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Per i soldati americani della compagnia ‘Bravo’ del 2° battaglione, 1° reggimento, l’ultima missione in Afghanistan è stata un vero inferno. Da quando lo sorso luglio hanno lasciato con la loro compagnia (la quinta della 2^ divisione di fanteria ‘Testa d’indiano’) la base di Lewis-McChord a Tacoma, nello stato di Washington, per essere schierati a difesa dell’avamposto ‘Ramrod’, sul fronte di Kandahar, non hanno mai smesso di combattere.

Una serie ininterrotta di imboscate, attacchi notturni e violenti scontri a fuoco nei quali hanno visto molti loro compagni perdere la vita, altri la testa. Molti di loro hanno iniziato ad abusare di alcol e droga, e a sfogare le proprie angosce con la violenza, sia contro i compagni che contro gli afgani.

Il soldato semplice Jeremy Morlock, 22 anni, originario di una sperduta cittadina dell’Alaska, era un tipo difficile già prima di arrivare in Afghanistan: coinvolto in un omicidio a soli 15 anni, un passato da picchiatore nella squadra di hockey su ghiaccio al college, una condanna per violenze domestiche e numerose punizioni per insubordinazione sotto le armi. La guerra ha tirato fuori il peggio di lui.

Lo scorso gennaio, lui e altri due soldati della ‘Bravo’, Calvin Gibbs, 25 anni, originario del Montana, e Andrew Holmes, 19 anni, dell’Idaho, sotto l’effetto di droghe hanno preso Gul Mudin, un civile afgano, forse un prigioniero, e lo hanno ammazzato scaricandogli addosso interi caricatori di mitra e lanciandogli contro delle bombe a mano.

Il 22 febbraio, Morlock e Gibbs hanno ripetuto l’impresa, stavolta insieme a un altro soldato, Michael Wagnon, 29 anni, di Las Vegas. La tecnica usata è stata la stessa: raffiche di mitra e granate. La vittima prescelta, sempre un civile afgano, si chiamava Marach Agha.
La coppia è tornata a colpire di nuovo il 2 maggio. In questo caso con loro c’era il soldato Adam Winfield, 21 anni, originario della Florida, e la vittima sacrificale rispondeva al nome di Mullah Abdallah.

Tre giorni dopo, Morlock e Gibbs hanno tirato giù dalla branda un loro commilitone e lo hanno picchiato selvaggiamente fino a ridurlo in fin di vita. La sua colpa era quella di aver denunciato ai superiori che diversi soldati della compagnia facevano uso di droga. In ospedale, dopo aver ripreso coscienza, il soldato ha deciso di raccontare anche degli omicidi.
Così è partita l’inchiesta militare che ha portato al rimpatrio immediato dei cinque soldati, che ora rischiano l’ergastolo o la pena di morte.