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Negli ultimi anni, si può dire che la conoscenza delle proprietà delle droghe e dei loro effetti sugli umani abbia fatto grandi passi avanti. Con l’evoluzione del dibattito sulla legalizzazione della cannabis, ad esempio, sembra che l’opinione corrente abbia finalmente accettato la distinzione fra le “droghe leggere” e le altre sostanze (battezzate impropriamente “droghe pesanti”). In qualche modo, le argomentazioni degli antiproibizionisti hanno contribuito efficacemente a fare luce sulla questione. Il che può essere utile sul piano tattico, – cioè per ottenere a breve scadenza per la cannabis una normativa legale diversa da quello delle altre sostanze. D’altra parte, il concetto di “diversità” fra cannabis e “droghe pesanti” rischia paradossalmente di rinforzare i pregiudizi correnti su tutte la altre droghe, il che può mettere in difficoltà le campagne per la legalizzazione. Sotto questo punto di vista il nuovo libro di Claudio Cappuccino, Dall’oppio all’eroina, un maledetto imbroglio ( Cox18 Books, Milano 1999, pp.160, £ 24.000) è uno strumento prezioso per fare chiarezza. Nel suo libro (che ha peraltro una veste tipografico-editoriale gradevolissima e razionale) Cappuccino esamina con rigore scientifico e con passione tutti i “miti”, per lo più negativi, che sono fioriti attorno alle droghe più “pesanti” (l’oppio e i suoi derivati), e riesce a smontarli. Le 37 righe iniziali snocciolano una sequenza impressionante di personaggi illustri (da quelli prevedibili di J.Cocteau, Edith Piaf e Chet Baker , a quelli sorprendenti di A. Checov, O.Bismarck, Caterina di Russia, J.W.Goethe, A. Lincoln e del Cardinal Richelieu) accomunati dal fatto di aver usato eroina, morfina o oppio. Fin dall’inizio, quindi, l’autore. tiene a spazzare via uno degli stereotipi più radicati: quello dei consumatori di oppiacei come persone incapaci di produrre e di integrarsi socialmente. Uno stereotipo che ancora oggi è considerato come una verità inoppugnabile, nonostante sia in evidente contrasto i con dati ufficiali comunicati periodicamente dalle autorità governative, che (assieme ad un elevarsi dell’età media) rivelano un “sommerso” di tossicodipendenti da eroina, per i quali la mancata percezione sociale non dipende da un eccesso di marginalità, ma dal fatto che si tratta di persone pienamente integrate sul piano produttivo e sociale, cioè paradossalmente da un eccesso di normalità. Il concetto viene ribadito da Cappuccino con un esempio eccezionale: il caso (segnalato da una pubblicazione scientifica americana) di un medico che all’inizio del secolo XIX ha convissuto con la tossicodipendenza da morfina per la bellezza di sessantadue anni, da 22 anni alla sua morte, avvenuta all’età di 84 anni. Questo caso mette seriamente in discussione un altro stereotipo duro a morire nell’opinione corrente, anche nel fronte antiproibizionista (in particolare fra i politici): il mito della “tossicità” degli oppiacei. In effetti, tutta la ricerca scientifica (ma basta consultare un dignitoso testo di farmacologia) dimostra che l’eroina è certamente meno tossica del tabacco e dell’alcol. D’altra parte, non potrebbe essere diversamente, visto che gli oppiacei sono anche e soprattutto preziosi farmaci contro il dolore e la sofferenza, usati e sperimentati in medicina da millenni e appaiono tuttora insostituibili (“certamente sono fra le poche sostanze proibite di cui la medicina non potrà mai fare a meno”, scrive Cappuccino). E la “demonizzazione” di questa categoria di sostanze, che la legge rende inaccessibili ai malati che soffrono, è probabilmente una delle conseguenze più criminali e insensate del proibizionismo. Ricordiamo, sotto questo profilo, che l’ONU ha sistematicamente sabotato tutti i tentativi che diversi governi hanno fatto per produrre legalmente l’eroina che, come farmaco antidolorifico, ha un’efficacia superiore a quella della morfina. Resterebbero molte altre cose da dire su questo libro, che è ricco di notizie inedite, di spunti interpretativi originali e validissimi sui diversi aspetti del problema (ricordiamo le stimolanti riflessioni sulla “dipendenza”) – utilissimo strumento per chi voglia approfondire il problema (per la ricchezza e la puntualità dei riferimenti bibliografici), ma godibile anche dai non addetti ai lavori, per il piglio narrativo semplice, cordiale e scorrevole, e (last, not least) per la sua compattezza