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Sulla cannabis terapeutica esiste molta disinformazione, o cattiva informazione. Non solo nell’opinione pubblica, ma anche tra gli addetti ai lavori, cioè i sanitari. Ciò è dovuto in parte alla complessità delle regolamentazioni a riguardo, che rendono di fatto difficile ai medici prescrivere. Per non parlare poi del federalismo sanitario, per cui ogni Regione fa di testa sua, e capita così che a un paziente il farmaco cannabis sia rimborsato e ad un altro, con la stessa patologia ma che abita a qualche chilometro di distanza, non lo sia.

La formazione è prevista dal decreto del novembre 2015 che regola l’uso terapeutico della pianta. Recita infatti l’allegato al decreto:

Il Ministero della salute promuove la conoscenza e la diffusione di informazioni sull’impiego appropriato delle preparazioni magistrali a base di cannabis, sulla base dei pareri dell’AIFA e dell’Istituto superiore di sanita’, per quanto di rispettiva competenza, al fine della formazione dei medici e dei farmacisti e dell’informazione ai pazienti.

Organizzazioni quali la Società Italiana Ricerca Cannabis, la Società Italiana di Fitoterapia o l’Associazione Cannabis Terapeutica (entità scientifiche composte da professionisti che si occupano da tempo di terapia con i cannabinoidi) hanno organizzato in questi anni spontaneamente corsi, seminari, convegni, anche gratuiti. Senza aspettare che il Ministero si muovesse, questi soggetti hanno cercato di formare medici e farmacisti, rendendosi disponibili a collaborare con le autorità competenti per rispondere a questa necessità.

A quanto pare, però, la buona volontà di chi ha messo a disposizione le proprie competenze non è stata apprezzata. L’Istituto Superiore di Sanità ha deciso di essere autosufficiente, e per rispondere a quanto previsto dal decreto sopra citato ha messo online un corso di formazione a distanza. Nulla in contrario ovviamente, se non fosse che le informazioni divulgate appaiono quanto meno discutibili.

Secondo gli esperti dell’ISS, le uniche preparazioni che si possono usare sono le cartine (per decotto o vaporizzazione) e l’olio. In realtà il mercato farmaceutico da anni si avvale di resine, capsule decarbossilate, pomate, colliri e varie altre formulazioni adatte per le varie problematiche dei malati. Gli esperti del corso inoltre insegnano a preparare il decotto solo con acqua. Piccola informazione tecnica: i principi attivi della cannabis sono sostanze grasse, solubili quindi solo nei grassi e non nell’acqua. Preparare un decotto con acqua soltanto, checchè ne dicano un paio di studi fatti in laboratorio sotto l’egida del Ministero, significa buttare via preziosa cannabis, come sanno bene sia coloro che la prescrivono, sia chi si occupa di farmacologia dei cannabinoidi.

Un altro punto critico del corso riguarda gli impieghi della cannabis. A più riprese si insegna che questi riguardano il dolore e gli altri utilizzi indicati nel “decreto Lorenzin” del 2015 (spasticità nella sclerosi multipla e nelle lesioni spinali, dolore cronico, nausea da chemioterapia, cachessia e anoressia, glaucoma e sindrome di Tourette). Addirittura questi impieghi vengono definiti “indicazioni“, termine che nel contesto dei farmaci ha un significato medico-legale ben preciso: le “indicazioni” per un farmaco sono quelle registrate dal’Agenzia Italiana del Farmaco, ovvero quelle riportate nei cosiddetti “bugiardini“, e valgono solo per i farmaci industriali, non per i galenici, che vengono preparati di volta in volta dai farmacisti. Si omette invece di dire che, trattandosi appunto di farmaci galenici, vale per i preparati di cannabis la cosiddetta legge “Di Bella”, secondo la quale si possono prescrivere per tutte le patologie per le quali esista letteratura medica accreditata. Se dovessimo seguire i dettami del corso, tanto per fare un esempio, non si potrebbe usare la cannabis per l’epilessia farmacoresistente, straziante problema che molti bambini (e non solo) hanno ridotto proprio grazie all’uso della cannabis.

Immaginiamo che un corso siffatto venga ora preso come riferimento da chissà quanti medici, con il rischio così di creare ancora più confusione. Quanti corsi dovranno organizzare società quali quelle sopra ricordate per metterci una toppa?