Tempo di lettura: 3 minuti

Nulla da fare. La riclassificazione della cannabis nelle tabelle delle convenzioni internazionali ha saltato un altro giro. Se ne riparlerà a Dicembre 2020, anche se secondo le normali procedure ONU, si sarebbe dovuto decidere già a marzo 2019 come ampiamente illustrato nell’edizione del Libro Bianco dell’anno scorso. Si è trattato del primo processo di revisione complessiva della letteratura scientifica sulla cannabis da parte della massima autorità medica mondiale. Una revisione che non vi era stata nel 1961, quando la cannabis fu inserita nella tabella IV (quella delle sostanze più pericolose e con valenza terapeutica residuale) per puri motivi ideologici sotto la pressione della delegazione USA guidata da Aslinger e con l’accusa di essere pianta criminogena lanciata dall’Interpol.
La più fiera oppositrice della raccomandazione che sposta la cannabis nella Tabella I (quella delle sostanze pur pericolose, ma con valenza terapeutica) è la Russia, seguita dalla Cina e da alcuni paesi asiatici e africani. Dall’altra parte USA, Canada, Uruguay e l’intera Unione Europa. Ma anche molti stati africani che vedono nel riconoscimento del valore terapeutico un possibile sviluppo per le economie locali.
Come nel passato l’opposizione è basata esclusivamente su motivi ideologici. Come ha più volte ribadito la Russia durante i negoziati, si ritiene una eventuale decisione di accoglimento della raccomandazione dell’OMS come un “via libera” alle esperienze di legalizzazione dell’uso ricreativo, che fermamente osteggia. Una posizione rigida che ha sfruttato il metodo del “consensus” di Vienna per ingessare il processo decisionale. Per venirne fuori in qualche modo, senza delegittimare una consolidata procedura di aggiornamento delle tabelle internazionali, il voto è stato rinviato al 3 e 4 dicembre, quando è prevista la riconvocazione di questa 63esima sessione della CND. Questo darà modo alla diplomazia di continuare l’opera di ricomposizione, ma da entrambe le parti si ritiene scontato un muro contro muro che sfocerà in un voto contrapposto, o addirittura ad un nuovo rinvio.
Non si tratta certo della migliore raccomandazione possibile. Le ONG hanno sottolineato come sia incongruo il mantenimento nella tabella I delle sostanze più pericolose. La stessa motivazione dell’OMS, ovvero il fatto che la cannabis sia la sostanza più usata nel mondo fra quelle tabellate, sembra avere più a che fare con valutazioni politiche che con le evidenze scientifiche sulla pericolosità della sostanza in quanto tale.
In questi mesi è previsto un approfondimento della raccomandazione, che pure è sotto esame da oltre un anno. Le ultime notizie trapelate dal Vienna International Centre, dove ha sede l’UNODC e dove si tengono le riunioni della CND, confermano il percorso verso il voto di dicembre. Sono previsti approfondimenti tematici sugli effetti economici, sociali e normativi della riclassificazione, dopo che nel 2019 si è parlato molto delle questioni mediche. Le riunioni saranno a porte chiuse, anche se prima probabilmente se ne discuterà anche alla riunione intersessionale della CND prevista a settembre, aperta anche alla Società Civile. Va sottolineato come la presidenza di turno della CND inviti gli stati membri a far partecipare agli incontri di approfondimento “esperti in materia”. Sarebbe curioso sapere che intenda fare il Governo italiano, ricordando che solo grazie ad una nota di Associazione Luca Coscioni, Forum Droghe e Società della Ragione l’esperienza italiana sulla cannabis medica era stata portata all’attenzione dell’OMS all’inizio del processo di revisione.
È stato confermato anche un nuovo passaggio ad ottobre all’interno del Comitato dell’OMS demandato alla valutazione delle sostanze controllate dalle convenzioni (ECDD). Questa, pur rappresentando una pericolosa porta aperta alle forti pressioni politiche in atto, potrebbe essere l’occasione per risolvere qualcuna delle incongruenze presenti nella raccomandazione e presentando così modifiche che possano anche facilitare il dibattito fra gli Stati Membri e quindi la sua approvazione a dicembre 2020.
Nel frattempo si va a delineare anche la posizione dell’Unione Europea, favorevole in generale alla raccomandazione, ma con numerosi dubbi sulla parte relativa alla nota alle tabelle rispetto all’esclusione esplicita del CBD dalle sostanze controllate. Recentemente però in un giudizio fra una società francese importatrice di olio al CBD dalla Repubblica Ceca e lo Stato francese, presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’Avvocato Generale ha dato ragione alla società, ribadendo che “allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non è dimostrato che l’olio di cannabidiolo abbia effetti psicotropi”. Se al termine del giudizio si confermasse il parere dell’avvocatura europea, diventerebbe difficile per gli Stati membri invocare il contrario in sede di CND.
Il tema sarà inoltre capire come verrà approfondito il limite del THC, fissato allo 0,2% nei prodotti a base di cannabidiolo, visto che le normative statali anche a livello europeo, al momento sono variegate e spesso confuse, come in Italia.
La partita è dunque aperta, ed è importante che l’attenzione dell’opinione pubblica resti vigile su questo processo che potrebbe essere, con tutti i suoi limiti, un passo importante nel processo di riforma delle politiche sulle droghe mondiali.
Pur essendo criticabile è evidente che a questo punto, quantomeno visto il livello dell’opposizione rispetto alla sua approvazione, è molto importante che la raccomandazione sia approvata.
Pare anche chiaro che in vista di dicembre 2020 è necessario costruire un sostegno vasto da parte della Società Civile italiana e internazionale a favore dell’applicazione delle evidenze alle politiche sulle droghe, a partire da quelle sulla cannabis.

Materiali e approfondimenti nello speciale di Fuoriluogo.it Cannabis e OMS: https://www.fuoriluogo.it/oms