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Antonio Costa è appena stato riconfermato alla guida dell’Unodc, l’agenzia Onu per le droghe. Tra i suoi compiti vi sarà quello di organizzare la prossima sessione speciale dell’Onu sulle droghe prevista nel 2008, quando andrà in scadenza il piano decennale lanciato da Pino Arlacchi a New York con lo slogan “un mondo libero dalla droga entro il 2008: possiamo farcela”. Ne parliamo con Jan G. Van Der Tas, dell’organizzazione olandese Netherlands Drug Policy Foundation ed ex diplomatico.

A tuo parere, qual è la ragione della riconferma di Costa? Si tratta semplicemente di manovre politiche all’interno della burocrazia Onu, oppure Costa è stato premiato per il suo approccio “duro”, e perché rappresenta una garanzia che alla sessione speciale dell’Onu nel 2008 non vi sia alcun dibattito vero né alcun cambiamento?
Negli ultimi mesi erano circolate voci secondo cui gli americani ne avevano abbastanza di Antonio Costa e si sarebbero opposti alla sua riconferma. Ora sembra che si sia trattato di disinformazione, o quantomeno di un tentativo di intimidirlo per farlo allineare ancora più rigidamente all’approccio “proibizionista” americano. Non sarebbe la prima volta, come dimostra tutta la discussione sulla “riduzione del danno” di un anno fa, quando Costa ritenne opportuno confermare la sua lealtà a Washington in una lettera al Dipartimento di Stato. Naturalmente, tutto ciò minaccia di portare a un ulteriore blocco di qualunque dibattito ragionevole sulle droghe, a livello di Nazioni unite. Fortunatamente questo dibattito si svolge ugualmente in molte parti del mondo, ed anche in Europa. Possiamo solo sperare che nel corso del suo secondo mandato Antonio Costa, un europeo, possa essere spinto a fermare la deriva verso l’irrilevanza dell’agenzia di cui è alla guida e dei trattati Onu su cui essa si basa. È troppo sperare che il suo senso di integrità intellettuale o forse, semplicemente, il suo senso dell’onore, possano fargli scorgere la luce prima che sia troppo tardi?

Torniamo al 2003, quando a Vienna si svolse la cosiddetta “valutazione di medio termine” del piano decennale per eliminare le coltivazioni di droghe illegali, varato all’assemblea generale dell’Onu del 1998, a New York. All’epoca, il movimento di riforma delle politiche sulle droghe sperava in una valutazione seria del piano, che avrebbe portato a riconoscere il fallimento dell’approccio dell’Onu. Inoltre, i riformatori si aspettavano che quasi tutti i paesi europei chiedessero un cambiamento
delle politiche sulle droghe a livello globale, rivendicando l’efficacia delle politiche “miti” adottate in Europa. Invece è accaduto il contrario: l’approccio morbido (in particolare sulla canapa) è stato fortemente attaccato da Costa, con l’appoggio degli Usa. I paesi europei si sono limitati a stare sulla difensiva, invece di spargere i semi della riforma. In vista dell’appuntamento del 2008, pensi che questo evento possa essere una reale opportunità di cambiamento (anche piccolo) nelle politiche globali?

L’obiettivo dichiarato dei nostri amici americani è impedire che nel 2008 (o 2009) abbia luogo una vera valutazione del piano decennale lanciato nel 1998. Ricordiamo che anche nel 1998 gli Usa riuscirono a bloccare il piano messicano di fare dell’assemblea generale sulle droghe di New York (Ungass) un momento di valutazione delle politiche Onu. All’ultimo meeting della Commissione sulle droghe narcotiche (Cnd), che si è tenuto a Vienna lo scorso marzo, l’Unione Europea ha proposto una risoluzione sulla valutazione per il 2008, che è stata adottata solo in una forma adulterata: infatti il termine stesso, “valutazione” (evaluation), era inaccettabile per gli Usa (e i loro pochi alleati in questo campo). Il termine “valutazione” implicava che potesse esservi qualcosa di sbagliato nelle attuali politiche e nei trattati Onu, e questo naturalmente era un punto di partenza inaccettabile! Quando si dice l’integrità intellettuale!
E tuttavia è di grande importanza che un drappello di funzionari europei (il cosiddetto “gruppo orizzontale sulle droghe”) abbia presentato una proposta simile, sostenuta anche dalla Commissione europea. Ciò che ancora manca è la volontà dei nostri politici di pronunciarsi più chiaramente sulla inefficacia e sulla improprietà morale delle politiche proibizioniste dei nostri amici americani. I cittadini e i riformatori dovrebbero fare più pressione sui politici locali e nazionali perché questi mettano apertamente in agenda la modifica della politica sulle droghe.

Al di là dei timidi tentativi che tu citi, l’Europa può davvero giocare
un ruolo sulla scena mondiale? Oppure l’unico obiettivo realistico per i paesi europei sarebbe il “rimpatrio” delle politiche sulle droghe, come ha scritto Cindy Fazey su Fuoriluogo nell’aprile 2003? Di più: possiamo ancora affermare che l’Europa è la roccaforte dell’approccio “morbido” sulle droghe?

Sì, penso che l’Europa abbia un ruolo importante da giocare da qui al 2008. I nostri amici francesi lo definirebbero “le rayonnement de la culture europeenne” (l’ascendente della cultura europea). Tuttavia, dobbiamo sapere che anche in Europa troppe forze proibizioniste sono ancora al lavoro. Perciò è rischioso puntare direttamente a una politica comune di tutta l’Unione Europea, perché potrebbe risolversi al momento solo in una forma un po’ più attenuata di proibizione, con tutti i difetti fondamentali che questa implica. Nell’Ue, c’è anche la questione basilare del principio di “sussidiarietà”. Le politiche sulle droghe debbono davvero essere uguali a Napoli e a Maastricht, e debbono essere decise a Bruxelles? Penso che l’idea di Cindy Fazey di un “rimpatrio” delle politiche sulle droghe sia valida; non dobbiamo ripetere l’errore dei trattati Onu, di una “misura che va bene per tutti”, anche a livello dell’Unione europea.

Nonostante tutto, i fautori della riforma non possono ignorare l’appuntamento Onu del 2008. Quali possono essere gli obiettivi più opportuni? Ad esempio: è realistico (e utile) chiedere la revisione delle convenzioni Onu? Oppure i trattati internazionali sono destinati a diventare sempre più irrilevanti, via via che le politiche sulle droghe cambiano nei fatti? Prendendo a prestito una espressione di Alex Wodak: le convenzioni Onu sono solo delle “tigri di carta”, e i riformatori non dovrebbero spenderci più di tanto?
Fortunatamente i fautori della riforma sono molti, e lavorano a vari livelli. Alcuni di noi preferiscono lavorare dal basso, altri hanno accesso diretto ai politici e ai media. Altri ancora possono cercare di far crescere la consapevolezza negli ambienti accademici o nel mondo degli operatori delle tossicodipendenze, dove molto spesso la falsa modestia, l’elitarismo (o gli interessi acquisiti) e l’apatia portano alla non partecipazione al dibattito più ampio sulla politica delle droghe. Possiamo scegliere i nostri obiettivi di conseguenza, ma non dobbiamo
escludere nessuno di questi approcci. I trattati Onu sulle droghe costituiscono un ostacolo formidabile nel dibattito sulla riforma della politica sulle droghe. Perciò vanno attaccati. D’altra parte, di solito Alex Wodak ha ragione e dunque i trattati Onu potrebbero rivelarsi effettivamente delle tigri di carta. La cosa essenziale è fare in modo che queste questioni entrino a far parte del dibattito pubblico. Non per nulla, i proibizionisti cercano di impedire o sopprimere la discussione! Alcuni potrebbero scegliere, in un primo tempo, di concentrare il dibattito sulla cannabis. Se guardiamo al fanatismo con cui i nostri amici americani (e l’agenzia antidroga dell’Onu) tendono ad attaccare, ad esempio, l’approccio dei coffeeshops in Olanda, è evidente che lo considerano il punto più debole della loro armatura. D’altra parte, gli argomenti a favore del fatto che i governi si assumano le loro responsabilità regolando i mercati delle droghe, invece di lasciarli in mano alla criminalità… questi argomenti sono certamente convincenti sia per le droghe obiettivamente più pericolose (le cosiddette droghe pesanti), sia per la cara vecchia marijuana. Perciò c’è un sacco di lavoro da fare, e serve tanto coraggio. Non da ultimo, anche in Italia!