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Sin dagli albori dello Stato moderno, la paura si connota come elemento fondativo della politica. È proprio per assicurarsi l’incolumità fisica, la protezione dei propri beni, la tutela della sfera privata, che gli esseri umani, secondo il paradigma hobbesiano, danno vita all’entità statuale.

La narrazione hobbesiana, in realtà, finisce per arenarsi su due scogli: il primo riguarda i meccanismi di autoriproduzione del potere: se lo Stato si fonda sulla paura dei suoi cittadini, la utilizzerà sempre come strumento per legittimarsi e perpetrarsi. In secondo luogo, la società è lungi dal costituire un’entità compatta e omogenea. Conflitti sociali, culturali e politici, la attraversano. Le paure altro non sono che panico morale, ovvero la percezione e la rappresentazione di specifici individui e gruppi sociali come una minaccia da parte della società affluente. Per neutralizzare il pericolo, si mobilitano gli apparati ideologici e repressivi, in particolare quando le lacerazioni del tessuto sociale appaiono ancora più marcate. Il risultato è quasi sempre quello delle limitazioni delle libertà civili e politiche, a partire dalla stigmatizzazione e della presunzione di colpevolezza delle classi pericolose di turno.

Il decreto 162 del 31 0ttobre prevede un nuovo articolo del Codice Penale, il 434bis, che definisce i rave come minaccia all’ordine pubblico, alla salute e all’incolumità pubblica, segue lo schema sopra delineato. La neonata coalizione di governo sa bene di rappresentare non più di un quarto degli Italiani, nonché di essere attraversata da pesanti divisioni interne. Uscendo dal Palazzo, le conseguenze della pandemia e della guerra in Ucraina si stanno riverberando nell’aggravamento della crisi economica, comportando il peggioramento delle condizioni di vita di strati sempre più vasti della popolazione. La maggioranza attuale non dispone né dell’autorevolezza né dei margini di manovra necessari a fare fronte a questo contesto critico, anche perché l’agenda economica è ancorata alle linee guida europee. In questo contesto, ecco che la paura, declinata nella sua accezione di panico morale, diventa la risorsa principale che la coalizione governativa adotta. All’interno della maggioranza, il ricorso alla legge e all’ordine serve a ricompattare le divisioni. All’esterno, oltre a lanciare il messaggio che il governo “sta facendo qualcosa”, la proposizione di un pacchetto di politiche penali repressive, in cui rientra anche la riproposizione dell’ergastolo ostativo, sortisce l’effetto di una cortina fumogena che copre i vuoti progettuali e programmatici del governo.

Non si ha memoria di un rave che sia degenerato in risse, morti, atti di vandalismo, danneggiamenti, saccheggi, scontri violenti. Eppure, lo sgombero di un raduno “illegale” a Modena, fornisce il pretesto per un decreto che, a partire dall’individuazione di una nuova categoria di criminali, ovvero i ravers, introduce la reclusione da 3 a 6 anni per gli organizzatori e pene minori per i partecipanti. Ci troviamo dentro un immaginario in parte collodiano in parte da Strapaese, in cui i Lucignoli di turno trascinano i Pinocchi sprovveduti alla perdizione, a colpi di balli sfrenati, droghe e alcool, in preda al quale questa umanità minacciosa assalirebbe la proprietà privata e minaccerebbe l’incolumità della gente, magari invogliandola a infoltire le schiere del rave. Il tutto, ripetiamo, senza alcun riscontro sul piano reale, e in aperta violazione dell’articolo 17 della Carta costituzionale, laddove l’assembramento dei neofascisti a Predappio viene derubricato a manifestazione folcloristica. Non ci piace questo governo, e non si tratta di una questione pregiudiziale, bensì di constatare che, all’autoritarismo congenito, si sommano insipienza e malafede. E della malafede bisogna avere paura. Non dei ravers.

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