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Per espresso ordine di Haibatullah Akhundzada capo supremo dei Talebani in Afghanistan è stata proclamata una guerra santa al papavero da oppio e alla cannabis. Da oltre 30 anni l’Afghanistan è il più grande produttore mondiale della pianta medicinale dove viene coltivato nelle regioni meridionali.

L’editto ricalca quanto proclamato dal Mullah Omar nella seconda metà degli anni Novanta dopo lunghi negoziati con l’Ufficio Onu sulle Droghe e, come allora, si tratta di una concessione alle pressioni internazionali per eradicare la coltura illecita che invade il resto del mondo. Non funzionò allora, malgrado i proclami dell’allora vice-segretario generale Pino Arlacchi, e non si capisce perché possa funzionare oggi, anche perché l’applicazione del divieto impoverirebbe ulteriormente il paese la cui economica continua a esser basata sull’oppio andando a erodere il già flebile sostegno popolare ai talebani.

La tempistica dell’annuncio suggerisce che il divieto però non entrerà in vigore immediatamente e, anche se i talebani sembrano essere intenzionati a imporlo, non saranno pochi gli ostacoli perché non esistono alternative a un qualcosa che annualmente ha prodotto fino a 2,7 miliardi di dollari all’anno.

Da quando nel 1994 l’Ufficio dell’Onu per le droghe e il crimine, UNODC, monitora la produzione del Papaver somniferum in Afghanistan una diminuzione significativa si è registrata solo nel 2001 – mai però del tutto “certificata”. La coltivazione afgana di oppiacei è probabilmente la più grande attività economica illegale di quel paese. Nel 2021 la produzione lorda di oppio illecito è stata stimata in 1,8-2,7 miliardi di dollari, mentre il valore totale degli oppiacei, compreso il consumo interno e le esportazioni, è compreso tra il 9 e il 14% del PIL dell’Afghanistan superando il valore registrato dalle esportazioni lecite di beni e servizi – stimate al 9% del PIL nel 2020.

Alla fine della stagione annuale di coltivazione dell’oppio (luglio 2021), l’area dedicata al papavero era stimata in 177.000 ettari, una diminuzione del 21% rispetto al 2020, con una contrazione di 47.000 ettari. La coltivazione del papavero è aumentata costantemente negli ultimi due decenni, con un incremento medio di 4.000 ettari ogni anno dall’inizio del monitoraggio sistematico. Le zone maggiormente interessate sono nel sud-ovest (79%), nella regione occidentale (10%) e al nord (6%). Le regioni orientali e nord-orientali rappresentano ciascuna il 2% della coltivazione totale, mentre sud e centro insieme rappresentano lo 0,8% della coltivazione totale.

Rispetto al 2021, la coltivazione del papavero da oppio è diminuita di circa 18.100 ettari (-50%) nella regione occidentale, di 13.200 ettari (-9%) in quella sud-occidentale, di 13.000 ettari (-57%) al nord e di 3.200 ettari (-46%) nella regione nord-orientale.

Nel momento in cui i Talebani hanno licenziato tutte le funzionarie dello stato perché donne, chiedendo loro di suggerire parenti maschi che ne potessero prendere il posto, i nuovi capi dell’Afghanistan sembrano interessati a distruggere una fonte sicura di entrate per il loro regime facendo sprofondare ulteriormente il paese nella crisi umanitaria e di insicurezza alimentare. Secondo Sima Bahous, direttrice di UN Women “le restrizioni all’occupazione femminile comportano una perdita economica fino a 1 miliardo di dollari, ovvero fino al 5% del PIL dell’Afghanistan” se a questa aggiungiamo il quasi 15% della narco-economia la catastrofe sarebbe alle porte. Il papavero è anche necessario per produrre la morfina, riconosciuta dai primi anni ‘70 dall’OMS come medicina essenziale, invece di eradicare perché non coltivare sotto controllo internazionale per legalizzare una delle poche entrate certe dell’Afghanistan?