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La qualità di una posizione politico-culturale è data dalla capacità di avere uno sguardo alto, lucido, non legato a un proprio interesse, nonché dalla consapevolezza di trattare i fenomeni sociali come fatti complessi. Quello delle droghe è per l’appunto un tema complesso, e come tale va affrontato. Esso va indagato, disarticolato, trattato non con dogmatismi, proclami, certezze granitiche, bensì con scienza e coscienza, con il massimo rispetto per l’intelligenza delle persone, per le scelte e le sofferenze altrui e delle famiglie.
Avremmo bisogno di un grande confronto culturale, sociale, scientifico, medico, giuridico, criminologico, sociologico, filosofico e politico per affrontare il tema delle sostanze stupefacenti. Andrebbe fatto coinvolgendo gli operatori dei servizi delle tossicodipendenze, quelli delle comunità, gli educatori sociali e della salute ma anche gli stessi consumatori. Ma quale riforma sarà mai credibile se imposta autoritativamente dall’alto senza sentire il parere, le proposte, le idee, i dubbi, i problemi di chi giorno per giorno, ora per ora ha a che fare con la questione delle droghe?
Eppure in modo manicheo e sommario nel dibattito politico e di governo prevale una visione proibizionista, uni-dimensionale, per certi versi finanche più arretrata rispetto a quella che ha prodotto la cattiva legge Fini-Giovanardi del 2006. Ancor peggio che in passato, si propongono accostamenti arbitrari e unilaterali tra droga e criminalità, tra droga e carcere, tra droga e sicurezza. Non si distingue più tra le sostanze. Si arriva finanche a mettere sullo stesso piano sostanze vietate e sostanze lecite.
Era il lontano 1993, quando in un referendum voluto dai radicali, gli italiani si espressero contro gli eccessi di penalizzazione, previsti dalla legge allora in vigore, per chi consuma droga per uso personale. Da quel 1993 si sono susseguiti interventi legislativi più o meno tutti improntati alla persecuzione penale e all’identificazione del consumatore di droghe con quella del delinquente da punire con severità esemplare. Se non ci fosse stato l’intervento salvifico della Corte Costituzionale nel 2014 staremmo ancora dentro il frullatore del trattamento penale indifferenziato tra consumatori di droghe leggere e di droghe pesanti.
I cultori del punitivismo su base etica affermano con piglio sicuro che la droga fa sempre male, che loro stanno e staranno sempre vicino alle famiglie, che i negozi che vendono cannabis costituiscono un brutto segnale per la società. I ragazzi e i meno giovani sono trattati come sciocchi incompetenti, incapaci di discernere tra ciò che fa male e ciò che non fa male. Tutti i consumatori sono considerati tendenzialmente alla stregua di bambini stupidi da proteggere da se stessi.
Nel frattempo in carcere troviamo una quantità elevata, e non adeguatamente sostenuta dai servizi territoriali, di detenuti con problemi di dipendenza. Costituiscono circa un quarto della popolazione detenuta. Un’ulteriore svolta repressiva, soprattutto sulla cannabis, dove mai porterebbe? Ci vorrebbero decine e decine di carceri nuove per assecondare le pulsioni moralistiche e punitive di chi chiede più galera per tutti.
Le famiglie andrebbero viceversa aiutate attraverso una riforma penitenziaria che estenda le possibilità di accesso alle misure alternative per chi ha avuto problemi di dipendenza e ha commesso un reato nonché ci vorrebbe una riforma del sistema socio-sanitario che porti a maggiori investimenti per le politiche di riduzione del danno.
È arrivato il momento di una grande discussione pubblica, aperta, dove vi sia spazio per i livelli periferici e centrali, per tutti coloro che credono ancora nello stato laico (e non nello Stato etico), nella libertà individuale, nel principio di responsabilità e nella razionalità politico-economica.
C’è bisogno di una grande conferenza dove si discuta di tutto questo; dove si racconti quanto sta succedendo fuori dai nostri confini, ad esempio negli Stati Uniti d’America, paese nel quale, nonostante Trump, in non pochi Stati la cannabis è stata legalizzata.
Nei tempi che stiamo vivendo non c’è spazio per chi vuole introdurre embrioni di logica e ragione dentro il dibattito politico, oramai ridotto a vituperi e frasi apodittiche. Eppure è proprio in questi momenti che va riaperto il dialogo tra gli esperti, in particolare nell’interesse delle nuove generazioni. Infatti mentre gli uomini di partito hanno monopolizzato il dibattito sulle droghe con semplificazioni sconcertanti nei talk-show e sui social, i ragazzi continuano tranquillamente a vivere seguendo i loro stili di vita. Così tutto continua come prima, nel nome dell’ipocrisia e dell’obiettivo primario di strumentalizzazione dell’opinione pubblica.
Contro l’ipocrisia e gli stereotipi è viceversa necessario che si faccia un’operazione di chiarezza intellettuale, di igiene scientifica ed etica, di onestà, alla quale dovrebbero partecipare tutti gli attori del sistema pubblico.