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Novantaseimila contatti e tremila persone tossicodipendenti "agganciate" sulla strada nei primi due anni di attività, iniziata nell’agosto 1995; sessantacinquemila contatti e quasi seicento persone agganciate nel 1997: un giacimento di biografie, percorsi individuali, domande, richieste di aiuto, offerte di disponibilità. Un giacimento di conoscenze sulla scena della droga a Torino, sulle culture del consumo, sulle risorse che ci sono e su quelle che non ci sono, sull’altalenante tortuosità dei percorsi della dipendenza. Il progetto di Unità di strada gestito a partire dall’agosto 1995 da Gruppo Abele e ASL 4 di Torino sta per chiudere i battenti, arrivato a compiere il suo terzo anno di vita, come previsto dalla delibera regionale che lo ha finanziato. Non chiuderà definitivamente: è in corso un confronto tra il servizio pubblico e il Gruppo Abele per garantirne la continuità almeno fino a quando, a fine anno, prenderà il via un nuovo progetto di strada, un "bus" itinerante che l’ASL 4 sta progettando e gestirà autonomamente. Ma, per ora, è urgente continuare ad esserci: perché i clienti sono molti, perché sono assidui, perché molti non hanno che questo servizio, perché per tre anni gli operatori hanno lavorato per "entrare nelle abitudini" dei consumatori, e sparire sarebbe non solo gettare al vento lavoro, fatica, denaro, non solo ignorare il successo dei dati e delle cifre, non solo non tenere in conto il gradimento dei clienti per il servizio, ma anche sottrarre le basi materiali che per anni hanno facilitato comportamenti meno rischiosi nell’uso di sostanze, rapporti con i servizi, fronteggiamento di momenti acuti di crisi. Insomma, sarebbe negare quell’obiettivo di moltiplicare opportunità per i consumatori che è una delle finalità della politica di limitazione del danno.

EUTANASIA SILENZIOSA
A Torino, come in molte città d’Italia, si sta vivendo un passaggio cruciale: quello dello scadere dei tanti progetti di strada, da anni ancora e sempre definiti "sperimentali", e come tali legati a finanziamenti temporanei, limitati ed episodici, che non ne garantiscono la continuità. In molte città sono destinati a morire, così, senza che gli studi di valutazione – per lo più parte integrante dei progetti e loro fase cruciale, significativa – riescano a parlare della loro necessità, dei loro successi, dei loro limiti da superare; senza che, insomma, il tanto invocato esame scientifico degli esisti possa incidere sulle decisioni politiche. Senza che, insomma, la sperimentalità compia il suo ciclo e possa affidarsi a una routine, a un andare "a regime". A Torino, la situazione si profila complessa. Qui da noi, a fronte di servizi che intendono, invece, continuare su questa strada, a livello amministrativo è stata fatta la tacita scelta di non pronunciare le parole "limitazione del danno" perché danno fastidio a molti e sono definite ideologiche (curioso destino per una politica che ama definirsi pragmatica), il "camper del Gruppo Abele" (come molti lo definiscono con buona pace della partnership pubblico-privato) è l’emblema esplicito di questa politica e come tale è meglio che si defili in silenzio, evitando di riproporre con chiarezza e praticità le necessità inderogabili di una politica di governo dei rischi correlati alla dipendenza attiva da sostanze illegali (a chi importano le cifre di tre anni di lavoro?).

CONTROLLARNE CENTO PER REDIMERNE UNO
E il Comune se ne esce, per bocca di un suo assessore, annunciando trionfante l’istituzione dei City Angels (ma non sono gruppi a difesa dell’ordine pubblico?), che finalmente aggancino i tossicodipendenti per "redimerli definitivamente" (sic!), alla faccia di chi quotidianamente sperimenta e sa che la dipendenza non è un percorso lineare, che le persone non si "redimono" e, soprattutto, che il più delle volte non è "definitivamente". Alla faccia nostra, che intervistando i nostri tremila clienti abbiamo scoperto che il 32% di loro ha fatto almeno un passaggio in comunità, e che coloro che ne escono anzitempo si rifanno il primo buco entro 24 ore… Alla faccia dei cittadini, che magari credono che cinque individui col baschetto in giro per la città possano "liberarli" dai tossici… Insomma, a Torino gli interventi di limitazione del danno e la presentazione dei loro esiti (non solo il lavoro di strada, ma anche i centri a bassa soglia o il lavoro di tanti SERT) non hanno saputo creare cultura sul territorio e non sono riusciti a "fare politica", nel senso più genuino del termine, a proporre innovazione nelle politiche sociali e sanitarie sulle dipendenze. Almeno non in modo incisivo, fuori dalla propria "nicchia". EPPURE, NON SI MUOVE Eppure, abbiamo costruito buone intese con alcuni servizi, con certe agenzie abbiamo addirittura progettato insieme, e con buoni esiti, producendo nuove risorse, come il progetto Hudna, accoglienza per tossicodipendenti stranieri irregolari gestita con Comune e ASL 4. Eppure, abbiamo intessuto rapporti stabili, di periodico confronto e di progettualità comune con alcuni SERT della città. Eppure, non abbiamo dato solo siringhe, ma attivato nuove opportunità di rapporto tra servizi e "clienti di strada", conoscendo e incontrando decine e decine di operatori di tanti servizi territoriali. Eppure… Continuiamo a stare dentro a una politica locale che pare non saper coniugare il verbo "governare". Nel nostro abc, "governare" significa più o meno: rendere gestibile un fenomeno dagli attori del fenomeno stesso. E la limitazione del danno è un’ipotesi di governo della tossicodipendenza a costi umani e sociali più bassi. Gli attori sono i tossicodipendenti prima di tutti, che vanno sostenuti nella governabilità del loro stato di dipendenza attiva; poi, i cittadini che vanno sostenuti nella governabilità della loro convivenza, vicinanza, incontro e scontro con le persone tossicodipendenti; e, poi, i servizi, rispetto al loro mandato e, poi, gli enti locali, e via elencando. Se gli operatori di strada si muovono in questa direzione con i loro clienti, promuovendone abilità e responsabilità di "governo" della loro condizione, invitandoli a una logica di "convivenza", ma cittadini, enti locali e servizi continuano a marciare sulla strada della repressione o della punizione o della unicità senza alternative della proposta terapeutica, la scommessa forte di una politica di limitazione del danno è persa, e tutt’al più si salva un buon lavoro di relazione con gli utenti e qualche successo nella prevenzione. Ma è poco, per noi; è poco rispetto alle potenzialità di successo.

L’ESAME DELL’URINA COME SOSTITUTO DELLE POLITICHE SOCIALI
Non è un caso che lo scacco più evidente del lavoro di strada stia a livello della risposta socio-assistenziale: non è scattato un meccanismo di adeguamento alla scommessa di convivenza a minor costo sociale con la dipendenza. In molte città, se non hai le urine pulite dai metaboliti dell’eroina non accedi nemmeno al minimo vitale; non vieni accettato nei dormitori pubblici; se sei in metadone non ottieni una borsa lavoro. Càpita, allora, di avere degli utenti attenti e disponibili al lavoro educativo che sulla strada si fa in campo sanitario, degli utenti che con te fronteggiano momenti acuti di crisi con qualche abilità di ri-orientamento, ma che restano davvero lontani da una minima possibilità di governo reale dei loro momenti di difficoltà. Se si perde di vista questo obiettivo della governabilità da parte degli attori sulla scena, dell’attore messo nelle condizioni di governare e governarsi, il lavoro di strada muore su se stesso, e muore di solitudine, nella sua nicchia. Non sappiamo se il progetto che l’ASL rilancerà a Torino saprà fare tesoro di questa esperienza. Perché fuori da quel "fare politica", fuori dal cuore genuino del lavoro di strada, il rischio è fare l’ambulatorio sulle ruote e portarlo a spasso: con le stesse soglie, le stesse offerte, gli stessi rapporti operatore utente, lo stesso contesto sociale. E dunque, senza maggiore chance di governabilità del fenomeno e promozione dei suoi attori, tutti. Insomma, senza "valore aggiunto". In alcune città, il lavoro di strada sta diventando un meccanismo di mero alleggerimento di situazioni poco governabili: l’utenza "cronica" va al bus e non più al SERT; si alleggeriscono le presenze di massa – fastidiose – nei centri di somministrazione del metadone mandando la gente al "bus del meta", e così via. Sempre di maggiore governabilità si tratta, certo. Ma gli attori principali, i tossici, che c’entrano?