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Fuoriluogo è a una svolta. O riesce a fare il salto e a diventare punto di riferimento per un network sociale più ampio, al di là di Forum droghe. Oppure cessa di esistere, senza mezzi termini. Un poco come accade al manifesto, fatte le differenze. D’altronde non potrebbe essere diversamente, considerati i dodici anni di convivenza. Fuoriluogo è cresciuto e maturato, grazie a e insieme con il manifesto: è parte della storia del giornale.
Veniamo ai fatti. Il recente rilancio editoriale del quotidiano ci obbliga a ripensare la nostra collocazione all’interno. C’è anche un problema economico. Attualmente le spese di Fuoriluogo sono ripartite più o meno a metà. Forum droghe sostiene completamente i costi redazionali, di grafica e di impaginazione, quelli di carta e stampa sono a carico del manifesto. D’ora in poi, ci viene chiesto l’autofinanziamento completo.
Non è solo una questione economica, comunque assai rilevante per noi; è innanzitutto una questione politica. Troppe cose sono accadute e stanno accadendo sui temi che ci stanno a cuore, è inevitabile che anche Fuoriluogo vada ridiscusso. Pensiamo alla mancata abrogazione della legge Fini Giovanardi, su cui aveva puntato il movimento di riforma della politica della droga; fino al crescendo pauroso della “sicurezza” declinata come paura/esecrazione/odio dei tanti “altri da sé”. Certo, se Fuoriluogo chiudesse, verrebbe a mancare una delle poche voci che cercano di contrastare la deriva e che si sforzano di agganciare il discorso sulle droghe ai fatti, alle evidenze, alla ragione. Ma non possiamo nasconderci che una delle nostre idee forti – la sicurezza intesa come l’arte di “gettare i ponti” con l’altro/l’altra da sé, nocciolo vero della riduzione del danno – si è eclissata dalla scena politica ed è impallidita nelle coscienze dei cittadini. Così come una delle nostre sfide più ambiziose – saper parlare ai policy makers offrendo spunti e prospettive internazionali – è in larga parte caduta nel vuoto. È vero che anche la riflessione sulla sconfitta sarebbe più difficile senza uno strumento come il nostro, specie pensando alla preoccupante afasia dei soggetti che operano nel sociale. Sulle droghe la frantumazione si avverte ancora di più: il movimento della canapa quale “non-droga” tende a separarsi da quello per la riduzione del danno (buono solo per le droghe-droghe, si dice); nel mezzo l’allarme cocaina (un tempo droga a metà, oggi la droga per eccellenza), che conquista un po’ tutti. Così, da qualsiasi parte ti giri è sempre la Sostanza (buona o maledetta) al centro: che il rischio (ma anche il piacere) dipendano solo in parte dalla chimica è verità troppo complicata per i nostri giorni, parrebbe.
Una impasse di questa portata necessita di una risposta all’altezza. C’è bisogno di un nuovo strumento che, ben oltre le droghe, sappia creare collegamenti stretti con altri settori del sociale, oggi in sofferenza. Abbiamo sempre cercato di mantenere una panoramica ampia, fra penale e sociale: ne è riprova questo stesso numero in gran parte dedicato all’immigrazione e all’integrazione degli stranieri, in Europa e in Italia. Non sempre ci siamo riusciti però. In ogni modo, ci aspetta una verifica. Se ci saranno altri soggetti, gruppi, associazioni disposti a lavorare con noi (con idee, con uomini e donne nuovi e qualche fondo), allora Fuoriluogo potrà ripartire in autunno da un nuovo progetto editoriale. Altrimenti, non c’è spazio per lo “speriamo che me la cavo”. Il giornale è uscito per tanti anni grazie all’impegno volontario di una redazione compatta e di collaboratrici e collaboratori generosi. Per parte nostra, vogliamo lavorare ancora. Ma non dipende solo da noi.