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“La guerra alla droga ripropone una cultura totalitaria. Non si tratta di eliminare il problema, ma di governarlo”. Chi scrive non è un giovane dei centri sociali: è un prete, Don Andrea Gallo, 71 anni, di cui quaranta di sacerdozio, fondatore della comunità San Benedetto al Porto. L’inganno droga (Sensibili alle foglie, pp.103, L.20.000) è un’appassionata requisitoria: non contro la droga in sé, ma contro la cultura repressiva che caratterizza le politiche istituzionali in materia di sostanze psicotrope illegali. Proprio questa cultura, secondo Don Gallo, genera l’emarginazione sociale del consumatore di droga che diviene “portatore di una malattia individuale isolabile”. Assai netta è la posizione del sacerdote genovese, nei confronti della legge sulla droga del ‘90. Si tratta, com’è noto, di una normativa che a giudizio di molti osservatori anche attenti, conterrebbe una parte “solidale” oltre a quella esplicitamente repressiva. La valutazione di Don Gallo è invece totalmente negativa: “questa legge repressiva riconduce la questione sociale della droga sul terreno delle emergenze e dell’ordine pubblico”. Nella parte del libro dedicata all’AIDS, viene sottolineata l’esigenza di sviluppare una riflessione sulla condizione psicologica e sociale del malato, sul pericolo che la vita di questi sia paralizzata dalla paura della morte. Don Gallo attacca poi la “pseudo informazione”, prodotto di quella campagna ideologica che genera pregiudizi e fobie irrazionali all’interno della società. Il progetto culturale del sacerdote si basa sull’”etica della responsabilità” da contrapporre a quella dell’obbedienza, che è incapace di incidere nei confronti di una generazione che vive in modo drammatico l’incertezza del proprio futuro. Questa situazione di precarietà cresce, secondo Don Gallo, nell’indifferenza di una politica servile rispetto al “Dio mercato”. La critica al capitalismo, dura e serrata, non è un novità da parte cristiana, in alcuni casi persino ai livelli più alti della gerarchia ecclesiastica. Ciò che rende assolutamente peculiare l’elaborazione di Don Gallo è la volontà di accompagnare a questa critica l’esaltazione delle soggettività e delle libertà. Ed è proprio la “pratica della libertà” il percorso operativo scelto dalla comunità di San Benedetto al Porto, per tentare di sconfiggere la dipendenza psicologica dalla droga che, come spiega Don Gallo, ha origine nei disvalori offerti da questa società: individualismo e competitività. Rilevante è l’analisi svolta sul fenomeno del volontariato e sulle sua incidenza nell’ambito dei rapporti sociali. Se è vero, afferma Don Gallo, che attraverso il volontariato vengono colmate alcune delle lacune dello Stato sociale italiano, è pur vero che questo fenomeno pone inquietanti interrogativi. Esso può costituire un alibi per coloro che intendono ridimensionare lo Stato sociale, e il volontariato rischia di essere utilizzato per sostituire, e non per migliorare, il Welfare italiano. Il consenso politico, pressoché unanime, nei confronti delle organizzazioni “no profit” per la gestione di alcuni dei servizi pubblici rappresenta una spia allarmante di questo pericolo. Per Don Gallo non si può prescindere dalla centralità dello Stato Sociale e da un “volontariato maturo” capace di divenire un “riferimento etico per modificare i rapporti sociali”. L’inganno droga è dunque un chiaro invito a non sottostare alle culture dominanti perché, come scrive Don Gallo, “il potere è in alto. Non sarà forse perché noi siamo in ginocchio?”