Donald Trump rilancia alla grande la lotta al traffico di droga e alla tossicodipendenza a livello globale. «Il flagello della tossicodipendenza continua a rivendicare troppe vite negli Stati Uniti e nelle nazioni di tutto il mondo. Oggi ci impegniamo a combattere insieme quest’epidemia», ha sottolineato il Presidente americano nel corso dell’apposita riunione battezzata Global Call to Action on the World Drug Problem, come anticipazione della sessione delle Nazioni Unite a New York.
Il documento predisposto dalla delegazione Usa era già circolato nell’immediata vigilia (PDF), e anzi ai delegati dei Paesi intenzionati a partecipare all’evento è stato imposto di sottoscriverlo in anticipo e alla cieca (per evitare il blocco del sostegno economico e/o sanzioni da parte degli Usa, come nel caso di Messico, Colombia e Afghanistan). Tutti questi Paesi si sarebbero così impegnati a sviluppare nuove strategie nazionali sugli stupefacenti, comprese direttive per «tagliare la fornitura di sostanze illegali bloccandone la produzione all’origine» e prevenirne in qualsiasi modo «ogni abuso». Il Ministro italiano alla droga, Fontana, non ha perso tempo per sottoscrivere il documento.
«Il traffico di droga è legato alla criminalità organizzata, al flusso di capitali illegali, alla corruzione e al terrorismo», ha proseguito Trump. «Per tutelare la sanità pubblica e la sicurezza nazionale dobbiamo impegnarci a combattere questa piaga e a impedire ogni forma di traffico e spaccio che forniscono la linfa vitale finanziaria ai cartelli transazionali».
Il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha lodato Trump per «rifocalizzare l’attenzione globale sul problema della droga», pur se in realtà negli ultimi anni gli Usa hanno drasticamente ridotto il personale delle agenzie anti-narcotici e in generale la “posizione dura” trova sempre meno alleati a livello politico. Alcune testate hanno rimarcato come quest’uscita inattesa mira soprattutto a dare un’immagine positiva alla presenza di Trump in quest’assise, nel recente passato assai critico sull’operatività dell’Onu. Una sorta di riappacificazione reciproca, sfruttando il fatto che sul tema droghe l’Onu è stato tradizionalmente il fedele servitore delle tesi Usa, fin dal lancio della “war on drugs” con Richard Nixon nel 1971 e con la susseguente Convenzione unica sugli stupefacenti, firmata da 183 Paesi ed entrata in vigore nel 1975.
Molte le organizzazioni che da tempo denunciano il fallimento di quest’approccio repressivo, sottolineandone anche le dannose conseguenze per i diritti umani e per la sicurezza nazionale. Tra queste, la Global Commission on Drug Policy, che raccoglie leader politici, imprenditoriali e culturali, ha subito diffuso un comunicato di condanna in cui si legge fra l’altro:
Il documento dell’Amministrazione Trump propone la continuazione di politiche inefficienti, costose e dannose. Queste policy hanno portato a repressioni punitive, militarizzazione, incarcerazioni di massa, riabilitazioni forzate, e hanno distrutto famiglie e comunità intere. Ancor più importante, hanno causato la perdita di tante vite e della dignità umana. Negli ultimi 50 anni i tentativi di eradicare il flusso degli stupefacenti e di imporre misure repressive basate sul proibizionismo si sono rivelati contro-produttivi e assai costosi.
Il documento (che comunque non ha valore ufficiale) è stato poi sottoscritto da 130 Paesi, con alcune defezioni eccellenti. Tra queste, la Nuova Zelanda, la cui Prima Ministra liberale, Jacinda Ardern, ritiene che il problema droga richieda invece un «approccio di tipo sanitario», pur a fronte dell’opposizione politica interna. Analoga la posizione norvegese, che si sgancia dall’asse “nordico” confermando così le recenti decisioni più progressiste in materia. Nel 2020 la Norvegia sarà il settimo Paese europeo a lanciare un programma per l’assistenza sanitaria ai tossicodipendenti, a partire da eroina gratuita auto-somministrata in appositi centri medici per almeno 400 persone.
Va infine ricordato che in passato le stesse relazioni dell’Onu hanno messo in discussione le politiche proibizioniste, evidenziandone il fallimento e la necessità di passare a pratiche di riduzione del danno. Al di là di ovvie contraddizioni, resta da vedere se siamo di fronte l’ennesima sceneggiata di una Casa Bianca sempre più caotica, che fa la voce grossa per mettere in guardia oppositori interni e internazionali, oppure se Trump vorrà davvero tornare a un’anacronistica ‘war on drugs’, questione comunque rilevante politicamente in Usa come nel resto del mondo.
Insomma, nella migliore delle ipotesi dalla tragedia alla farsa. Confermata dall’ineffabile Ministro alla droga Fontana, che non ha perso l’occasione per sottoscrivere il documento, chissà su quale mandato politico del governo italiano.