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Tra 10 giorni sarà trascorso un anno dall’udienza in cui la V sezione della Corte di Cassazione ha deciso sul caso Mastrogiovanni, concluso con l’importante pronuncia 50497/2018. La Cassazione, riprendendo e chiarendo la propria giurisprudenza, fissa il principio che la contenzione fisica non solo non è un “atto medico” che risponde a finalità di tutela della salute e dell’incolumità del paziente, ma non è neppure un atto funzionale alla cura del paziente e quindi coperto dalla “scriminante costituzionale” derivante dall’art. 32 della Costituzione, che consente i trattamenti sanitari obbligatori nei casi previsti dalla legge.
La pronuncia della Cassazione ha in sostanza escluso la liceità dell’uso della contenzione meccanica. La Corte arriva a questa conclusione chiarendo che l’operato dei sanitari è protetto dalla Costituzione “non perché frutto della decisione di un medico, ma in quanto caratterizzato da una finalità terapeutica”. Sono quindi atti medici, oltre che quelli strettamente terapeutici, esclusivamente quelli aventi natura diagnostica e quelli miranti ad alleviare le sofferenze dei malati terminali. La previsione dell’art. 32 ha la propria giustificazione nel bene tutelato: la salute. La contenzione meccanica, sottolinea la Corte, non può essere considerata in alcun modo un atto medico. Essa non ha né una finalità curativa né produce materialmente l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. Al contrario, essa può provocare lesioni anche gravi all’organismo se non adoperata con le opportune cautele.
Da questa pronuncia consegue che la contenzione meccanica non si può considerare autorizzata dalla procedura prevista dall’art. 2 della legge 180/1978 (“legge Basaglia”), infatti come dice la sua rubrica, questa disposizione regola esclusivamente gli “Accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale”. La Cassazione chiarisce una volta per tutte che la contenzione meccanica non rientra tra questi trattamenti non avendo “la dignità di una pratica terapeutica o diagnostica”. Essa costituisce “un mero presidio cautelare il cui utilizzo è lecito solo al ricorrere delle condizioni di urgenza”. In sostanza la Corte chiarisce che l’uso della contenzione meccanica configura un sequestro di persona, reato per cui vengono condannati i sanitari nel caso Mastrogiovanni, che può essere scriminato solo quando ricorrono gli estremi dello stato di necessità.
Dalla pubblicazione di questa sentenza, deve quindi essere chiaro a tutti gli operatori sanitari che si trovano a trattare persone con problemi psico-sociali che, anche in caso in cui sia stato autorizzato il TSO, non possono procedere alla contenzione meccanica, senza commettere un reato, se non in caso di necessità. Il che, la Corte lo sottolinea, vuol dire che non si può procedere alla contenzione in via precauzionale, “sulla base della astratta possibilità o anche mera probabilità di un danno grave alla persona”, ma solo quando siano in presenza del “pericolo di un danno attuale e imminente”. Non è sufficiente che i sanitari si prefigurino “un pericolo eventuale, futuro, meramente probabile o temuto. Si deve trattare di un pericolo non altrimenti evitabile sulla base dei fatti oggettivamente riscontrati e non accertati solo in via presuntiva”. Questo accertamento deve risultare dalla cartella clinica. La mancata menzione dell’uso della contenzione meccanica è di per sé stato considerato indicatore del dolo dei sanitari, della loro consapevolezza di stare agendo in modo criminale.
Speriamo ora di seppellire una volta per tutte Lombroso e smettere di trattare come un soggetto pericoloso chi soffre di problemi psico-sociali.