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“Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell’immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”. Le parole della Corte costituzionale descrivono con grande efficacia il carattere universale attribuito dalla Costituzione alle libertà fondamentali della persona. Ed è questa dimensione universalistica che deve costituire il metro per guardare alla condizione giuridica dei migranti: a quella restituita, ancora una volta, dalle drammatiche cronache da Lampedusa e a quella che si va delineando sul terreno delle politiche del diritto.

Con questo metro va analizzato il disegno di legge n. 733 all’esame del Parlamento, sul quale alcune associazioni di giuristi (Antigone, Giuristi democratici, Asgi e Magistratura democratica) hanno di recente diffuso un articolato documento critico.

In adesione all’impostazione segregazionistica della direttiva sui rimpatri, il provvedimento allunga fino a diciotto mesi la durata massima della detenzione amministrativa. L’abnorme dilatazione del trattenimento e la valenza sostanzialmente punitiva che verrebbe ad assumere sono destinati ad esasperare le torsioni, sul piano delle garanzie fondamentali, di una misura che incide sulla libertà personale del migrante in forme riservate dalla legge penale solo alle misure di custodia applicate in relazione ai più gravi delitti. Il tutto, peraltro, in assenza di qualsiasi comprovata efficacia rispetto alla finalità dichiarata, ossia l’esecuzione delle espulsioni, come testimoniano le conclusioni della Commissione De Mistura istituita nella scorsa legislatura dal Ministro dell’interno. Quale funzione allora avrebbe una detenzione amministrativa di un anno e mezzo?

Il disegno di legge configura poi come reato l’ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato. Così come l’aggravante dell’irregolarità che aumenta le pene per lo straniero senza permesso di soggiorno che violi il codice penale (introdotta da qualche mese e già oggetto di eccezioni di illegittimità costituzionale), il nuovo reato di ingresso e soggiorno illegale risponde alla logica del “diritto penale d’autore”: viene sanzionato penalmente non un fatto lesivo di beni primari, ma una condizione individuale, la condizione di migrante. Nell’ultima versione licenziata dalle commissioni parlamentari, la pena stabilita per il nuovo reato è solo pecuniaria, ma è anche prevista l’espulsione come sanzione sostitutiva applicabile dal giudice penale, un’espulsione questa che verrebbe a sovrapporsi perfettamente all’espulsione come sanzione amministrativa. Di qui nuovamente l’interrogativo sulla funzione del nuovo reato: a cosa serve raddoppiare in sede penale una misura che già l’autorità amministrativa è tenuta a disporre?

In realtà, proprio l’impossibilità di individuare in queste innovazioni una funzione coerente con lo scopo proclamato (l’effettività delle espulsioni) ne rivela una razionalità orientata alla disuguaglianza e alla formalizzazione di una condizione giuridica fondata sull’esclusione. Qualche anno fa, nella sua Cronaca da un campo rom, Marco Revelli ha denunciato la perversione dell’idea di democrazia, da strumento a ostacolo del principio di eguaglianza; più di recente, Gustavo Zagrebelsky ha ricordato che senza uguaglianza, la libertà vale come garanzia di prepotenza dei forti, cioè come oppressione dei deboli. La condizione dei migranti rappresenta, non da oggi, un laboratorio che esprime tendenze di fondo delle politiche del diritto: è con questa consapevolezza che dobbiamo guardare alle normative che si vanno delineando, ricordando che, come diceva Luigi Di Liegro, nulla come la normativa sugli stranieri ci dice in maniera profonda che cosa siamo.

Che cosa siamo e, possiamo aggiungere, che cosa stiamo diventando.