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Questo dodicesimo Libro Bianco chiude una fase di tre anni di riflessioni intense e disincantate. Dalla guerra dei trent’anni iniziata nel 1990, con la legge Iervolino-Vassalli voluta caparbiamente da Bettino Craxi, alla tragedia della pandemia e dei suoi effetti sul carcere, tra emergenza sanitaria e ideologia securitaria.
Quest’anno il focus è dedicato ai sessant’anni dalla prima Convenzione internazionale del 1961, che ha imposto un regime di controllo proibizionista e che finalmente mostra crepe sempre più profonde. Nel marzo scorso è stato organizzato un seminario con voci autorevoli da tutto il mondo allo scopo di indicare strade originali per uscire dalle gabbie costruite dalle narcoburocrazie.
I saggi di Grazia Zuffa, Francisco Thoumi, Martin Jelsma e Rebecca Schleifer ricostruiscono le motivazioni geopolitiche alla base delle convenzioni e la loro evoluzione, affrontando infine il difficile problema della loro riformabilità. Le ricadute di stigmatizzazione su milioni di giovani, l’ingolfamento del sistema giudiziario e le incarcerazioni di massa con l’esplosione delle prigioni finalmente hanno costretto a rettifiche di giudizio sulla war on drugs, con l’apertura di una interpretazione flessibile delle convenzioni. Insieme agli ulteriori interventi di Marco Perduca e Leonardo Fiorentini costituiscono un patrimonio di eccezionale valore.
L’altro capitolo centrale è rappresentato dalle opinioni sulla Conferenza nazionale che in maniera non ancora definita è stata preannunciata dalla ministra Dadone; purtroppo le anticipazioni del programma sono assai deludenti per i contenuti e per le modalità non trasparenti delle consultazioni della preparazione, con consultazioni a senso unico.
Dopo venti anni pare che non avremo una sede di confronto tra operatori dei servizi pubblici e privati, scienziati, movimenti di consumatori, con l’ambizione di superare arretramenti culturali assai preoccupanti e di aprirsi alla discontinuità che si sta imponendo in tutto il mondo. Le voci di Susanna Ronconi, Riccardo De Facci, Pino di Pino e Denise Amerini offrono uno spaccato da cui non si potrà prescindere nella costruzione della conferenza.
Dopo un tempo immemorabile è stata riproposta in televisione l’esperienza di Muccioli e di San Patrignano in una serie che ha suscitato molto interesse. Ha a che fare con l’ideologia salvifica e con la violenza. Per fare chiarezza e non accettare versioni edulcorate di tragedie terribili come quella di Roberto Maranzano, ucciso nella comunità e seppellito in una discarica a Napoli, abbiamo deciso di dedicare a quel capitolo una parte importante con punti di vista che dovrebbero aiutare a capire il passato e ad evitare assoluzioni pelose. Claudio Cippitelli, Maurizio Coletti, Sergio Segio, Riccardo De Facci e Susanna Ronconi tolgono il velo a mistificazioni che persistono dopo fallimenti criminali.
Veniamo però al clou del Libro Bianco che rimane la presentazione dei dati sugli effetti voluti, come diciamo da un po’ di tempo, e non più collaterali, della legislazione antidroga sulla giustizia e sul carcere. Anche quest’anno le tabelle curate da Maurizio Cianchella sono accecanti. Nonostante il numero dei detenuti entrati in carcere e il numero dei presenti siano diminuiti, la percentuale relativa alla violazione dell’art. 73 e ai soggetti qualificati come tossicodipendenti rimangono stabili se non addirittura in aumento. Il 2020 è stato l’anno del lockdown e del crollo delle attività di polizia e giudiziarie, ma la guerra ai “drogati” non si è fermata: quasi 11mila dei 35mila nuovi ingressi in carcere, più del 30%, sono stati per violazione dell’articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti, quello che vieta la detenzione a qualsiasi titolo di sostanze; 14mila dei 35mila nuovi ingressi erano di persone dipendenti da sostanze stupefacenti; il 35% delle presenze in carcere sono per violazione della legge sulla droga, ma – naturalmente – solo una minima parte per associazione finalizzata al traffico, la maggioranza per detenzione e compravendita di strada, senza associazione, da manovali del mercato nero della merce proibita.
Hassan Bassi conferma la falsificazione a fini di propaganda dei numeri degli incidenti stradali provocati da persone sotto effetto di droghe o alcol.
Ci domandiamo come sia possibile che di fronte a una evidenza dei numeri schiacciante, qualcuno ancora parli di sovraffollamento senza indicarne le cause. Qualche tempo fa il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Giovanni Salvi, di cui abbiamo molto apprezzato le indicazioni all’uso misurato della custodia cautelare in carcere durante la pandemia, in un convegno pubblico dedicato alla memoria di Sandro Margara ci disse di rassegnarci, che un Paese come l’Italia non 50, non 60, ma 70mila detenuti dovrebbe fisiologicamente avere. E perché? Per continuare a fare del carcere l’ospizio dei poveri? Così poveri che neanche le misure deflattive li fanno uscire dal carcere, perché non sanno dove andare?
Gli anni scorsi avevamo ripescato i versi di Sergio Endrigo per domandarci “Dove avevamo sbagliato” e per rimpiangere le occasioni perdute sull’onda di “Si pensava a qualcosa di meglio”. Questa volta non potevamo non ricordare Franco Battiato di Povera Patria nelle parole di speranza anche se “La primavera intanto tarda ad arrivare”.
Infatti la parola discontinuità è stata cancellata dal dizionario della politica. Non vorremmo che il cambio di responsabilità in via Arenula si risolva in una questione di stile e di preparazione, ma non in una determinazione per aggredire i problemi strutturali che incidono su carcere e giustizia.
Andrebbe messo subito all’ordine del giorno il cambiamento del Dpr 309/90. La relativa proposta è depositata alla Camera e al Senato da più legislature: occorrerebbe percorrere la strada della decriminalizzazione completa del consumo di tutte le sostanze, della legalizzazione della canapa e della valorizzazione delle buone prassi della riduzione del danno.
Si potrebbe ipotizzare la liberazione di ventimila detenuti colpiti da un reato senza vittima e si consentirebbe una grande opera di ristrutturazione delle carceri per adeguarle alle norme del Regolamento del 2000 e garantire condizioni igieniche e sanitarie accettabili, spazi adeguati per lo studio e per le attività funzionali al reinserimento sociale. Troppo ci si è affidati alle sentenze della Corte costituzionale e della Cassazione, mentre la politica si dimostra assente, e di questo parla Riccardo De Vito.
Se non ci fosse il coraggio per aggredire questo bubbone, almeno si dovrebbe premere con forza per l’approvazione della proposta Magi in discussione alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati sulla riforma della norma sui fatti di lieve entità previsti dall’articolo 73, quinto comma, di cui qui si occupa Katia Poneti.
Prima del cambio di Governo, sembrava esserci una maggioranza favorevole a questa sacrosanta, per quanto minima misura. Non è che la nuova maggioranza, con l’imbarazzante condizionamento dei “garantisti” della Lega, impedirà anche questo barlume di civiltà?
Le conclusioni sono affidate ancora a Patrizio Gonnella, con la speranza che repetita iuvant.