Per parlare dei giovani, del consumo di sostanze stupefacenti, di uso e abuso, per una volta ribaltiamo la questione, affrontiamola dalla testa, non dalla coda, chiediamoci perché una parte così ampia delle nuove generazioni ogni giorno "si" crea una nuova dipendenza: le droghe, certo, come l’alcool o il tabacco, lo stadio o la televisione… Compito dello Stato non può più essere quello di scambiare il sintomo per il male, reprimere i comportamenti individuali ed ignorare malesseri e disagi collettivi, sociali. Se davvero si volesse affrontare il problema a partire dalle persone e non dalle sostanze, abbandonando il paradigma ideologico e moralista del proibizionismo, si dovrebbe entrare nel merito dei bisogni, sempre e comunque inevasi, dei giovani di questo Paese, di una generazione che cresce con l’unica certezza di non poter sperare nulla di buono dal futuro, "formata" a colpi di flessibilità e precarietà, senza potersi rendere autonoma dalla famiglia, spesso e volentieri privata della possibilità di diventare adulta. L’ottica con cui affrontare la questione del consumo di droghe o meglio di sostanze psicoattive, quindi, deve essere opposta a quanto prodotto finora, abbandonando le lenti deformanti della morale, che vuole capace (e degno) di "salvarsi" solo chi ha toccato veramente il fondo e ha sofferto tutto quello che c’era da soffrire, per prendere quelle ben più utili dell’informazione, della ricerca, della sperimentazione di metodologie di riduzione del danno. Non è più tollerabile una legislazione che criminalizza e punisce i consumatori dei derivati della cannabis, costruendo su un assurdo pregiudizio, assolutamente infondato dal punto di vista scientifico, per cui fumare uno spinello è più pericoloso, e quindi più grave, che bere del vino (o, peggio, super-alcolici) o fumare sigarette, un vero e proprio controllo autoritario sui comportamenti di migliaia di giovani e sulle loro modalità di aggregazione e socializzazione. Una legge che si fonda, per essere applicata, sul controllo militare del territorio, sulla polizia e sui cani anti-droga davanti alle scuole (quando non direttamente all’interno), è una legge che pretende di normare e omologare i comportamenti dei giovani, interferire assurdamente nella sfera delle libertà individuali. D’altro canto, legge è quella che, su un terreno differente, prevede il carcere per i consumatori di droghe pesanti, dove l’eroina non è certo difficile da trovare (il 30% della popolazione carceraria è tossicodipendente), condanna al disagio e alla marginalità (ben più pericolose, spesso, delle stesse sostanze) i tossicodipendenti, producendo un circolo vizioso nel quale, per paura della repressione, i ragazzi si allontanano dai servizi sanitari, fuggono luoghi che, pur con tanti limiti, potrebbero almeno rappresentare una fonte di informazione corretta e di prevenzione. Eppure, basterebbero i dati a dimostrare il fallimento delle politiche proibizioniste, e le possibilità alternative aperte invece in altri Paesi, che da anni sperimentano politiche differenti in materia di droghe, se ad "inquinare" la discussione non intervenissero posizioni etiche aprioristiche che di scientifico hanno ben poco. Il proibizionismo, lungi dal risolvere il "problema della droga", provoca, invece, semplicemente e drammaticamente, un aumento dei danni nei consumatori, spesso e volentieri completamente ignoranti sugli effetti o sulle modalità di assunzione delle diverse sostanze. Ma i numeri, evidentemente, non bastano, o almeno finora non sono bastati. Compito delle organizzazioni politiche impegnate sull’antiproibizionismo, così come del vasto panorama dell’associazionismo di base, delle unità di strada, dei centri sociali, deve essere quindi la promozione di una vasta campagna, visibile a livello nazionale, per rimettere al centro delle politiche del governo la tutela delle persone, e della loro salute, abbandonando una volta per tutte una crociata degna di altri periodi, e non a caso inaugurata da Craxi. La campagna per la raccolta delle firme sulle due proposte di legge d’iniziativa popolare che, come Giovani Comunisti, stiamo promuovendo e contribuendo ad animare, può certamente rappresentare un primo passo importante per mettere al centro dell’agenda politica del governo la necessità della revisione completa della legislazione sul consumo di droghe, imponendo a questo esecutivo e al parlamento di abbandonare l’immobilismo dimostrato finora, condannando nettamente le "strane" convergenze che su questo terreno si sono prodotte tra aree dello stesso Ulivo e del centro-destra. Questa campagna, però, deve rappresentare anche un’occasione per produrre dibattito, informazione, per relazionarsi con diversi strati della popolazione, per costruire iniziative capaci di coinvolgere direttamente i giovani in quello che potrebbe e dovrebbe divenire un vero e proprio movimento, una mobilitazione che, a partire dall’insofferenza verso la repressione cui sono sottoposti, possa rimettere al centro della discussione i bisogni reali che le nuove generazioni esprimono, la necessità e l’urgenza di divenire protagonisti e attori della propria crescita, se solo si possedessero gli strumenti necessari alla progettazione del proprio futuro.
* Responsabile nazionale "Condizione giovanile e territorio" dei Giovani Comunisti