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Mentre scriviamo, la commissione Affari sociali della Camera dei Deputati ha di nuovo rinviato l’approvazione del disegno di legge di riforma del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga. Com’è noto l’approvazione del disegno di legge si è sempre arenata sullo scoglio della riduzione del danno. Questa volta la “pausa di riflessione” è dovuta alle polemiche suscitate dalle dichiarazione del procuratore Galli Fonseca sulla somministrazione controllata di sostanze stupefacenti. Anche alla luce di tali estenuanti polemiche, diventa particolarmente interessante capire come ha funzionato il Fondo in questi anni. Siccome il Parlamento ha approvato, stralciandolo dal disegno di legge complessivo, l’articolo che sanava gli effetti prodotti dai decreti-legge succedutisi in questi anni, è possibile sapere a quali, tra i progetti proposti dalle associazioni e dalle organizzazioni di volontariato per gli esercizi finanziari del 1994 e 1995, sono state effettivamente destinate le risorse economiche. La prima questione che emerge dall’analisi dei dati è l’esiguità dei progetti di riduzione del danno: su 984 progetti proposti solo 19 rientrano in questa categoria, e, tra questi, solo 7 sono situati in Regioni meridionali. In termini strettamente economici, questo significa che, nel 1994, su poco più di 48 miliardi di lire assegnati, poco meno di un miliardo era destinato alla riduzione del danno. Nel 1995, a un leggero aumento della spesa complessiva corrisponde un incremento dei soldi destinati ai progetti di riduzione del danno; un incremento significativo rispetto al finanziamento specifico dell’anno precedente (si tratta sostanzialmente di un raddoppio degli stanziamenti), ma ancora irrisorio rispetto all’ammontare complessivo dei finanziamenti.

La gran parte dei fondi è destinata alla prevenzione e al reinserimento lavorativo di ex-tossicodipendenti. Basta pensare che la comunità di San Patrignano ha ricevuto due finanziamenti, uno di 295 milioni di lire e l’altro di 708 per due progetti di “reinserimento lavorativo di soggetti tossicodipendenti in fase già avanzata del programma riabilitativo”, eguagliando così da sola la cifra destinata nel 1994 alla totalità dei progetti di riduzione del danno finanziati sul territorio nazionale. Vi sono anche altri progetti finanziati in modo così ingente. Il progetto “Management” del Ce.I.S. di Roma ha visto assegnati 800 milioni di lire nell’esercizio finanziario del 1994 e 500 milioni in quello del 1995. Non viene invece sostenuto l’impegno per l’inserimento lavorativo di persone in condizione attuale di dipendenza da sostanze stupefacenti. Gli unici due progetti che andavano in questa direzione, uno a Bergamo e l’altro a Vicenza sono stati bocciati. Eppure tale intervento è considerato decisivo in quei Paesi che seriamente perseguono la riduzione del danno; non a caso, accompagna anche le sperimentazioni controllate di somministrazione di eroina. Fa, cioè, parte di una complessa rete di interventi necessari alla tutela della salute dei consumatori, che è chiaramente intrecciata alla qualità della vita e alla promozione della capacità di autodeterminarsi. Invece, grande attenzione viene data al reinserimento dei “guariti”. Sono veramente tanti i corsi di formazione professionale finanziati. Sarebbe interessante verificare se tale formazione riesce realmente nel suo scopo. Un’altra voce molto presente è quella dei fondi destinati al recupero di strutture o alla ristrutturazione di locali, sia destinati a essere la sede della comunità che all’utilizzo per attività lavorative.

Va positivamente annotata la scelta fatta dalla ministra Livia Turco, che ha proposto di utilizzare subito i fondi residui, redistribuendoli tra i progetti approvati. Bisogna però anche ricordare che, a causa delle difficoltà politiche di cui dicevamo, tutti questi progetti sono stati esaminati nell’estate del 1997. Questo significa che sono passati anche tre anni tra l’avvio del progetto e lo stanziamento dei fondi. Questo ritardo colpisce in particolar modo le politiche più innovative e la possibilità di sperimentare nuovi modi di intervento. Mentre la comunità comunque percepisce le rette dal Servizio sanitario nazionale per le persone che ospita, un’unità di strada è seriamente penalizzata dal ritardo del finanziamento. In questo modo, il Fondo non riesce ad essere uno strumento di intervento a sostegno di una diversificazione dell’offerta di servizi, ma rischia di sostenere principalmente esperienze consolidate. Il ritardo dei finanziamenti si traduce in un ritardo politico, che indebolisce la possibilità di sperimentare servizi diversi.