Tempo di lettura: < 1 minuto

L’ULTIMO ATTO. Il 1° di aprile Romano Prodi ha firmato il decreto che chiude la lunga vicenda del passaggio delle competenze della sanità in carcere al Servizio sanitario nazionale. Dieci anni ci sono voluti per superare resistenze corporative e preoccupazioni legate alla sicurezza e dare attuazione al Decreto legislativo 230 del 1999 che molti avrebbero voluto vedere morto e sepolto. Sulla carta tutto cambia, perchè non solo gli interventi legati alla tossicodipendenza e alla prevenzione, ma tutte le funzioni sanitarie (assistenza di base, interventi di urgenza, interventi specialistici, ricovero per acuti e per patologie croniche – Centri clinici, Ospedali psichiatrici giudiziari, reparti per Hiv, reparti per l’osservazione psichiatrica, reparti per la disabilità neuromotoria – valutazioni e provvedimenti medico legali) finora svolte dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria passano alle Regioni che attraverso le aziende sanitarie dovranno garantire l’attuazione della Riforma.

È una facile previsione che, grazie anche al pacchetto sicurezza, a fine anno i detenuti supereranno le sessantamila unità: con il 27% di tossicodipendenti, con il 38% affetto da epatite C, con numerosi casi di tubercolosi e con il 7% portatore di Hiv, una umanità sofferente a cui garantire “la piena parità di trattamento degli individui liberi” anche per l’interesse della collettività.
Anche gli Ospedali psichiatrici giudiziari saranno investiti dalle nuove competenze; le linee di indirizzo prevedono un programma di superamento graduale del vecchio manicomio criminale sopravvissuto alle legge 180. Questa trasformazione assai delicata dal punto di vista di principio e per le ricadute pratiche, andrà attentamente valutata e monitorata.