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Malta è il primo Paese dell’Unione Europea a legalizzare coltivazione e possesso di cannabis per uso personale e a prevedere l’apertura di Cannabis Social Club. Si potranno coltivare fino a 4 piante di marijuana e detenere in luogo pubblico sino a 7 grammi di cannabis. Una quantità superiore, ma fino ai 28 grammi, prevede la comparizione davanti a un commissario di giustizia che potrà infliggere ammende da 50 a 100 euro. Sanzionato anche il consumo in pubblico e davanti ai minori. È prevista la cancellazione delle condanne pregresse.

LE NORME non prevedono un sistema commerciale ma associazioni senza scopo di lucro, i club, che potranno coltivare per conto dei soci (massimo 500), e cedere loro fino a 7 grammi al giorno e 50 al mese.

Nati e sviluppatisi fra le maglie della legge in Spagna e Belgio, i Cannabis social club sono legali in Uruguay. A Malta sarà la prima volta che questi saranno messi alla prova come unico canale di distribuzione legale dei prodotti con Thc. Un modello non-profit che può limitare i rischi legati all’eccessiva commercializzazione di una sostanza psicoattiva. I club inoltre consentono la costruzione di reti sociali e culturali che favoriscono la condivisione delle esperienze e dei saperi, promuovendo un consumo consapevole.

COME DIMOSTRATO in varie ricerche, tra cui una di Forum Droghe, in questi contesti si raggiunge una maggiore capacità di autoregolazione dell’uso di cannabis e quindi di controllo dei suoi effetti rispetto alle traiettorie di vita di chi la consuma.

La nuova legge maltese è frutto di una importante azione di advocacy dell’associazione Releaf Malta che ha salutato il «giorno storico», anche perché «il governo ha mantenuto la promessa di modificare le leggi draconiane verso una politica basata sui diritti umani».

PROPRIO LA QUESTIONE dei diritti sembra finalmente essere entrata nel lessico istituzionale quando si parla di politiche sulle droghe. Il 10 dicembre, giornata mondiale per i diritti umani, l’International Narcotics Control Board (Incb) – che monitora l’applicazione delle Convenzioni Onu in materia di stupefacenti – ha emesso un comunicato in cui ha ricordato che il «diritto al trattamento e all’accesso per fini medici alle sostanze controllate» fa parte del diritto alla salute tutelato dai trattati in materia di diritti umani, e che questi ultimi devono «esser posti al centro delle politiche nazionali sulle droghe». L’ufficio di Vienna elenca quali siano le violazioni, passando in rassegna «arresti e detenzioni arbitrarie, torture, altre forme di maltrattamento e uccisioni extragiudiziali, commessi in nome del controllo della droga», aggiungendo che «il problema mondiale della droga richiede un approccio bilanciato e il rispetto del principio di proporzionalità e dei diritti umani».

Dopo anni di silenzi conniventi con le più violente politiche di «controllo degli stupefacenti», l’Incb pare aver finalmente cambiato linea. Già con la precedente presidenza dell’olandese Joncheere aveva messo sul tavolo la necessità di una revisione delle tabelle delle Convenzioni, evidenziando anche che i tre documenti «non richiedono che le persone che usano droghe, o quelle che commettono reati minori per droghe siano incarcerati».

SIGNIFICATIVI PASSI avanti rispetto a quando, a metà anni ’90, gli stessi funzionari dell’Incb si recarono al Ministero della Giustizia italiano per chiedere conto del referendum radicale del 1993 che cancellò il carcere per le persone che facevano uso personale di droghe. Allora la risposta fu «l’ha voluto il popolo sovrano», oggi pare che più che domande l’Incb sia intento a fare autocritica – anche se non lo ammette.

Ma non dappertutto le cose cambiano. Alla sua ultima sessione di inizio dicembre, la Commissione droghe delle Nazioni unite ha negato al Gruppo di lavoro dell’Onu sulle detenzioni arbitrarie di presentare il lungo rapporto coordinato da Elina Steinerte che documenta l’uso delle normative sulle droghe come strumento di violazione dei diritti umani inerenti alla libertà personale. Una decisione doppiamente grave: da una parte si conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la guerra alla droga è in realtà una guerra contro le persone, dall’altro che le Nazioni unite lavorano a compartimenti stagni, specie quando si parla di diritti umani. Gli Stati che hanno ratificato gli strumenti internazionali hanno precisi obblighi da rispettare che non prevedono solo il diritto alla salute e che sono più stringenti dai principi enunciati nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.

La legalizzazione a Malta e queste prese di posizione internazionali seguono di pochi giorni la VI Conferenza Nazionale sulle droghe del Governo e vanno nella stessa direzione. Quanto passerà prima che dai documenti si passi ad emendare le norme che violano molti più diritti di quanti ne vorrebbero proteggere?

[Fonte: il manifesto del 16 dicembre 2021]