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Un giorno, all’inizio del nuovo millennio, il “Progetto Genoma”, l’impegnativo programma da tre miliardi di dollari e quindici anni di lavoro, avrà conseguito il suo obiettivo principale: risolvere geneticamente la nostra specie, prospettando l’approssimarsi di un mondo liberato dalla malattia e dal dolore con l’affascinante possibilità di costruirsi un contro-destino.

C’è sempre il vecchio problema della conservazione a tutti i costi e di forme inquietanti di riduzionismo: ma a chi si chiede se la libertà dell’uomo potrà sopravvivere per esempio in un mondo dominato dalle macchine si può sempre rispondere che la vera libertà comincia semmai proprio dalla possibilità di utilizzare nuovi strumenti per vivere meglio. Di fatto, una delle più grandi conquiste della scienza viene comunque consegnata nelle mani dell’Uomo, con i suoi tanti imponderabili abissi e le sue rare vette di cristallo, l’Uomo delle mine anti-bambino e dei voli sulla luna.

Le possibilità offerte dalla mappatura del genoma sono generalmente rimosse dal dibattito politico e sono vissute dall’immaginario collettivo con grande e giustificata apprensione: anche troppo facili i fantasmi di una storia recente dove questo tipo di conoscenze sono servite a fini di classe e di razza. Il Progetto era nato con l’intento di sconfiggere malattie, sia di carattere ereditario, sia che avessero un legame più sottile con i geni, come varie forme di cancro. Al momento della sua definizione, le porte che si vanno ad aprire sono infinite: di fronte alle obiezioni e alle resistenze più correnti, c’è da ribattere che le vergogne della storia non hanno certo atteso questo tipo di progresso, che le abiezioni legate al commercio umano risalgono ai tempi delle schiavitù e che, in tema di manipolazioni, la natura sa benissimo manipolarsi da sola e nel modo più crudele, cruento e spietato, sacrificando i “meno adatti”.

A dogmi fondamentalisti da combattere si contrappone in ogni caso una seria necessità di studiare e prevenire nuovi rischi reali connessi all’impiego dell’informazione tratta dai test genetici. E sono rischi non da poco, come speculazioni, discriminazioni e abusi, sempre nell’idea della mappa genetica come dato terminale. Parlano le scritture di un caso americano in cui dei genitori sottoposero il proprio figlio ai test per la corea di Huntington e cinicamente calcolarono di evitare spese per l’educazione superiore di un ragazzo forse destinato a morire precocemente.

Facile previsione è anche una perversa evoluzione legale delle richieste di brevetti basate sui geni, dato che le società stanno da tempo freneticamente cercando di assicurarsi i diritti sulle sequenze di DNA dotate di valore commerciale e un comportamento preoccupante da parte dei titolari di brevetti tecnologici; inoltre, le terapie basate sui geni saranno troppo costose per lungo tempo prima di poter essere impiegate diffusamente.

Già ora abbiamo notizia che gli abusi della nuova scienza del genoma negli Stati Uniti sono una realtà: da una parte, si sottopongono in misura rilevante i bambini a test atti ad individuare specifici tratti genetici, anche con il parere contrario degli esperti, dall’altra, dal momento che agli individui a rischio di una certa condizione genetica può essere negato l’accesso all’impiego o alle assicurazioni sulla salute o sulla vita, molte persone rifiutano di sottoporre se stesse o i propri figli a test genetici anche di interesse clinico e, del resto, è storia vecchia che le compagnie assicurative rinunciassero a offrire polizze sanitarie o richiedessero premi esorbitanti ai clienti con una significativa storia familiare di cancro.

Molti degli stati USA hanno già promulgato leggi che limitano la discriminazione in base ai dati genetici e la discriminazione sul lavoro è proibita dalla legislazione federale, ma senza una concreta e adeguata azione politica si potrebbe assistere alla creazione di una sorta di sottoclasse di individui “imperfetti” da discriminare in modo legale, contro ogni forma di rispetto della privacy e delle pari opportunità.

L’acquisizione di conoscenze sull’identità genetica pone in modo determinante l’interrogativo sull’uso che di queste informazioni verrà fatto, sul sottile e terribile diaframma che separa una società della conoscenza e una società del controllo. Chi, per esempio, provò tanto interesse verso la possibilità che l’orientamento omosessuale fosse dovuto a cause genetiche, vorrà forse costruire un mondo a venire senza lesbiche e omosessuali? Finiremo per predire il futuro a chi non ne vuol saper nulla o verrà dato modo ad altri di conoscerlo? E che dire delle diseguaglianze genetiche di cui sarebbe di gran lunga meglio non aver mai cognizione alcuna?

Fin dal suo insediamento alla direzione del “Progetto Genoma”, nel 1988, James D. Watson (che nel 1962 ricevette il premio Nobel insieme con Francis Crick e Maurice Wilkins per la scoperta della struttura del DNA) ritenne importante approfondire le questioni etiche, stanziando il tre per cento dei finanziamenti federali, pari a circa sei milioni di dollari, perché andassero al programma ELSI (Ethical, Legal and Social Implications) con l’intento di ridurre le ineguaglianze sociali sorte per un tiro sfortunato dei “dadi” genetici. In Italia si cominciò a parlare di “Progetto Genoma Umano” nel 1987, quando il Consiglio Nazionale delle Ricerche, la più importante agenzia scientifica del nostro Paese, affidò a Renato Dulbecco e Paolo Vezzoni il compito di reclutare ricercatori italiani esperti in genetica per focalizzarli su questo tema di ricerca.

Nel progredire della scienza in campo genetico e biotecnologico il “Progetto Genoma Umano” rappresenta, come già detto, un formidabile avanzamento della conoscenza e un’opportunità straordinaria di ricadute applicative nella biologia, nella medicina, nell’organizzazione della società e, proprio per queste valenze simboliche, per le implicazioni antropologiche, culturali e socio-politiche, l’Ufficio Nuovi Diritti della CGIL Nazionale ha organizzato per oggi, 1° dicembre, una Conferenza-dibattito con Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina, e altri importanti relatori come Stefano Rodotà, Gilberto Corbellini, Marcello Buiatti, Giovanni Berlinguer, Marino Niola e Pietro Greco, proponendo la ricerca di un confronto su quali siano le regole più idonee a governare l’applicazione tecnologica delle acquisizioni scientifiche, nell’intento di coinvolgere lavoratori e cittadini in questioni che, in un futuro che è già presente, tanto influenzeranno la salute, la qualità della vita, la formazione, il lavoro e l’ambiente. In una parola: l’insieme delle relazioni e la stessa organizzazione sociale e politica.

* CGIL Nazionale – Ufficio Nuovi Diritti