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Il volume Cocaina, Il consumo di controllato, (a cura di Grazia Zuffa, Edizioni Gruppo Abele, 2010, 14 Euro) offre a ben guardare una panoramica più ampia dei consumi di droghe, degli approcci teorici e delle conseguenti scelte di politiche pubbliche, oltre la cocaina. Ne sono esempio gli scritti finali, vere lezioni magistrali di due sociologi. Il primo, il belga Tom Decorte, fornisce un quadro convincente del modo in cui i controlli formali/legali (le norme penali di proibizione) impediscono l’ottimizzazione dei “controlli informali”: cioè di quella cultura della autoregolazione dei consumi che nel caso delle droghe illecite è costretta a nascondersi nelle catacombe, a rendersi invisibile, restando ristretta all’esperienza del singolo o della piccola cerchia amicale; quindi a rinunciare al suo ben dimostrato potenziale di prevenzione e riduzione del danno. Poi l’analisi dell’olandese Peter Cohen aggiunge un carico da novanta ai disastri causati dagli indirizzi attuali. Infatti dimostra quanto sia arbitrario il modo di applicare il concetto di dipendenza e l’etichetta di addiction ai consumatori, sulla base di scelte ideologiche ed emarginanti. E inoltre dimostra quanto sia  antiscientifica la traduzione post hoc, spesso grottescamente tautologica, di tali scelte in modelli neurologizzanti mirati a legittimare il modello “malattia” e le scelte operative che ne discendono, così favorendo il noto fenomeno dell’autoavveramento di profezie negative.      Il volume si apre con la secca requisitoria di Livio Pepino contro l’attuale normativa. Questa ha tra l’altro instaurato un “diritto penale dell’apparenza”, criminalizzando il possesso di quantità di droga anche al di sotto della soglia penale se “…per modalità di presentazione…ovvero per altre circostanze dell’azione … appaiono destinate a un uso non esclusivamente personale” (e così si aizzano i mastini a sbranare innocui consumatori trasformati ope legis in spacciatori). Seguono due documentati capitoli di Grazia Zuffa dedicati, il primo, alla confutazione della tesi delle droghe come sostanze  incontrollabili; il secondo a una esaustiva rassegna critica della letteratura internazionale sul controllo dei consumi di droghe. Questo capitolo e il quarto di Susanna Ronconi, rendiconto di una approfondita ricerca qualitativa su consumatori di cocaina del sommerso torinese – cioè  soggetti “invisibili” che si tengono lontani dai servizi – servono a comprendere meglio la infinita varietà degli stili di consumo e delle relative motivazioni: da quelli più o meno costantemente non problematici a quelli oscillanti, con picchi di consumo elevato o addirittura di sballo, e valli di consumo basso anche sino all’ astinenza. Agli stessi risultati approda, pur con con un approccio parzialmente diverso ma altrettanto convincente, la ricerca toscana illustrata nel capitolo di Stefano Bertoletti e Patrizia Meringolo.    Queste analisi confermano quanto già accennato a proposito sia della scarsa solidità del concetto corrente di dipendenza, sia  dei gravi impedimenti che i controlli formali e le norme penali oppongono alla socializzazione della cultura del controllo/autocontrollo, quindi alla tutela della salute. Allo stesso tempo si svelano chiaramente gli ostacoli che una tale situazione oppone al miglioramento della qualità dei servizi: questi, vedendo per lo più solo la punta dell’iceberg (il consumo problematico) non sviluppano un know e un  know-how  basato su tutto l’ampio arco delle esperienze di consumo, che potrebbero rendere assai più efficace l’azione di prevenzione, assistenza e cura. Lo stesso tema ricorre da un diverso punto di vista nel capitolo di Claudio Cippitelli su luoghi, culture e soggetti dei consumi non dipendenti, dedicato soprattutto ai nuovi consumi giovanili. Insomma queste analisi, insieme a quelle sui modelli di uso di alcol in differenti culture giovanili presenti nel recente volume curato da Franca Beccaria, forniscono indicazioni precise e inconfutabili sui cambi necessari di normative e  indirizzi operativi nel campo delle droghe sia lecite che illecite.
Ma il re, come nell’antica favola, da quest’orecchio continua a non sentirci.