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ROMA – “Stefano Cucchi come mio figlio Federico e come Gabriele Sandri”. E’ Patrizia Aldrovandi a unire quei tre tragici destini dal denominatore comune di una morte avvenuta per mano di “una giustizia ingiusta”. Aldrovandi, 18 anni, nel 2005 massacrato di botte da quattro poliziotti che, “nonostante la condanna – denuncia la madre Patrizia – sono ancora liberi, in servizio, pagati dalla collettività”. Sandri, 26 anni, ucciso da un colpo di pistola sparato da un agente della Stradale. Cucchi, ultimo caso, 31 anni, morto in carcere dopo l’arresto dei carabinieri che lo hanno sorpreso con una ventina di grammi di droga. E dopo aver subito fratture alla spina dorsale, al coccige, alla mandibola, e una brutta ferita all’occhio sinistro.

Il giorno della morte al reparto detenuti dell’ospedale Pertini gli avrebbero negato anche la Bibbia. I suoi genitori, in cerca di giustizia e verità, hanno deciso ieri di divulgare, in una conferenza stampa al Senato (invitati dall’associazione “A buon diritto” di Luigi Manconi), le foto shock del cadavere del figlio, scattate all’obitorio. Il volto tumefatto: una maschera violacea attorno agli occhi, uno dei quali schiacciato nell’orbita, sulla palpebra un ematoma bluastro, la mandibola spezzata. E poi le immagini della schiena, fratturata all’altezza del coccige.

Chi ha ridotto così un uomo che, al momento dell’arresto, consumato dalla droga e dall’anoressia, sofferente di epilessia, pesava appena 43 chili? Nessuno, a due settimane dal suo arresto (catturato la notte del 15 ottobre, è morto in prigione il 22), sa ancora chi gli abbia procurato quelle lesioni mortali. Oppure, come se le sia procurate. La procura di Roma ha aperto ieri un’indagine. I carabinieri hanno avviato un’inchiesta amministrativa interna. Il Garante dei detenuti ha presentato un esposto. Alcuni esponenti politici hanno rivolto al ministro della Giustizia un’interrogazione urgente.

E il Guardasigilli, Angelino Alfano, alla Camera, mercoledì scorso, ha già fornito la versione del governo. “La visita al Regina Coeli – ha riferito Alfano – ha evidenziato la presenza di ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto bilaterale orbitaria, algia della deambulazione e arti inferiori”. “Il medico del carcere – ha aggiunto il ministro – ha poi dato atto nel referto di quanto riferito dal detenuto: Stefano Cucchi ha detto di una caduta accidentale dalle scale”.

Ma quando sarebbe caduto se, stando alla versione dei familiari, quelle ecchimosi al volto erano già presenti all’indomani del suo arresto da parte dei carabinieri?

“Alle 12 del 16 ottobre – raccontano i genitori – al processo per direttissima, il suo volto è molto gonfio. Alle 14, visitato presso l’ambulatorio di Palazzo di Giustizia, gli vengono riscontrate “lesioni in regione palpebrale, alla regione sacrale e agli arti inferiori”. L’Arma, tuttavia, chiamata in causa (anche se indirettamente), dalla versione della famiglia, respinge ogni accusa.

In una memoria presentata in procura, i carabinieri al pm riferiscono che “quando Stefano si trovava nella camera di sicurezza della caserma della compagnia Casilina, ha accusato dei malori. Subito è stata chiamata un’ambulanza del 118 il cui medico ha fatto una accurata visita stilando un referto che parla di epilessia e tremori senza, però, riscontrare ecchimosi o lesioni. L’uomo ha rifiutato ogni cura ed eventualmente anche il ricovero. Dopo la visita Cucchi s’è girato dall’altra parte e ha detto “voglio continuare a dormire”. E così ha fatto finché è stato portato in tribunale”.

La sua morte è diventata ora un caso politico per l’intervento di parlamentari di entrambi gli schieramenti, Pd, Idv e Pdl uniti per chiedere alla magistratura di fare chiarezza e accertare le responsabilità.