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La cannabis legale vince 2 dei 5 referendum per cui si è votato in occasione delle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti. Una lettura affrettata potrebbe archiviare questa tornata elettorale come un insuccesso del movimento americano. In effetti non è così, semmai è il contrario.

A parte il Maryland che ha una tradizione progressista e che ha visto prevalere in modo ampio il sì alla legalizzazione, negli stati del Missouri, Arkansas, North e South Dakota vivono comunità solidamente conservatrici, e sono saldamente in mano ai repubblicani. In Arkansas poi gli oppositori hanno fatto scendere in campo a sostegno del no anche pesi massimi, come l’ex Vicepresidente Mike Pence e il Governatore uscente Asa Hutchinson – già a capo della DEA, l’Agenzia Antidroga USA. Risulta quindi evidente come il movimento per la cannabis legale in questa tornata abbia alzato il tiro. Come già scritto su queste pagine (vedi L. Fiorentini, 10 novembre 2022), il risultato del Missouri è in qualche modo storico e al contempo simbolico. La legalizzazione arriva nel cuore geografico, e nella pancia elettorale, degli Stati Uniti dimostrandosi questione capace di creare opinione anche in contesti politici, sociali e culturali ostici.

Poco più a nord, nel Wisconsin, dopo che diverse città e contee hanno approvato referendum locali a favore della decriminalizzazione della cannabis, l’appena rieletto governatore Tony Evers si è impegnato a includere la riforma nella proposta di bilancio del prossimo anno. In Minnesota il neogovernatore democratico Tim Walze ha annunciato che la legalizzazione della cannabis sarà una delle prime leggi che usciranno dalla prossima sessione parlamentare, dopo la riconquista della maggioranza nel congresso statale. Anche la Pennsylvania, con l’elezione di Josh Shapiro, sostenitore della riforma, e la riconquista della maggioranza alla Camera da parte dei democratici, potrebbe tentare di approvare una legge per la regolamentazione legale nei prossimi mesi.

In attesa dei risultati definitivi del voto per il Congresso, l’impressione è che con la maggioranza della Camera passata in mano repubblicana e quella del Senato confermata ai democratici, difficilmente potranno vedere la luce leggi complessive di regolamentazione legale della cannabis a livello federale. Sia il MORE Act, già approvato dalla Camera per ben due volte, e il CAOA Act sotto scacco al Senato per l’impossibilità di superare la soglia dei 60 voti che consentirebbero l’aggiramento del filibustering, l’ostruzionismo ad oltranza permesso dai regolamenti, sembrano quindi non avere grandi possibilità di essere approvate. Ma questo non significa che non possa succedere niente. Proprio in una situazione di maggioranze non omogenee, alcune misure parziali che hanno già dimostrato di avere un appoggio bipartisan potrebbero avere una chance, già prima che i nuovi eletti si insedino. Fra queste le norme per permettere al settore bancario di aprire rapporti con la filiera della cannabis legale (oggi costretta alle transazioni in contanti ed in cryptovalute), quelle per la cancellazione delle pene per reati nonviolenti legati alla cannabis e di promozione della ricerca.

Il ruolo del Presidente Biden diventa quindi cruciale. A seguito dell’annuncio del mese scorso, nulla si è più saputo della grazia agli oltre 6500 detenuti nelle carceri federali per possesso di cannabis e dell’avvio del processo di riclassificazione della cannabis. Ma il ruolo dei giovani e dei movimenti per i diritti sul risultato elettorale di mid term, molto più favorevole ai democratici rispetto all’ondata rossa prevista dai sondaggi, esige ora una risposta politica chiara ed efficace, che a questo punto solo l’iniziativa presidenziale può dare.

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