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L’ufficio del governatore di Kandahar, provincia dell’Afghanistan meridionale, ha annunciato ieri che centinaia di ettari di coltivazioni di papavero sono stati sradicati nel distretto di Takhta Pul, a sud del capoluogo, nel quadro della lotta per combattere la produzione e il traffico di oppio e dei suoi derivati (l’eroina è il principale). Con la primavera dunque è ripresa la campagna di «eradicazione» nel paese centroasiatico, che fa circa il 90% della produzione mondiale di oppio.
Una seconda notizia però vanifica la prima: la coltivazione del papavero sembra in effetti in calo delle province meridionali di Kandahar e di Helmand, ma si sta estendendo ad altre zone che finora ne erano libere. E questo perché i prezzi dell’oppio sono così alti che coltivare papavero è il miglior investimento che un agricoltore possa fare. Questo si legge nel «rapporto invernale» diffuso a Kabul dall’Ufficio dell’Onu per le droghe e la criminalità correlata (Unodc).
Le province di Helmand e di Kandahar fanno circa il 70% della produzione afghana di oppio, e qui è concentrata sia la presenza di truppe straniere impegnate nella lotta ai Taleban, sia la campagna di «eradicazione» (l’anno scorso circa 20mila ettari di papaveri sono stati distrutti nel solo Helmand). Qui l’Unodc si aspetta un certo calo nella superficie coltivata (ma la stagione della semina sta appena cominciando, e solo intorno ad agosto-settembre ci sarà un dato realistico): ma non ci si inganni, la superficie coltivata resta notevole. D’altra parte, l’Unodc prevede un aumento della coltivazione nelle province settentrionali e di nord-est (Badakhshan, Baghlan e Faryab), e in quelle occidentali e sud-occidentali di Herat, Kapisa e Ghor. Se si considera che quattro di queste province (Baghlan, Faryab, Kapisa e Ghor) erano «poppy free» nel 2010, cioè non vi crescevano papaveri, si capisce perché l’Unodc parli di un «allarmante capovolgimento negli sforzi per ridurre la produzione di oppio», una delle maggiori fonti di reddito per le forze antigovernative Taleban, e non solo: l’oppio è una filiera su cui lucrano signori di tutte le sponde.
Dalla caduta dei Taleban alla fine del 2001 la comunità internazionale ha speso (invano) miliardi di dollari in campagne di «eradicazione» (spesso, anche in queste ultime settimane, accompagnate da scontri tra la polizia e gli agricoltori che oppongono resistenza) o di «sostituzione dei raccolti», cioè il tentativo di convincere gli agricoltori a coltivare altro. Il fatto è che il papavero è una coltivazione redditizia: il prezzo dell’oppio quest’anno è aumentato del 306%, da 69 dollari al chilo l’anno scorso a 281 dollari quest’anno (ed è il secondo anno consecutivo in cui il prezzo schizza in alto, a quanto pare a causa di un parassita che l’anno scorso aveva distrutto quasi metà dei raccolti). Insomma, sono i prezzi migliori dal 2004: a queste condizioni «non c’è altra derrata agricola che possa competere», ha fatto notare il rappresentante del Unodc per l’Afghanistan, Jean-Luc Lemahieu. Un articolo dell’Institute for War and Peace Reporting inoltre fa notare che molti tornano a coltivare oppio, dopo averlo abbandonato negli anni scorsi, perché le promesse di assistenza nello sviluppo agricolo non sono state mantenute.
Le campagne di «sostituzione» in effetti comprendevano la donazione di sementi insieme a fertilizzanti e a progetti di infrastrutture come strade e ponti. Ma non sempre così è stato, e l’Iwpr cita un agricoltore infuriato: «Offrono 14 chili di semente di grano a uno che ha 5 ettari, ci prendono in giro?»