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Provvedimenti disciplinari e avvisi di garanzia continuano a fioccare, per il dottor Franco Beretta, medico eretico, come egli stesso ama definirsi, che a Mestre segue un esercito di 700 pazienti. Sono pazienti tossicodipendenti che da lui ricevono prescrizioni di buprenorfina (Temgesic è il nome commerciale in Italia): un farmaco antidolorifico che molti preferiscono al metadone, ma la cui prescrizione è ancora motivo di grandi discussioni e fonte di guai per i medici, perché vincolata a un uso specificamente analgesico.

MEDICI DISERTORI

“Il provvedimento disciplinare nei miei confronti, però, è per diffamazione – spiega Beretta -, perché ho definito i miei colleghi medici “delinquenti”. Delinquente, in latino, è colui che abbandona il suo posto di guardia, che non fa il proprio dovere. Nessuno dei medici dell’Ordine ha preso in carico nemmeno uno dei miei pazienti, sono rimasto solo”.

Dei 3.600 medici della provincia di Venezia, nessuno ha seguito il suo esempio. È dal 1992 che Franco Beretta ha deciso di prendersi cura dei pazienti tossicodipendenti che chiedevano una mano, “erano tempi duri – ricorda – prima del referendum sulla legge Jervolino-Vassalli”, riconoscendo legittima la loro domanda e adeguato il Temgesic, un farmaco semi-sintetico, derivato oppiaceo che coniuga un’azione agonista (dunque simile a quella del metadone) a una antagonista, in base alla quale, al di sopra di un certo dosaggio (mediamente due milligrammi), l’effetto dell’eroina non si sente più.

Ma se i suoi colleghi non lo hanno seguito, il dottor Beretta non è rimasto davvero solo. Non gli è accaduto ciò che ha segnato la vita personale e professionale di altri medici prima di lui: isolamento e tribunale.

A Mestre nessuno ha pensato di sistemare la faccenda delegando commissioni disciplinari e magistrati, o trincerandosi dietro le parole “a uso analgesico”. Qualcuno ha pensato che se tanti tossicodipendenti sceglievano la buprenorfina, preferendola al metadone, e se il farmaco sembrava avere una sua efficacia (già dimostrata a livello internazionale: per esempio in Francia, dove nel 1995-96, 30.000 persone erano in trattamento con il Subutex, il Temgesic francese, mentre solo 5.000 erano in trattamento con metadone), forse valeva la pena di non chiudere la partita in modo repressivo, e di ragionarci sopra.

UN PROGETTO CON TANTI ATTORI

Attorno a Beretta e ai suoi 700 pazienti si è creato un percorso complesso e articolato fatto di tanti attori: il Comune di Venezia e la ULSS 12, con il loro Progetto di riduzione del danno e l’Unità di strada che, su quel territorio, incontra centinaia di tossicodipendenti che utilizzano Temgesic; i farmacisti e il loro ordine; l’azienda “Ames” delle Farmacie comunali, l’associazione “Il molo”, gli assessori ai Servizi pubblici e alle Politiche sociali del Comune, il servizio tossicodipendenze di Mestre e quello di Dolo, che ha intrapreso insieme ai Ser.T. di altre Regioni italiane, uno studio multicentrico sull’efficacia del farmaco per pazienti tossicodipendenti, e infine, ma non ultimi, loro, i tossicodipendenti stessi.

L’esito di queste alleanze e di questo approccio pragmatico è oggi un sistema di prescrizione e somministrazione, nonché di gestione sul territorio, che privilegia la domanda degli utenti, riconoscendo il loro diritto alla libertà terapeutica, coinvolge con pari dignità professionisti e operatori del territorio e tutela cittadini e quartieri. Insomma, un buon lavoro di riduzione del danno, con attenzione alle particolari esigenze di tutti.

Come è entrato il Comune in questa questione apparentemente solo “farmacologica”?

“Questo “dispositivo” – dice Meme Pandin, referente del progetto per il Comune – è stato realizzato nel periodo maggio-novembre 1997 e si è rivelato a tutti gli effetti un intervento complesso e delicato. Le premesse del nostro intervento risiedono nel fatto che solo poche farmacie distribuivano il farmaco prescritto dal dottor Beretta a circa 700 persone, e ciò provocava una concentrazione di consumatori in alcune aree cittadine con notevoli problemi per le comunità urbane coinvolte, come piccoli furti, assembramenti, abbandono di siringhe usate. Più volte sollevata dalla stampa locale, questa situazione ha da subito rappresentato un banco di prova per il nostro progetto di riduzione del danno”.

IL LAVORO DI RETE RIDUCE I DANNI

Così come si conviene a chi la riduzione del danno la fa davvero, gli operatori del Comune hanno lavorato verso il coinvolgimento del territorio e la mediazione delle situazioni conflittuali. In primo luogo, facilitando la moltiplicazione delle farmacie disposte a distribuire Temgesic. “Ma non solo – precisa Pandin -, l’obiettivo era anche quello di favorire una buona relazione tra tossicodipendente e farmacista, per un’opportuna educazione alla salute, cosa che funziona benissimo in diversi Paesi. Una relazione personale significativa è utile anche a veicolare messaggi per la modifica di comportamenti a rischio”. Il passaggio dall’utilizzo delle poche farmacie inizialmente disponibili a quelle via via incluse nel progetto è avvenuto anche grazie a una capillare attività di informazione e orientamento dei pazienti, che venivano contattati nell’ambulatorio del dottor Beretta dove operava anche un educatore di strada : con materiali informativi, cartelloni, fumetti si invitavano i pazienti a utilizzare tutte le farmacie fornite di Temgesic.

“Non è stato subito facile con tutti i colleghi – dice Emma Zamparo, decana dei farmacisti della terraferma e da sempre impegnata nei confronti della sua clientela tossicodipendente -, questi ragazzi spesso fanno paura, recano disturbo alla clientela, creano diffidenza. Ma sono persone in difficoltà, e vanno aiutate. È soprattutto l’appello alla professionalità che ha funzionato, come per la distribuzione delle siringhe. All’inizio qualcuno diceva “è come dare l’eroina”, ma poi si è fatta strada l’idea forte che è importante ridurre i danni, informare correttamente. E così è accaduto con il Temgesic”. Emma Zamparo dice che oggi la situazione è positiva: continuano incontri periodici con tutti i farmacisti coinvolti, ed è importante l’affiancamento dell’Unità di strada, con la sua azione informativa, e del Ser.T. “Abbiamo proposto ai farmacisti di dare il nostro materiale informativo sul Temgesic al momento della vendita del farmaco – racconta Laura Mazzi dell’Unità di strada -; un nostro operatore passa poi periodicamente da tutte le farmacie per fare il punto della situazione e per favorire una buona organizzazione, per esempio coordinando i consumatori di Temgesic con i ritmi, i turni, le scorte delle farmacie, anche al fine di evitare situazioni di congestionamento”.

IL MINISTERO AMPLI LE POSSIBILITÀ D’USO

Aggiunge la farmacista: “Due sono ora le cose da fare: insistere con una campagna di educazione sanitaria per limitare l’uso non corretto del farmaco, che troppo spesso viene utilizzato per via endovenosa invece che per via orale. Ma, soprattutto, chiedere a livello ministeriale perché non si fa qualcosa per modificare la situazione. Basterebbe cambiare l’indicazione terapeutica, che oggi restringe l’utilizzo del farmaco al solo uso analgesico e vincola gli operatori, soprattutto quelli del settore pubblico. Potrebbe essere questo il momento buono, adesso che la produzione sta passando a una nuova casa farmaceutica”.

E davvero una revisione delle indicazioni terapeutiche del Temgesic sembrano mature, almeno a detta degli esperti. “L’efficacia della buprenorfina nel trattamento di pazienti dipendenti da eroina è dimostrata – spiega il dottor Nicola Gentile, medico del Ser.T. di Dolo e segretario triveneto della Società italiana per le tossicodipendenze -; lo studio multicentrico condotto in diverse città italiane, tra cui la nostra, che si è concluso nell’ottobre dello scorso anno, lo ha chiarito. Un dosaggio di otto milligrammi equivale all’efficacia prodotta da sessanta milligrammi di metadone”. Ma quali sono le caratteristiche del farmaco che le persone tossicodipendenti apprezzano maggiormente? “Innanzitutto è un oppiaceo – dice Gentile – e per questo viene apprezzato da chi consuma eroina. Ha una doppia funzione, agonista e antagonista, a un certo dosaggio non si sentono più gli effetti dell’eroina. Come sostituivo è efficace: da 400 interviste attuate presso i pazienti del dottor Beretta, risulta che molti non utilizzano più eroina e che anche sul piano della vita sociale i miglioramenti sono evidenti. Circa il 60% di loro, per esempio, ha una regolare vita lavorativa”. Il dottor Gentile ricorda che, all’inizio, il Temgesic veniva utilizzato soprattutto laddove non era disponibile metadone, ma che questo dato non va letto in modo assoluto, tanto è vero che, cambiata la linea dei Ser.T. di alcune zone del Veneto, l’utilizzo del Temgesic è rimasto elevato.

“Non ho mai usato metadone – dice Renzo, 55 anni, che frequenta l’Unità di strada – per me è un passo indietro e non avanti. Il Temgesic mi toglie i dolori, mi fa star bene e non mi dà sonnolenza. È una buona alternativa”. Anche per Oscar, 36 anni, nessun dubbio sui vantaggi: “Non mi fa fare di roba, sto meglio nel sociale e con me stesso, riesco a lavorare. Il metadone? Non so, non l’ho mai usato”. “No, non penso che userei il metadone – dice Pino, 34 anni – penso che mi darebbe una dipendenza più feroce del Temgesic. Usandolo puoi fare una vita praticamente normale e non ti servono molti soldi”.

VOGLIA DI NORMALITÀ

“Va anche tenuto presente – aggiunge Gentile – che la prescrizione del medico non implica alcun controllo, evita i tempi di attesa e non costringe a una somministrazione poco accessibile e molto regolamentata”.

La maggior informalità della prescrizione e della somministrazione e il rapporto confidenziale con il medico sembrano affiancare gli effetti farmacologici del Temgesic con eguale importanza, a dimostrazione del fatto che una terapia non è solo una “questione chimica”. “A me va bene l’organizzazione attuale – dice Pino -, vado dal dottor Beretta una volta alla settimana a prendere le ricette, se prendessi metadone dovrei andare tutti i giorni al Ser.T.”. “Io vorrei che fosse prescritto dal mio medico di base” aggiunge Renzo. “Oltre il 50% dei miei pazienti non va al Ser.T. – racconta Beretta – e almeno il 75% di loro ha dichiarato che preferirebbe avere il farmaco dal proprio medico di famiglia. Apprezzano la garanzia dell’anonimato e il fatto che qui possono instaurare un rapporto “normale” medico-paziente”. “Voglia di normalità” anche nella testimonianza di Emma Zamparo: “A volte, quando parliamo del fatto che se si sblocca la situazione finalmente anche i Ser.T. potranno somministrare buprenorfina, i tossicodipendenti mi sembrano preoccupati. Mi chiedono se, poi “sarà come per il metadone””.

Eppure, anche per il medico eretico Franco Beretta, “per i Ser.T. il futuro è la buprenorfina. È un farmaco efficace, non addormenta e consente una vita sociale e lavorativa normale”. Qualche suo utente, a dire il vero, si lamenta: troppo bassi i dosaggi. “Qualcosa si potrebbe migliorare – dice Lele, 35 anni, anche lui utente dell’Unità di strada -, soprattutto vorrei un numero di pastiglie sufficiente a darmi la copertura”. “È vero – ribatte il medico -, le mie prescrizioni sono mediamente di due milligrammi al giorno, a fronte dei dosaggi consigliati a livello internazionale, che vanno dai quattro agli otto milligrammi. Ma resto convinto della mia scelta: non voglio trasformare i miei pazienti in “zombie”. Anche se questo crea un limitato mercato grigio dovuto al bisogno di alcuni di un “aggiustamento” dei dosaggi”.

Come per il metadone, anche il Temgesic a volte viene assunto in combinazione con altre sostanze e, più spesso, iniettato per via endovenosa, pur presentandosi sotto forma di pastiglie, che quindi devono essere triturate e poi sciolte in acqua per poterle iniettare. “I cocktail di Temgesic e altre sostanze ci sono – dice Gentile -, ma abbiamo verificato che, in questi comportamenti e nella loro diffusione, non c’è differenza tra utenti che utilizzano Temgesic e utenti dei Ser.T. che assumono metadone”. “Io uso per lo più Temgesic – dice Lele -, solo qualche volta uso eroina. Ma, in questo caso, devo essere “pulito” dal Temgesic almeno da 24 ore, se no non la sento”. Renzo non usa eroina: “il Temgesic me lo vieta”. “Uso cocaina qualche volta – dice invece Oscar -, se uso eroina non devo aver preso Temgesic da almeno due giorni”. Secondo Pino, un buon uso del Temgesic è quello a scalare, “per curarsi. Se è usato come sostitutivo, per cui si tende a farsene sempre di più, non serve a niente ed è nocivo. Tra l’altro, non dà nessun tipo di euforia. Così, chi vuole sballare lo associa agli psicofarmaci. E fa cazzate”.

Più preoccupante dei cocktail appare l’assunzione per via venosa: “Io non tollero l’assunzione di Temgesic per via iniettiva – dice Beretta -; ne parlo sempre con loro e qualche cambiamento nei comportamenti si comincia a vederlo”. “Sono circa 350 i tossicodipendenti della zona che utilizzano Temgesic, più altrettanti che vengono da tutta la provincia di Venezia e da quelle limitrofe – dice Alberto Favaretto dell’Unità di strada -; molti assumono il farmaco per via endovenosa e le conseguenze fisiche sono gravi: indurimento delle vene, flebiti, maggiore rischio di infezione da epatite e HIV”. Per questo, l’Unità di strada lavora incessantemente con un’attività informativa e di sensibilizzazione degli utenti, anche attraverso un nuovo depliant prodotto insieme a loro. E qualcuno, pragmaticamente, suggerisce di lavorare ulteriormente per ridurre i danni. “Per limitare un uso scorretto del farmaco – dice Emma Zamparo – credo che sarebbe utile prescriverlo in fiale. Almeno si eviterebbero i rischi peggiori dovuti all’uso improprio delle pastiglie”.

Per ora i rischi maggiori – o almeno quelli che sembrano più preoccupare consumatori e operatori – sembrano quelli legati all’immobilismo ministeriale. Se non cambiano le indicazioni terapeutiche esplicite del Temgesic, il “farmaco del futuro”, per dirla con il dottor Beretta, è costretto a segnare il passo, i servizi pubblici sono vincolati a non utilizzarlo, i consumatori rischiano magari di vederlo sparire dal mercato (è già successo una volta). Non solo, ma qualche ulteriore innovazione potrebbe ulteriormente facilitare il paziente nell’assunzione della sua terapia. Per esempio, la registrazione anche in Italia del francese Subutex, che consente una sola assunzione al giorno invece delle dieci pastiglie che i consumatori italiani devono prendere in ventiquattr’ore.

Viene spontanea una domanda: se un farmaco funziona, perché non renderlo più accessibile?

* Coordinatrice Unità di Strada Gruppo Abele-ASL 4, Torino