Tempo di lettura: 3 minuti

 

“Va chiarito precisamente il concetto che non esistono ‘droghe innocue’ o ‘poco pericolose’ e quindi un “uso tollerabile”, perché anche se questo da uno stretto punto di vista neurobiologico può essere forse discusso, certamente non lo può essere da un punto di vista sociale e bioetico”.L’assessore alle Politiche sociali della Regione Veneto, Raffaele Zanon, ben sintetizza linea politica e finalità del documento dal titolo “Dichiarazione etica contro le droghe”, che presenta e supporta la delibera regionale in materia di droghe e tossicodipendenza. Un documento di cui forse non sarebbe il caso di discutere troppo, se ci si limitasse ai contenuti programmatici. Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, il consueto strumentario delle politiche primi anni ’90 : priorità alla riduzione della domanda, attacco alla riduzione del danno, percorsi terapeutici “di recupero ad alta soglia tendenti alla risoluzione radicale del problema”. Quelle modalità, insomma ,che hanno fatto sì che migliaia di consumatori fossero per decenni abbandonati a se stessi da un sistema dei servizi selettivo, centrato sull’unica risposta della “guarigione”. Nulla di nuovo, se non fosse per la forte sottolineatura etica e politica del testo, che sancisce l’intenzione dell’istituzione locale di fare il suo ingresso rumorosamente in stili di vita, scelte individuali e culture dei cittadini, con l’intenzione non solo di produrre un modello culturale “prevalente”, ma anche di conformare ad esso, aprioristicamente, le politiche di intervento. Né i contributi dei numerosi professionisti del settore, ricchi di termini scientifici, riescono a sfumare l’imperativo ideologico: anzi, a proposito di “valutazione d’efficacia,” davvero l’operazione non convince. Si dribbla, innanzitutto, un fatto, e cioè che le politiche qui riproposte hanno a loro carico decenni di valutazioni d’efficacia disastrosi . In secondo luogo, in più parti si contraddice ogni assunto scientifico, affermando , in buona sostanza, che se qualche droga non fa poi così male oggettivamente, lo fa socialmente e eticamente (Zanon). Come dire: tutte le droghe fanno male perché la società decide che sia così. Qualcosa di davvero molto poco “scientifico”. Si perdono, in questo testo, tutte le distinzioni care a un pensiero laico e competente : tra uso ed abuso, tra consumo e dipendenza, tra droghe di diversa natura. L’imperativo etico, un modello di salute senza “uso non terapeutico di sostanze psicotrope”, cancella non solo scontati assunti scientifici, ma anche plurali culture – come quella di una convivenza e di un governo del consumo: citatissima la categoria della “vulnerabilità”, così preziosa quando ci dice che la soggettività c’entra con gli effetti delle droghe, ma qui utilizzata solo per dimostrare la pericolosità potenziale di tutte le droghe, e non, al contrario, per articolare un discorso sui diversi possibili stili di consumo. Ne esce una società di adolescenti, tutti a rischio, e tutti da proteggere, tutti “minori” da tutelare attraverso un'”etica di stato”. Tant’è che a scorrere gli otto articoli della Dichiarazione etica, ci si accorge che tutti i diritti dei cittadini “a vivere in un mondo senza droghe”, letti in filigrana si traducono come attacco ai più elementari diritti dei cittadini che le droghe le consumano. Solo due esempi. Un invito ad una maggior tutela dei figli dei consumatori attraverso un più ampio utilizzo di adozione e affidamento e pratiche di screening sulle donne in gravidanza. Secondo, il luogo di lavoro. ” Contesti di vita e di lavoro devono essere protetti dalle conseguenze che derivano dall’uso di droghe”, che tradotto significa: più screening sui lavoratori, più mansioni per cui si richiede il test e “programmi specifici per il proprio personale o ai propri aderenti che abbiano funzioni gestionali o di leadership al fine di chiarire il proprio atteggiamento(sic!) nei confronti delle droghe, chiarire il proprio comportamento, eventualmente riconoscere ed affrontare il problema”. Qualcosa di più, e di più rischioso, di un semplice attacco alle politiche di riduzione del danno.