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Il 27 e 28 novembre si svolgerà a Genova la conferenza nazionale sui problemi relativi alle sostanze stupefacenti e psicotrope. Ufficialmente è la sesta conferenza, ma è il caso di precisare che la quarta convocata a Palermo da Carlo Giovanardi fu un flop gigantesco e che la quinta organizzata a Trieste nel 2009 dall’allora capo del Dipartimento antidroga, Giovanni Serpelloni, fu un evento blindato, senza la possibilità di un confronto di idee. Il movimento di riforma della politica delle droghe ebbe la forza di organizzare una controconferenza, con Andrea Gallo. Proprio in quella occasione, reduci dall’appuntamento Onu di Vienna (dove il Presidente boliviano Evo Morales sul palco masticò foglie di coca), presentammo il primo Libro Bianco sugli effetti di tre anni di applicazione della legge iperproibizionista e punitiva, la Fini-Giovanardi.

Dunque, l’ultimo vero dibattito risale alla terza conferenza che si tenne proprio a Genova nel novembre del 2000, convocata dalla ministra della Solidarietà Livia Turco. Ventuno anni dopo dobbiamo ancora fare i conti con le resistenze, assai simili, verso un’altra politica delle droghe, intelligente e umana, e perfino alla riduzione del danno (si vedano i trattamenti con eroina ignorati e il drug checking ancora controverso).

Le premesse di Genova I erano fosche, perché veniva esclusa la centralità della questione carcere, allora come ora contenitore di persone colpevoli di consumo e di piccolo spaccio; tanto meno si parlava di decriminalizzare il consumo e di legalizzare la canapa. Ma la rete costruita negli anni era forte e si fece sentire fuori, con cortei di migliaia di attivisti e operatori nella città, fino al carcere di Marassi; e anche dentro, con la presentazione di una associazione per la canapa medica e con la illustrazione ai ministri della piattaforma del movimento (lo fece Cecilia D’Elia, presidente di Forum Droghe a nome della coalizione).

La Conferenza che pareva segnata da un’impostazione burocratica e narcotizzata esplose per merito dell’intervento del ministro della sanità Umberto Veronesi. Una grande lezione di verità a favore della distinzione fra le droghe e della smitizzazione dei danni della cannabis: che fece indispettire il Presidente del Consiglio Amato rendendo plateale l’incapacità del centrosinistra di affrontare un tema cavalcato spregiudicatamente dalla destra. Amato definì l’intervento di Veronesi come tecnico, in realtà la delegittimazione non scalfì il peso tutto politico di una dichiarazione di fallimento della “guerra alla droga”.  Seguì poi l’ubriacatura di “la droga è droga”, con la legge Fini Giovanardi (che nel 2014 fu cancellata dalla Corte Costituzionale).

Negli ultimi anni, nel mondo ha cominciato a soffiare il vento del cambiamento: la cannabis è legale in Uruguay, in Canada e in molti Stati degli Usa.

In Italia, un gruppo di associazioni ha cercato di tenere il passo ai cambiamenti: si sono denunciati i danni inconfutabili della legge antidroga redigendo ogni anno il Libro Bianco (giunto alla dodicesima edizione). È stata elaborata una riforma completa e radicale del Dpr 309/90 sia nella parte penale che in quella dei servizi e anche una proposta specifica di legalizzazione della canapa.

Nel frattempo, nella società italiana molto è cambiato. A settembre, quando si è offerta la possibilità di firmare il referendum “niente più carcere per la cannabis”, per porre fine alla persecuzione e allo stigma per chi consuma e coltiva cannabis per sé, si è verificata una valanga di consensi. A Genova, il 26 novembre lanceremo come associazioni promotrici del referendum la campagna contro l’inerzia del Parlamento e perché la prossima primavera si possa votare con libertà e responsabilità. Tutte e tutti dobbiamo avere come bussola il monito di don Andrea Gallo: è l’ora di pensare in grande.