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La terza e penultima puntata sulla docu-serie italiana “SanPa” vista dai media stranieri è dedicata a quelli francofoni. Chiariamo innanzitutto che, a quanto pare, il prodotto televisivo in questione non ha avuto alcun risalto in Francia. C’è poco o nulla sulla stampa generalista, quella mainstream, dove sembra essere passata inosservata nonostante il titolo ad effetto della versione francese: “SanPa. Une cure au purgatoire” (una cura al purgatorio), rimembrando Dante e l’ormai arcinoto “mondo di mezzo”, nel quale buoni e cattivi si confondono tra “luci e ombre”. Anzi, come mi ha confidato il ricercatore francese Romain Legendre, «Oltralpe, al pari dell’Italia, il tema delle dipendenze ormai è argomento tabù quanto la questione mafiosa, nonostante la recente nuova epidemia di crack che si è vista per le strade». Insomma, anche superando le Alpi di questi tempi completamente innevate, persino tra gli addetti ai lavori (leggi mondo dell’informazione) sembra di capire se ne conosca a malapena il titolo. Senza avere contezza del suo contenuto. Detto ciò, vi presentiamo ugualmente tre articoli in lingua francese che abbiamo rintracciato.

Il primo lo scrive da Parigi il giornalista Beniamino Morante, italiano almeno di nome, cognome e in parte di formazione (si è laureato nel 2010 in Scienze politiche e Relazioni internazionali all’Università degli studi di Roma Tre). A pubblicarlo sul numero del 28 gennaio 2021, il Courrier International, settimanale francese che traduce e manda alle stampe estratti di articoli da oltre 900 riviste e giornali internazionali (l’equivalente del nostro Internazionale), aggiungendo anche contenuti originali come questo. Nell’inquadrare il fondatore della comunità di San Patrignano, Morante lo definisce «una figura» che «non è mai passata inosservata». Anche per l’aspetto fisico: «Un metro e novanta, fisico corpulento, occhi morbidi quanto impenetrabili. Prima ancora di aprire bocca, Vincenzo Muccioli colpiva il suo interlocutore per il suo aspetto». A suo parere è probabilmente questo «uno dei motivi che hanno reso quest’uomo scomparso nel 1995 un mito, adulato da alcuni, odiato da altri. Un personaggio che segnerà in ogni caso l’Italia degli anni Ottanta, la cui insolita carriera resta controversa».

L’articolo di Morante lascia poi spazio alla genesi della comunità di Muccioli, ben agganciata alla storia del nostro Paese: «Nasce nel 1978, a nord della costa adriatica, sulle colline che circondano la cittadina di Rimini. L’Italia cominciava allora ad uscire gradualmente dagli “anni di piombo”, periodo in cui l’estrema violenza della lotta politica costò la vita a tanti giovani. Ma quando alla fine degli anni Settanta la lunga ondata di proteste del 1968 si placò, la disillusione dei sogni di rivoluzione infranti fu addolcita da una nuova droga che invase le strade della Penisola: l’eroina». Il pezzo di Morante contiene inoltre (siamo come detto sul Courrier International) piccoli estratti di quanto scritto sulla docu-serie dalla stampa italiana (Wired, La Repubblica, L’Espresso e il Post), conditi con commenti e raccordi dell’autore. Ne fa ad esempio ricorso quando parla del declino provocato da «accuse e scandali», elencando «suicidi, punizioni corporali, persone incatenate per prevenirne la fuga e persino un omicidio», che negli anni Ottanta «fanno gradualmente oscurare l’immagine» della comunità e del suo fondatore. Ecco perché la docu-serie, spiega il giornalista italo-francese, «fa sollevare allo spettatore una miriade di domande». Da quelle «in merito al personaggio di Muccioli (che non è mai finito in galera) ad altre più filosofiche: abbiamo diritto di porre il fare del bene al di sopra della legge? Si può sottoporre a trattamento qualcuno contro la propria volontà?». Le risposte sono dentro ognuno di noi.

Il secondo articolo che vi proponiamo è de l’Opinion, quotidiano parigino che si autodefinisce liberale, pro-business ed europeista, fondato nel 2013 da Nicolas Beytout (ex editore de Le Figaro e Les Échos) sulla falsa riga dell’italiano Il Foglio o dello statunitense Politico. A firmare il pezzo su “SanPa”, l’italiano Francesco Maselli, corrispondente da Roma della testata, nonché autore di articoli anche per il quotidiano online milanese Linkiesta. Già nelle prime due righe, il suo servizio mette le mani avanti spiegando che «la comunità di San Patrignano ha aiutato più di 25.000 italiani a disintossicarsi dall’eroina e reintegrarsi nella società. Il tutto, gratuitamente». Maselli chiarisce poi ai lettori francesi che «la comunità è al centro del dibattito pubblico italiano da quasi vent’anni». A suo dire, essenzialmente per due motivi. «Primo per la sua missione: i tossicodipendenti, gli “zombie”, erano un problema gigantesco che all’epoca nessuno conosceva né voleva affrontare». Di contro, sostiene ancora il giornalista italiano su l’Opinion, «San Patrignano aveva fornito una risposta ai parenti di questi giovani che erano entrati in un ciclo di autodistruzione». Il secondo motivo erano ovviamente «i suoi metodi, al limite dell’illegalità», come «imprigionare i tossicodipendenti ospiti e incatenarli per impedirne la fuga», ma anche la «necessità di doverli a volte picchiare».

L’articolo dà poi spazio alle varie denunce e al cosiddetto “processo delle catene”, conclusosi con l’assoluzione di Muccioli in Corte d’appello (dopo la condanna in primo grado). «Un metodo che secondo i detrattori della comunità ha portato a numerosi episodi di violenza all’interno della struttura, culminati con l’omicidio di Roberto Maranzano». Per il quale, dopo aver confessato l’omicidio, sono stati condannati i collaboratori di Muccioli, mentre il fondatore ha ammesso di essere a conoscenza del delitto e dell’occultamento del cadavere senza avervi partecipato». Per Maselli, «SanPa descrive l’Italia degli anni Ottanta, appena uscita dagli anni di piombo e dal terrorismo politico, la cui disperata gioventù aveva trovato rifugio nella droga. La serie evidenzia anche come il dibattito intorno a San Patrignano avesse anticipato la polarizzazione della società italiana: Muccioli era costantemente in televisione, corteggiato dalla politica e dagli imprenditori che ne finanziavano le attività, in particolare la famiglia degli imprenditori petroliferi Moratti. Ma aveva anche molti critici che – ammette il giornalista italiano – lo vedevano come l’incarnazione della tendenza italiana ad affidare il suo destino a un uomo forte, mettendo in dubbio il suo modo autoritario di gestire San Patrignano». A suo dire, «all’epoca non c’era alcuna sfumatura: tutti erano a favore o contro Muccioli». Nel tirare le somme su l’Opinion, Maselli però non ha dubbi scrivendo che «la comunità può essere considerata un successo: ha salvato tanti giovani, dando loro una speranza, un nuovo lavoro, la possibilità di rientrare nella società».

L’ultimo articolo che segnaliamo è di 360°, magazine Lgbtq della Svizzera romanda (ha sede a Ginevra) nato dal 1998 pubblicando dieci numeri l’anno spediti agli abbonati e alle sedi dei propri partner. Il loro pezzo sulla docu-serie italiana, firmato dal giornalista Antoine Gessling e pubblicato il 12 gennaio 2021, nel ricostruire il contesto storico dell’epoca e le origini della comunità parla di «un’Italia impotente nel combattere il flagello dell’eroina che ne decimava la gioventù (…) di un’oasi agricola diventata un’indispensabile punto di riferimento». In merito al fondatore, di un Vincenzo Muccioli «gigante baffuto dallo sguardo magnetico (…) padre di famiglia tenero con i suoi “figli”, che sa anche cercare la pecora smarrita distribuendo schiaffi e dando pacche sulle natiche. Il suo metodo piace alle famiglie, entusiasmando presto politici e giornalisti». Per Gessling «chiudiamo gli occhi sui casi di violenza che emergono fin dall’inizio: ospiti incatenati e rinchiusi a volte per diversi giorni», metodi che «valsero a Muccioli il suo primo processo». L’articolo di 360° la definisce «violenza a scopo terapeutico», ricordando «l’istituzione di un sistema gerarchico di sorveglianza e repressione» dentro la comunità di recupero.

I “veterani” di San Patrignano, si legge ancora nel servizio di 360°, «conservano per Muccioli sinceri sentimenti di ammirazione e amore», anche se questo «non gli impedisce di volgere uno sguardo lucido alla violenza quasi da campo di concentramento che ha preso piede nella comunità con il consenso del suo fondatore». Anche se, al contrario, «altri minimizzano gli eccessi, ritenendoli menzogne e strumentalizzazioni politiche». Per Gessling, gli autori della docu-serie «aprono tante porte: denaro, misticismo, politica, mafia, sessualità… Mettono in luce le motivazioni a volte oscure dei protagonisti dell’epoca… a cominciare da quelle dello stesso Vincenzo Muccioli». L’autore dell’articolo del magazine elvetico Lgbtq 360° si chiede infine «da dove venga la sua energia, la sua fermezza e la sua insaziabile bulimia d’amore in mezzo ai suoi ragazzi». Giungendo alla conclusione che «questi segreti, come quello delle cause della sua prematura scomparsa nel 1995, restano custoditi all’interno della sua stessa famiglia». Anche questa terza puntata è giunta al termine. Vi ricordo che la prossima e ultima, di questa carrellata di articoli della stampa estera sulla docu-serie italiana “SanPa”, sarà dedicata agli articoli dei media specializzati in dipendenze, sostanze psicoattive e politiche correlate.