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L’ultimo rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) sulla produzione dell’oppio in Myanmar della fine di gennaio stima che in quel paese la coltivazione del papavero sia aumentata del 33% rispetto alla stagione precedente. Il documento fa riferimento alla stagione del raccolto che segue il ritorno della giunta militare nel febbraio 2021 e segnala la concentrazione delle piantagioni in alcune regioni oltre che pratiche agricole molto sofisticate.

Le ragioni del picco di coltivazione, quasi 795 tonnellate nel 2022 – grossomodo il doppio della produzione del 2021 (423 tonnellate) – sono legate alle difficoltà economiche e all’insicurezza in tutto il paese oltre che all’aumento dei prezzi globali della resina di oppio utilizzata per produrre l’eroina. È indubbio che il ritorno dei militari al potere abbia creato le condizioni per connivenze o impunità che avevano caratterizzato la produzione della fine degli anni ‘90 quando il Myanmar era diventato il secondo produttore di papavero dopo l’Afghanistan. Da notare che, sempre secondo l’UNODC, nello stesso periodo in Afghanistan i prezzi dell’oppio sono aumentati vertiginosamente dopo che i talebani, tornati al potere nello stesso periodo della Giunta birmana, hanno annunciato la loro (finta) jihad contro la pianta.

La regione interessata alle produzioni intensive è quella denominata del “Triangolo d’oro” dove i confini di Myanmar, Thailandia e Laos si incontrano – una delle principali zone di produzione storica di oppio ed eroina nel mondo. L’economia birmana legata alla pianta è valutata dall’UNODCP intorno ai due miliardi di dollari, mentre il commercio regionale di eroina ne vale almeno 10.

Eppure negli ultimi 10 anni, più o meno col ritorno della democrazia parlamentare, i progetti di sostituzione delle colture e il miglioramento delle opportunità economiche in Myanmar avevano contribuito a un costante calo della coltivazione del papavero da oppio: dopo il golpe siamo tornati quasi ai livelli del 2013 quando la produzione era di 870 tonnellate.

Le Nazioni Unite hanno anche rilevato un aumento, ancora maggiore, nella produzione di droghe sintetiche, una merce redditizia che negli ultimi anni aveva soppiantato l’oppio come fonte di finanziamento per i gruppi armati che operano nelle zone di confine del Myanmar devastate dalla guerra. Se l’oppio richiede molta manodopera, le sostanze chimiche sono più facilmente producibili – anche se necessitano di strumentazioni e manodopera più qualificata -adesso che l’economia è in grande crisi e la disoccupazione dilaga, le coltivazioni tornano a essere allettanti per contadini e trafficanti. I guadagni dei coltivatori sono cresciuti fino a 280 dollari al chilo, per il periodo in esame, il che segnala anche il forte ritorno della domanda globale di eroina e codeina, oltre che di morfina, anche se non certificata.

Nel presentare pubblicamente lo studio a Bangkok, Benedikt Hofmann, country manager dell’UNODC per il Myanmar ha candidamente affermato che “la coltivazione dell’oppio riguarda strutturalmente l’economia del paese e non può essere risolta distruggendo i raccolti. Senza alternative e stabilità economica è probabile che la coltivazione e la produzione di oppio continueranno ad espandersi”. È un peccato che queste ovvietà non trovino orecchie attente presso la Commissione Droghe delle Nazioni Unite, che si riunisce a metà marzo a Vienna, e che riafferma per inerzia programmi di eradicazione delle piante proibite o presso l’Organizzazione Mondiale per la Sanità dove è noto che l’accesso ad analgesici da oppio resti una chimera per l’80% della popolazione mondiale.