Tempo di lettura: 2 minuti

Un muro compatto anti-inclusione è stato presentato al meeting di Vienna del Marzo 2009 con Stati Uniti, Russia, Giappone e  Colombia determinati a contrastare strenuamente le richieste della Repubblica Ceca che, a nome della Presidenza Europea, insisteva sulla necessità di reagire alla situazione di stallo creatasi sull’argomento.
Tale fronte di opposizione alla riduzione del danno ha, inoltre, ribadito l’assoluta impossibilità di raggiungere una posizione comune sull’argomento, anche solo a livello tematico, a causa dell’importanza data dall’Unione Europea alla prevenzione dell’uso delle droghe piuttosto che al trattamento e riabilitazione.
Solo il Canada, prima allineato alle posizioni degli Stati Uniti, si è mostrato disponibile a ricercare un compromesso con l’Unione Europea generando non poca preoccupazione negli altri membri della coalizione.
A metà Gennaio 2010, il constatare come l’Unione Europea non avesse di fatto ceduto sull’argomento e anzi mantenesse con fermezza la necessità dell’inclusione della riduzione del danno, ha spinto gli Stati Uniti ad elaborare insieme agli alleati un’accurata strategia di stampo quasi bellico che riconosceva la Gran Bretagna quale avversario principale, in quanto considerata portavoce più autorevole delle posizione della Ue, ma che non risparmiava nemmeno Paesi Bassi e Spagna. Le posizioni di tutti i paesi dell’Unione Europea sono state, infatti, oggetto di un’analisi accurata finalizzata ad individuarne possibili punti di vacillamento che hanno portato a cogliere nella Germania qualche incrinatura interessante e a  guardare con interesse i margini di flessibilità offerti da Francia, Belgio, Irlanda, riconoscendo in Italia e Svezia  posizioni più vicine a quelle degli Stati Uniti. L’offensiva si è, inoltre, concentrata sul linguaggio alla ricerca di un sostituzione del termine “riduzione del danno” con quello ben più rassicurante di “cura”.
Dopo il congelamento subito da anche quest’ultima iniziativa lessicale, il fronte ha deciso di muoversi a livello diplomatico spingendo gli ambasciatori fedeli ad approfittare del G8 di Vienna per convincere i colleghi dissidenti ad una revisione delle posizioni più ferme stigmatizzate come dogmatiche e improduttive.
Questa è stata solo una delle azioni programmate sulla base dell’agenda degli incontri internazionali utilizzati come occasioni cruciali in cui tentare di indebolire la posizione dell’Unione Europea e spingerla a cedere ad un compromesso confidando sulla crescita della pressione esercitata dalla mancata approvazione e divulgazione del documento a causa della contesa sulla riduzione del danno.
Rinnovati e accorati appelli alle ambasciate alleate (Tokio, Mosca Bogotà) hanno fatto eco ad un piano d’attacco che ribadiva la necessità di isolare la voce autorevole di Londra e, contemporaneamente, persuadere con arte diplomatica gli altri Paesi europei che focalizzare il documento su tematiche quali prevenzione, trattamento e riabilitazione rischiava di diffondere un’immagine erronea degli Stati non più concentrati sulla fondamentale necessità di ridurre la domanda di droga. (Chiara Babetto)