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Il Rapporto 1997 dell’INCB (International Narcotic Control Board, l’Ufficio Internazionale di Controllo sugli Stupefacenti dell’ONU), pubblicato il 24 febbraio 1998, dedica, come di consueto, la sua sezione più robusta all’analisi della situazione mondiale. Il quadro complessivo che ne emerge è chiarissimo: la produzione, il traffico e l’uso di droga continuano a proliferare, a dispetto del gigantesco apparato repressivo coordinato dalle agenzie antidroga ONU. Per la verità, I dati relativi ai singoli Paesi sono piuttosto vaghi, e non quantificati. Secondo l’INCB, "non abbiamo stime attendibili delle produzione di oppio in Birmania, che rimane uno dei più grandi produttori mondiali di oppio" (cap. III, par. 284). Si tratta di una dichiarazione a dir poco bizzarra, visto che un autorevolissimo Rapporto del Dipartimento di Stato USA (marzo 1997) aveva, invece, quantificato la produzione della Birmania in maniera piuttosto circostanziata (2560 tonnellate nel 1996); il Rapporto dell’INCB, peraltro, ignora tutti i dati della produzione dell’oppio in Asia o altrove, contenuti nel documento USA.

IN EUROPA VA MEGLIO, MA IL FARO SONO GLI USA
Qualche dato interessante, seppure già noto, l’INCB fornisce sull’uso di droga nel Paese-guida del proibizionismo, gli USA: si diffonde l’uso di metamfetamina, benzodiazepine e barbiturici; aumenta fra i giovani l’uso di eroina, cannabis, cocaina, LSD; non si salvano neppure i bambini, per cui il Rapporto segnala un eccesso di ricette mediche di metilfenidato (stimolante). In Europa, l’INCB segnala che i consumatori di eroina diminuiscono, e sostituiscono l’uso iniettivo con quello inalato (diminuendo così i rischi di overdose e di contagio, ma questo l’INCB non lo accenna); aumenta invece l’uso di stimolanti (cioè ecstasy) e di allucinogeni. Insomma, il quadro europeo appare complessivamente migliore di quello USA. Ciononostante, il Rapporto si dilunga in "apprezzamenti" per le campagne antidroga statunitensi, e manifesta invece preoccupazioni per la situazione europea: preoccupazioni legate non alla diffusione della droga, ma alle strategie della "riduzione del danno", su cui così si esprime: "L’INCB ribadisce (…) che la riduzione del danno è una parte importante della riduzione della domanda, ma non è un suo sostituto; (…) l’idea di un uso "controllato" o "sicuro" delle droghe illecite non è appropriata" (par. 351). Un bel saggio di ambiguità burocratica, da cui si può capire tutto e il contrario di tutto.

RISULTATI IN SVIZZERA, MA NON BISOGNA DIRLO
Il Rapporto dedica estese e imbarazzate considerazioni alla sperimentazione svizzera con l’eroina, che è peraltro monitorizzata dall’OMS: l’INCB ammette che essa "ha portato a qualche risultato positivo", ma si "rammarica che la pubblicazione di questi risultati (…) abbia portato a interpretazioni sbagliate e a frettolose conclusioni da parte di alcuni politici e dei media di parecchi Paesi europei"". Di conseguenza, l’INCB "ritiene fermamente che nessun ulteriore esperimento debba essere intrapreso fino a che il progetto svizzero non sia stato sottoposto a una valutazione completa e indipendente" (par. 367). Insomma, l’INCB raccomanda di aspettare il giudizio definitivo dell’OMS, e non fa mistero di come lo vorrebbe: "L’INCB è impaziente di sentire la valutazione medica e scientifica dell’OMS, e si aspetta che le conclusioni vengano comunicate alla Commissione sulle Droghe Narcotiche, che ha costantemente raccomandato di proibire l’uso dell’eroina, per esempio (…) nella risoluzione (…) del 23 febbraio 1978 (…) e dell’11 febbraio 1987)" (par. 369, corsivo nostro. La Commissione sulle Droghe Narcotiche è l’agenzia ONU che ha il potere di cambiare le norme sulle singole sostanze, NdR). Dalle considerazioni sulla Svizzera a quelle su altre aree mondiali, il Rapporto è contrassegnato da un atteggiamento lineare: l’oggetto dell’analisi non sono tanto le conseguenze sanitarie e sociali delle droghe, quanto gli adempimenti burocratici e il livello di ortodossia dei vari governi nazionali al Dogma della Convenzione dell’ONU.

ECCO S’AVANZA IL GRANDE FRATELLO
Questo atteggiamento viene esplicitato in maniera esemplare nei comunicati stampa e nel capitolo I che (per la prima volta negli ultimi anni) viene dedicato esclusivamente ai lati culturali, politici ed ideologici della questione, con l’eloquente titolo "Prevenzione dell’abuso di droga in un contesto ambientale di promozione alle droghe illecite". Già nelle prime righe leggiamo una dichiarazione "di principio" inequivocabile: "Il fatto che l’eliminazione di tutte le forme di uso (…) di droghe non sarà mai raggiunta non deve essere un motivo per abbandonare l’obiettivo finale di tutti gli sforzi della prevenzione, cioè una società senza droga" (par. 4, corsivo nostro). D’altra parte, spiega il Rapporto, "la prevenzione dell’abuso di droga sta diventando un impresa sempre più difficile, a causa, almeno in parte, della rapida e crescente diffusione nell’ambiente di messaggi che promuovono l’uso di droga" (par. 2, corsivo nostro). "L’abuso di droga può essere prevenuto se vengono evitati, ridotti o opportunamente modificati i fattori di rischio. (…) Fra i fattori di rischio deve essere messo in conto l’ambiente socio-culturale più vasto, che determina il modo con cui viene percepito il comportamento dei consumatori di droga – se cioè viene considerato come deviante o come accettabile da certi gruppi di persone" (par. 7, corsivo nostro) Fra i "messaggi" e i "fattori di rischio" che promuovono l’uso di droga, vengono citati: la musica pop, la "cultura della droga", gli appelli in favore della legalizzazione della marijuana, firmati da "eminenti personaggi di ogni ceto", gli "autorevoli giornali" che pubblicano editoriali in favore dell’uso medico di marijuana e della legalizzazione delle droghe, i politici che si battono per la legalizzazione, il "continuo dibattito sulla legalizzazione e la depenalizzazione dell’uso di cannabis". Ma fra le preoccupazioni dell’INCB ci sono anche attività completamente legali, collegate allo sfruttamento della pianta di canapa per uso alimentare e industriale: "Le aree in cui vengono coltivate varietà di cannabis a basso contenuto di THC, con sussidi della Commissione Europea, stanno crescendo del 40% ogni anno (…). Ma l’INCB teme che i controlli non possano essere più praticabili se le coltivazioni si estendono: quindi si appella ai governi (…) affinché tengano conto non soltanto degli aspetti ambientali ed economici, ma anche dei controlli sulla droga". "Dal 1996, la cannabis è stata usata sempre di più anche come cibo e bevanda, e alcuni prodotti contenenti cannabis sono pubblicizzati generalmente sottolineando le loro virtù (…). L’uso di canapa in cibi e bevande dà un’immagine della cannabis come sostanza innocua, commestibile e anche nutriente" (par. 24).

ANTIPROIBIZIONISMO COME REATO
Per contrastare questi "messaggi", l’INCB formula alcune concrete proposte ai governi nazionali: "L’articolo 3 della Convenzione dell’ONU contro il traffico illecito delle droghe (…) del 1988 fa riferimento al fatto di "incitare o istigare pubblicamente altre persone, con ogni mezzo (…) a usare droghe (…) illecitamente" (…), e richiede alle parti (cioè ai governi nazionali, NdR) di considerare questi comportamenti come un reato criminale nella legislazione nazionale" (par. 8). In pratica, la repressione legale del reato di istigazione a drogarsi, inteso con un’accezione così ampia, potrebbe colpire chiunque metta in discussioni le leggi proibizioniste, a cominciare dai recenti editoriali del Lancet e del British Medical Journal che hanno appoggiato la legalizzazione della cannabis, fino a movimenti, forze politiche, ricercatori scientifici che propugnano una riforma delle leggi. L’INCB si rende conto che qualche governo nazionale potrebbe non aderire alla sua proposta: "La libertà di espressione non può rimanere illimitata quando è in conflitto con altri valori o diritti essenziali. L’INCB fa notare che è stato possibile in molti Paesi prendere misure contro (…) la letteratura pornografica; spera che misure simili siano praticabili rispetto alla promozione dell’uso di droga" (par. 10, corsivo nostro). Invece, lamenta il Rapporto "in alcuni Paesi non vengono fatte restrizioni alla promozione dell’uso di droga perché la libertà di informazione e la libertà di pensiero sono considerate più importanti della limitazione della promozione delle droghe illecite" (par. 22), e "persone eminenti si sono espresse molto pubblicamente per la droga e non sono state incriminate" (par. 27). Dalla lettura del documento dell’INCB si possono trarre alcune conclusioni: 1) Fra i "messaggi" da esorcizzare, l’INCB cita quasi esclusivamente quelli relativi alla cannabis. Il che potrebbe significare che il movimento per la legalizzazione è diventato così forte da innervosire la burocrazia dell’ONU. 2) Il Rapporto non formula alcuna riflessione in merito alle proposte di riforma delle leggi. Al contrario, il dibattito sulle riforme, e il credito che le tesi riformiste hanno guadagnato in una parte crescente dell’opinione pubblica (in particolare rispetto alla cannabis), vengono considerati dall’INCB come una importante causa della diffusione delle droghe. 3) Secondo l’INCB, le leggi degli stati nazionali dovrebbero allargare la proibizione oltre i soli comportamenti concreti relativi all’uso e al traffico di droga. Dovrebbero, cioè, prendere provvedimenti contro fatti puramente simbolici, come, ad esempio, la coltivazione di canapa da fibra e l’uso di alimenti contenenti canapa. Insomma la pianta di canapa, al di là dei suoi effetti psicoattivi, deve diventare ancor di più un vero e proprio tabù. Ma il fatto più grave è che l’INCB propone esplicitamente una nuova categoria di reati di opinione: quelli di chiunque manifesti idee contrarie al dogma proibizionista.

* Responsabile scientifico di Forum Droghe