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Recentemente la Corte costituzionale si è espressa sul ricorso che le Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Liguria, Piemonte ed Umbria presentarono impugnando la legge Fini-Giovanardi (sentenza n. 387/2007). Il loro fu un atto politico significativo, per la svolta che veniva imposta dall’alto e senza concertazione sulle dipendenze. In particolare, si riteneva che fosse violato il principio di leale collaborazione, in quanto alcuni degli articoli violano le competenze regionali in materia di organizzazione dei servizi sanitari. Veniva dunque contestata quella parte dell’art. 4 nella quale la libertà di scelta dell’utente in merito al luogo di cura viene configurata come livello essenziale di assistenza: a parere delle Regioni, anche considerando la libertà di scelta come principio assoluto, esso va contemperato con le necessità organizzative e finanziarie del sistema sanitario pubblico, incidendo questa sull’assetto organizzativo regionale di alcune Regioni. Sul medesimo articolo è stato anche contestato che i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi previsti costituiscano livello essenziale. La Regione Toscana e la Regione Umbria si erano inoltre soffermate anche sulla parte dello stesso art. 4 che prevede la possibilità della certificazione di tossicodipendenza a strutture private accreditate, contestandone il potenziale impatto sul servizio sanitario. La Corte ha accolto la parte del ricorso riguardante la libertà di scelta, chiarendo che questa non è un livello minimo di assistenza bensì un principio generale per altro non assoluto perché deve “essere contemperato con altri interessi costituzionalmente tutelati”. Gli articoli che definiscono i requisiti minimi strutturali, organizzativi e tecnologici delle strutture sono a parere della Corte pienamente legittimi, e anzi opportuni, per garantire livelli uniformi su tutto il territorio e per tutelare proprio la libertà di scelta dell’utente. Alle Regioni rimane la possibilità di fissare ulteriori requisiti generali e specifici, la procedura di accreditamento e la stipula degli accordi contrattuali.
La sentenza è stata estremamente prudente, forse anche per il fatto che la mobilitazione per la modifica della legge Fini-Giovanardi si è attenuata e tale modifica non è tra le priorità delle forze politiche. Ovviamente l’impianto repressivo resta dunque confermato; d’altronde, anche se fossero stati accolti tutti i rilievi delle Regioni, non sarebbe stato intaccato il principio punitivo del consumo, l’unificazione delle sostanze e l’aggravio delle pene.

È evidente il fatto che una sentenza più coraggiosa avrebbe fornito nuovi strumenti per chi deve applicare la legge a livello amministrativo. Purtroppo l’iniziativa delle Regioni è stata isolata e finora nessun magistrato ha sollevato questioni di legittimità sulla violazione del principio costituzionale del giusto processo, circa la determinazione amministrativa di un limite di sostanze stupefacenti oltre il quale si configura automaticamente il reato di spaccio.
Questa decisione della Corte costituzionale, importante seppure limitata, conferma l’assoluta necessità di una riforma strutturale della legislazione sulle droghe e ne affida la responsabilità al Governo e al Parlamento.

*Consigliere regionale Emilia-Romagna