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L’abilità di venditore di patacche di Silvio Berlusconi è davvero smisurata. Con l’inserimento dell’emendamento stravagante sulla sospensione per un anno dei processi ritenuti non di allarme sociale o semplicemente sgraditi, è riuscito a disinnescare ogni discussione sui contenuti del decreto legge sulla cosiddetta sicurezza pubblica, noto come l’ennesimo pacchetto sicurezza.
Ci si trova di fronte non solo a un coacervo di misure dettate dal ricorso alla categoria sempreverde dell’emergenza, ma a un vero e proprio stravolgimento dei principi di uguaglianza sanciti dalla Carta costituzionale e dai criteri universalistici del Codice Penale. L’introduzione nel codice penale di una aggravante applicabile a tutti i reati per il fatto commesso da un «soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale» traghetta il Codice Rocco dallo stato «etico»  a quello etnico.
Anche l’attribuzione al Sindaco di poteri di ordinanza in materia di sicurezza urbana segna uno stravolgimento di compiti e competenze costituzionali con il rischio di una applicazione di norme penali a macchia di leopardo e con un diritto su base territoriale.
Assistiamo anche al rilancio del ruolo dei prefetti, indicati per via normativa come commissari speciali antirom in alcune città italiane. Come è lontano il tempo, era solo l’ottobre 2006, quando Bobo Maroni capogruppo della Lega presentava emendamenti alla Finanziaria per «l’abolizione della figura del prefetto che è una vecchia battaglia leghista». In realtà la contestazione di una figura tipica del centralismo napoleonico si deve a Garibaldi che la definiva «una carica inutile e nociva» e al liberale Luigi Einaudi che nel 1944 scrisse un importante saggio sulla Gazzetta ticinese con l’eloquente titolo «Via il prefetto!».
Omaggio al modernissimo eroe dei due mondi, dal medioevo dell’ossessione securitaria!