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All’Undcp, l’agenzia per la repressione del crimine e la lotta alla droga diretta dall’italiano Antonio Costa, non brillano per fantasia ma sanno fare i conti. E se il 2006 era stata una buona annata per l’oppio afgano, con 6.100 tonnellate di produzione che coprirebbero i nove decimi del fabbisogno mondiale, nel 2007 le cose potrebbero andare ancora meglio.
I dati più aggiornati sono contenuti nel «Afghanistan Opium Winter Rapid Assessment Survey -February 2007» che attesta come nel 2007, in quasi tutte le province afgane, la produzione migliorerà. A cominciare dall’Helmand, storico granaio del papavero afgano e sede del maggior mercato di oppio ed eroina. Con i suoi 70 mila ettari coltivati, la provincia di Helmand, teatro degli scontri più feroci coi talebani e luogo del sequestro di Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori locali, rappresenta quasi la metà dell’intero spazio destinato alla mono/narcocoltura. Il 100 per cento dei villaggi dell’Helmand sarebbe occupato nella produzione di oppiacei, dice il rapporto sul trend per l’anno in corso, con una percentuale appena inferiore (93%) nella confinante provincia di Kandahar, lei pure santuario talebano e del narcotraffico. Con una novità: la produzione in loco di eroina, un tempo demandata oltre confine. La trasformazione è infatti il grande valore aggiunto del business: ogni 10 chili di oppio (del costo di circa 200 dollari) se ne trae un chilo di eroina che sul mercato occidentale rende mille volte tanto.
L’oppio è in sostanza un buon business per tutti, compresi i contadini: rende molto e non comporta alti costi di produzione. Alimenta poi l’economia sommersa di un paese allo sfascio. E, infine, paga la guerra sempre in cerca di finanziamenti. Osmosi perfetta. Il narcotraffico se ne serve per proteggere i carichi. I talebani per finanziarsi, nonostante il moralismo della loro ideologia che, ai tempi dell’emirato, fece sospendere la coltivazione del papavero. E che adesso invece fa comodo.
Il ciclo dell’oppio finisce così per creare ricchezza per tutti: dal contadino al «signore della terra», dai talebani ai «signori della guerra», gli ex capi mujaheddin, spesso con seggio parlamentare e che, nelle regioni in cui controllano il territorio, non disdegnano di proteggere i narcotrafficanti. Ma un’analisi chiara della situazione non c’è e della trama infernale che alimenta il ciclo dell’oppio si conosce troppo poco. Né c’è poi una politica univoca tra sussidi, eradicazioni, fumigazioni o monopolio dello stato con vendita controllata per fare emergere l’economia del papavero dall’illegalità. Un’idea interessante che ha fatto però poca strada.