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Claudio CippitelliI francesi si sono scagliati contro i Måneskin, vincitori all’Eurovision Song Contest di Rotterdam accusandoli di essere drogati. In una nota il Quai d’Orsay afferma che «È la commissione di deontologia che deve risolvere la questione. Se c’è bisogno di sottoporsi ai test, faranno i test».  Il gesto incriminato è del cantante Damiano David, che in diretta si china su un tavolo, gesto interpretato come un’assunzione di cocaina. Ora, se la Francia ha una così spiccata sensibilità e intolleranza verso gli artisti che consumano stupefacenti dovrebbe spiegare perché ha scelto di tumulare le ceneri di Alexandre Dumas Padre nel Panthéon di Parigi. E sì, perché il grande scrittore era solito frequentare il Club des Hashischins in compagnia di altri mostri sacri della cultura transalpina come Charles Baudelaire, Victor Hugo, Honorè de Balzac e Thèophile Gautier, un bel gruppo di scrittori che in pieno Ottocento sfidavano la morale borghese coniugando arte e consumo di droghe. Forse, prima di richiedere il drug test ai Måneskin, i cugini d’oltralpe dovrebbero rivisitare la loro storia artistica, a partire dalla grandissima Edith Piaf, o da Johnny Hallyday che in una intervista a Le Monde del ’98 raccontava di abusare di droghe e medicinali: “Ne prendo per lavorare, per riaccendere la macchina, per reggere. D’altra parte non sono il solo. La polvere e l’hascish circolano a fiumi fra i musicisti…“. Va detto, a parziale giustificazione dell’intemerata transalpina, che i francesi si aspettavano la vittoria della loro cantante Barbara Pravi, arrivata però solo seconda. Dunque, “I francesi rosicano”: questa l’elegante espressione utilizzata da una parte dei media italiani (adnkronos, ilGiornale.it, liberoquotidiani.it), soddisfatti dalle affermazioni dell’artista che si dichiara contro la droga e disponibile a fare il test. Ecco, da un cantante che gira il video ufficiale di Zitti e Buoni truccato da Marylin Manson e che canta “Siamo fuori di testa, ma diversi da loro”, magari ci si aspettava qualcosa di più del semplice balbettio: “sono contro la droga, fatemi il test”. Perché? Forse i Måneskin, come scrive Massimo Coppola sul Domani, sono anche loro vittime di “una grave psicopatologia sociale, collettiva e individuale, (…) doversi discolpare senza la prova della colpa, e quando suddetta colpa non è chiaro che rilievo abbia.”

Paura di perdere il successo appena raggiunto? Una paura che non ha avuto Kate Moss, che non ha mai rilasciato abiure e pentimenti per i suoi fotografati consumi di coca, o Vasco Rossi, che in una recente intervista afferma: “Mi definisco un tossico indipendente. Le sostanze le ho provate tutte, perché volevo farlo. Tranne l’eroina. E chi dice che sono tutte uguali è un criminale”.

Eppure, avremmo tutti bisogno di coraggio per opporci ai danni che le politiche basate sulla guerra alla droga producono: i drug test non sono strumenti neutri, ma metodiche spesso usate come clave per colpire studenti e lavoratori con stili di vita non graditi: sono mezzi che, fuori da un contesto terapeutico, sono utili solo a rassicurare gli adulti, o a promuovere un rapporto tra le generazioni informato dal sospetto e pochissimo dalla genuina ricerca della salute. Esempio: una recente Proposta di Legge presentata dalla Lega in  Consiglio Regionale del Lazio, ha come titolo “Osservatorio regionale per l’educazione alla salute e la prevenzione delle tossicodipendenze tra i giovani”. In verità, la reale finalità della proposta è realizzare uno screening indistinto e di massa sulla popolazione scolastica del Lazio. Risponderemo anche noi come il Blasco, che ha postato una foto dei Rolling Stone con l’ironica scritta “Facciamo anche noi il test antidroga”.