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I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) individuano le prestazioni sanitarie di ogni campo che il Servizio Sanitario Nazionale è impegnato a erogare a tutti i cittadini: si traducono perciò in servizi, prestazioni, standard. Si possono definire atti tecnico-sanitari. Ma se li leggiamo con lo sguardo volto alla Costituzione (articolo 32), alla tenuta di un sistema sanitario universalistico (o almeno che cerca di rimanere tale), al cambiamento nelle politiche locali che possono promuovere, allora sono un atto squisitamente politico (e poi, certo, anche tecnico-politico): perché articolano concretamente e garantiscono l’accesso dei cittadini al diritto alla salute e al contempo spingono all’innovazione di approcci e sistemi di intervento. Soprattutto, fanno del diritto alla salute un diritto esigibile, per tutti e tutte. I LEA decidono, tramite negoziazione e spesso lotte della società civile e degli operatori e delle loro organizzazioni, cosa davvero sia cruciale tutelare, di questo diritto, “investendo risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale”, come recita la loro definizione istituzionale.
È per questo che quando nel gennaio 2017 è stato pubblicato il DPCM con l’aggiornamento dei LEA, che ha incluso in modo specifico i LEA della Riduzione del Danno (RdD), si è avuta la percezione di un importante passo avanti. Perché da lì in poi, ogni cittadino che consuma droghe sul territorio nazionale avrebbe avuto garantito il diritto di tutelare e promuovere la propria salute e il proprio benessere e di prevenire i rischi e i danni potenziali correlati al proprio consumo di droghe, con il sostegno di interventi, servizi e prestazioni a questo dedicati. Perché sarebbe finalmente, dopo venticinque anni di pratiche di RdD, stata superata quella distribuzione disuguale tra regioni e tra città, che ha fatto sì che a buone, e in alcuni casi ottime, pratiche e buoni sistemi di intervento si accompagnassero una totale assenza di queste politiche e sistemi di intervento a soglia alta e altissima. Un mosaico sconnesso, questo, dovuto alla totale assenza di linee guida nazionali sulla RdD, alla mancanza decennale di un Piano d’azione nazionale che della RdD faccia un suo perno e un suo indirizzo. E in effetti questo hanno fatto, i LEA della RdD, hanno introdotto dalla finestra ciò che nessun Piano nazionale aveva fatto entrare dalla porta, e lo hanno fatto, se possibile, con anche maggiore forza, stante la natura dei LEA, più cogente di qualsiasi testo di linee guida o di indirizzo. L’entusiasmo, però, è durato poco, e ancora oggi, metà 2019, si è in attesa di un atto governativo che definisca, prima, consenta alle regioni di implementare poi, e infine monitori i LEA della RdD. Un immobilismo del governo Gentiloni, prima, che pure li aveva varati e che ha avuto un anno e mezzo di tempo per concretizzarli, e di quello giallo verde poi, che sulle droghe sembra più indaffarato a rispolverare vecchi arnesi dell’epoca di Nixon che a implementare ciò che è dovuto.

Contro l’immobilismo governativo

Intanto, però, i LEA della RdD sono stati decretati, e nello spazio che hanno creato si sono mosse alcune Regioni. Proprio le Regioni, nel 2018, erano state interpellate da una vasta azione delle associazioni per la RdD, la campagna “LEA. La RdD è un diritto”, puntando sul loro coinvolgimento e responsabilità, a fronte dell’immobilismo governativo. Tra le Regioni più attente e con una maggiore tradizione di politiche di RdD, il Piemonte ha risposto istituendo un Tavolo tecnico con il compito di redigere la proposta dei LEA della RdD regionali. Passaggio che non sostituisce né colma il vuoto governativo ma che, stante la titolarità regionale in materia, può fare la differenza a livello di politiche locali e, anche, può rappresentare una spinta significativa in sede di Conferenza delle Regioni.
Dopo un lavoro di meno di un anno del Tavolo regionale RdD, il 12 aprile del 2019 è stata approvata la relativa DGR. I LEA della RdD piemontese sono redatti sulla base di una approfondita conoscenza dei diversi modelli di consumo presenti sul territorio, dei bisogni di salute delle Persone che Usano Droghe (PUD), e sono supportati da evidenze e indirizzi tratti dalle linee guida dell’EMCDDA, l’osservatorio europeo sulle droghe: perché la comunità scientifica non può essere “sovranista” o regionalista, perché le evidenze sulla RdD a livello globale sono ormai consolidate, e perché – nonostante i nostri governi siano su questo molto distratti – le linee guida europee (Strategia, Piani d’azione) fanno della RdD uno dei cardini delle politiche dell’Unione sulle droghe. Guardando allo scenario nazionale, si può ben dire che il Piemonte è più in dialogo diretto con l’Europa che con il governo di Roma.
La scelta del Tavolo regionale, confermata dall’Assessorato alla Salute, è stata quella di organizzare i LEA per servizi e, insieme, per prestazioni di RdD: perché sono necessari servizi mirati (come drop in, centri a bassa soglia di accesso, unità e interventi di strada e nei setting naturali di consumo e del divertimento, netreach, l’outreach on line) ma è anche importante promuovere una offerta di prestazioni di RdD che attraversi tutto il sistema dei servizi e degli interventi (e anche setting diversi da quelli sanitari, da alcuni servizi sociali al carcere, a presidi informali sul territorio, come accade per il naloxone), oltre una settorialità rigida tra “pilastri” o settori; un approccio all’insegna di un continuum che rispecchi, realisticamente, l’andamento discontinuo e variabile delle traiettorie del consumo dei singoli consumatori, che entrano in contatto con ambiti diversi del sistema-dipendenze. Così, se alcune prestazioni sono tipiche dei servizi di RdD (per esempio il drug checking, previsto in ambito di outreach e servizi a bassa soglia), altre possono e devono essere offerte in ogni possibile nodo del sistema, a cominciare dai SerD, per aumentarne la diffusione, l’accesso e l’efficacia. I LEA regionali includono la distribuzione di naloxone, l’attivazione del peer support, la distribuzione di materiale sterile, counselling e formazione all’uso sicuro, i test rapidi HCV e HIV, tra queste prestazioni “trasversali”. La direzione è quella che, se è inevitabile che i LEA siano ben definiti e specifici quanto a obiettivi e caratteristiche di RdD, la loro implementazione trasversale e diffusa allude e risponde alla necessità di ridisegnare nel suo complesso un sistema pubblico-privato pensato e organizzato – e spesso a tutt’oggi centrato – su consumi, comportamenti, soggetti e obiettivi di trent’anni fa.

Un processo virtuoso

Ciò che rende l’esperienza piemontese degna di nota è, oltre all’esito, anche il processo. Seguendo una pregressa esperienza positiva, un Tavolo RdD nei primi anni 2000, il Tavolo tecnico ha incluso tutte le competenze del territorio e del sistema: i Dipartimenti Dipendenze delle ASL regionali, sia (in alcuni casi) con i loro direttori sia (sempre) con gli operatori più esperti e attivi in questo ambito; il Terzo settore accreditato e in convenzione, spesso rappresentato da operatori con esperienza ultraventennale e attivi in ambito di stili di consumo diversi; associazioni di ricerca e formazione, come Forum Droghe, e – ed è forse la prima volta per un tavolo istituzionale – l’associazione torinese delle persone che usano sostanze. Si è trattato di un percorso virtuoso, sotto il profilo dell’inclusione di sguardi, discipline e approcci diversi, delle competenze, e della disponibilità a trovare un linguaggio comune. Un buon esempio di come riconoscere questa molteplicità – che del resto è strutturale, per la RdD, che è insieme politica sociale, culturale e sanitaria – sia fattore di successo. Tanto che il Tavolo, nato come gruppo ad hoc, ha chiesto e ottenuto di essere un Tavolo stabile: sia perché definire i LEA non è che un primo passo verso la loro effettiva implementazione in tutte le ASL, e verso una adeguata copertura economica (e il cambio di governo regionale sarà terreno di verifica); sia perché, nel merito, ci sono molto aspetti a cui i LEA accennano nelle “note per una buona implementazione”, che vanno sviluppati e curati: misure di RdD in ambito penitenziario, per esempio, o una formazione RdD estesa a tutto il sistema, o ancora lo scambio di buone prassi. E anche la ricerca: è in corso di verifica la fattibilità di un studio costi/benefici, proposto dal Tavolo e sostenuto dall’Assessorato, su quanto paghi, in termini anche economici e di efficienza di sistema investire in RdD (in termini umani, sociali e di salute già lo sappiamo).
C’è dunque molto lavoro da fare. Sul piano nazionale, la Commissione Salute e il Coordinamento tecnico dipendenze della Conferenza delle Regioni possono fare del LEA piemontesi un apripista, perché – sebbene ogni regione abbia le proprie indubbie caratteristiche, relative ai fenomeni del consumo, alla società e ai sistemi di intervento e, alcune, le loro indiscusse competenze e buone pratiche di RdD – questo documento viene da una regione con venticinque anni di esperienza di RdD e con una scena della droga complessa e articolata, rappresentativa, e a volte anticipatoria, dei trend di rapido cambiamento che caratterizzano gli attuali consumi.