone”.
La coltivazione del tè permette già di sopperire al bisogno interno e di realizzare delle vendite, i cui ricavi cominciano ad essere competitivi con quelli degli oppiacei. “Si tratta di un processo in divenire, i cui progressi sono evidenti”: basti pensare che nel 2005 gli ettari sfruttati dai narcotrafficanti erano 32.800 e oggi sono ridotti ad appena un quinto.
La qualità del tè birmano, che i visitatori di ‘Squisito!’ hanno la possibilità di provare direttamente, è eccellente, grazie anche a un particolare clima-ambiente, caratterizzato da altezze molto elevate e alternanza di inverni rigidi anche sotto lo zero e di estati molto calde, con una media di 30 gradi.
Inevitabile, in questi giorni, interessarsi anche alla situazione politica della Birmania. La testimonianza di Ua Bayla e Hilan Ui è comprensibilmente prudente: “Noi viviamo in una regione dove non arriva l’eco dei disordini, che hanno come epicentro la capitale Rangoon. Anche quando siamo partiti, siamo passati in zone dove non erano in corso manifestazioni”. Nessun timore sul ritorno a casa, comunque: “E’ il mio paese, e io tornerò a casa, qualunque cosa succeda”.