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Approvata nel dicembre 2020 dal Consiglio dell’Unione europea, è stata pubblicata la Strategia europea sulle droghe 2021-2025. Come sempre, si tratta di linee guida generali e non vincolanti per gli stati membri (SM), che hanno bisogno di un dettagliato Piano d’azione (PA) – pure questo per altro non vincolante, a volte nel bene ma più spesso nel male, si pensi a tutto il blocco iperpunizionista dell’Est – per poter essere motore di qualche spostamento nelle politiche comunitarie e nazionali.

Il PA – con i suoi obiettivi concreti e relativi indicatori di monitoraggio – verrà si dice a breve, a cura della presidenza portoghese, dato non del tutto superfluo, se si pensa all’approccio più bilanciato della media europea adottato da quel paese.
Non superfluo anche se si pensa al ruolo avuto dalla presidenza tedesca nel rigettare la bozza della Strategia elaborata dalla Commissione, che aveva enfatizzato linguaggio e approccio law & order, a favore di un testo più equilibrato, sollecitato anche dal Forum della società civile (CSFD).

Cosa è cambiato? Non l’impianto generale, che ruota, con consueta inerzia, attorno alla coppia riduzione dell’offerta-riduzione della domanda. E tuttavia, si è inserito un “terzo attore”, dal momento che la Riduzione del danno (RdD), da insieme di interventi incardinato nella riduzione della domanda, è diventata un capitolo a sé, con questo valorizzandone la portata politica e strategica.

È la prima volta, ed è in linea sia con l’agenzia europea delle droghe, EMCDDA, che costruisce nello stesso modo i suoi report annuali, sia con una precisa richiesta del CSFD, che indica come la RdD, vista come politica e non solo come servizi, non serva solo o tanto a ridurre la domanda, quanto appunto a governare i fenomeni. Dunque, non solo si devono offrire servizi di RdD (questo lo dicevano anche le Strategie precedenti), ma si deve avere una politica di RdD. Questo capitolo include anche il ricorso allargato alle pene alternative e, in un testo che pure non vuole e non può per ora invitare alla decriminalizzazione, si invitano gli Stati Membri a ispirarsi a quelle nazioni che hanno scelto di non fare delle condotte correlate all’uso personale un reato.

Un altro aspetto rilevante, nella parte della domanda, riguarda contenuti e linguaggio relativi alle persone che usano droghe: mentre si invita a potenziare il peer work, riconoscendone le competenze, si indica la necessità di lavorare contro lo stigma e, in tema di cure e servizi, si sottolinea che l’accesso deve essere per tutti/e e volontario (anche qui, importante soprattutto per i paesi dell’Est, ma non solo).

Sul piano della ricerca e della valutazione, si invita a un lavoro proattivo e non reattivo, all’adozione di piste di ricerca orientate al futuro e innovative, allargando la platea degli attori coinvolti, associazioni incluse, e delle risorse. Riguardo allo scenario internazionale dentro cui questa Strategia va a incardinarsi: senza mettere in discussione l’assetto globale Onu, rivendicando nuovamente l’approccio bilanciato europeo, il documento enfatizza il ruolo dei testi internazionali più avanzati, tra cui l’Outcome document di UNGASS 2016, e soprattutto la UN system common position, che coinvolge diverse agenzie Onu e sottrae almeno in parte l’esclusiva regìa allo UNODC, centrata sull’approccio repressivo; e si invita poi a includere le politiche sulle droghe nella prospettiva dell’agenda 2030 (Sustainable Development Goals).

Infine, con l’indicazione delle International Guidelines on Human Rights and Drug Policy come testo di riferimento delle politiche europee, entrano in scena, in maniera meno retorica e vaga, i diritti umani come ingrediente della strategia comunitaria.

Approfondimenti e documenti su www.fuoriluogo.it/europa2125