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Da omicidio colposo a omicidio preterintenzionale. Cambia la fattispecie del reato ma non l’obiettivo perseguito dalle parti coinvolte nel caso Aldrovandi. Si rifà all’articolo 589 del codice penale il capo di imputazione che il pubblico ministero Nicola Proto e il procuratore capo Severino Messina addebitano ai quattro agenti indagati per il caso Aldrovandi.

Dalla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari è questo il particolare più rilevante che emerge ai fini del prosieguo della vicenda.

I poliziotti che erano intervenuti in via Ippodromo quella tragica notte del 25 settembre che avrebbe visto la morte di Federico Aldrovandi durante una violentissima colluttazione, erano stati infatti iscritti lo scorso febbraio nel registro degli indagati per omicidio preterintenzionale.

“Era un’ipotesi impraticabile – commenta soddisfatto Gabriele Bordoni, avvocato della difesa – e questa imputazione si allaccia meglio ai risultati della perizia per la quale le modalità di intervento della polizia non state rilevanti ai fini del decesso”.

“Si tratta di un’ipotesi delittuosa di minor gravità – aggiunge Giovanni Trombini, difensore di tre dei quattro indagati – e ammette inoltre la doverosità dell’intervento degli agenti. Nessuna azione volontaria sta dietro alla morte di Federico Aldrovandi, cadono le accuse sulla durezza di comportamento dei poliziotti”.

La notifica, infatti, mentre afferma che i poliziotti sono intervenuti nell’adempimento del proprio dovere, sostiene che la condotta dei quattro ha travalicato i limiti del legittimo intervento. E questo almeno per tre circostanze: aver omesso di richiedere l’intervento del 118, aver percosso il ragazzo per vincerne la resistenza (arrivando a rompere due manganelli) e continuando in tale condotta anche dopo averlo immobilizzato. Infine – e questo è l’addebito più grave – non aver prestato le prime cure al giovane che in più occasioni – come raccontano le testimonianze – aveva invocato aiuto, ma mantenendo al contrario il ragazzo, ormai agonizzante, in posizione prona ammanettato, rendendone così difficoltosa la respirazione.

Federico morì, secondo la perizia del tribunale, per ipossia, un’improvvisa insufficienza della funzione cardiorespiratoria, uno stress fatale che ne avrebbe provocato l’eccessiva reazione del cuore. E proprio sull’influenza nel decesso che ha avuto la posizione di compressione toracica alla quale Federico fu sottoposto per diversi minuti – ipotesi sulla quale la perizia lascerebbe campo libero alle valutazioni – che si gioca la responsabilità dei quattro agenti.

Ecco quindi che l’addebito si riferisce all’aver “cagionato o comunque concorso a cagionare il decesso”.

Contestazioni che la difesa sente di dover respingere in toto. “Dai tracciati delle conversazioni telefoniche di quella notte si evince che i poliziotti richiesero a più riprese l’intervento del personale sanitario – afferma Bordoni -, mentre per quanto riguarda l’insufficienza respiratoria, la perizia rimanda a una sindrome che sarebbe stata la causa letale. Senza di essa, pur nelle medesime condizioni, Federico sarebbe ancora vivo”.

Dello stesso tenore, anche se più ‘temperate’, le dichiarazioni dell’altro avvocato della parte civile, Alessandro Gamberini: “il nostro intento era arrivare al processo e dalla notifica di conclusione delle indagini, che esclude l’intenzione del pm di chiedere l’archiviazione del caso, traspare la medesima intenzione da parte della procura. E di questo non possiamo che esserne lieti”.

Ora gli indagati e i loro difensori hanno 20 giorni di tempo per presentare memorie e documenti, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, o chiedere di essere sottoposti ad interrogatorio. Trascorso questo tempo, di solito, si arriva alla richiesta di rinvio a giudizio della procura al giudice il quale sarà poi chiamato a fissare a sua volta l’udienza preliminare all’esito della quale, se non vengono prosciolti, gli imputati verranno processati e giudicati.

La madre di Federico, Patrizia Moretti, torna a rimarcare quanto già detto in precedenza: “Il processo è quello che volevamo anche se arriverà dopo tanto tempo di attesa e di battaglie. Federico non tornerà, ma spero che venga fuori tutta la verità e sia fatta giustizia. Questo glielo dobbiamo”.