Tempo di lettura: 97 minuti

Il video del dibattito parlamentare sulla regolamentazione legale della cannabis tenutosi alla Camera dei Deputati il 25 luglio 2016. Fonte http://webtv.camera.it/

Ecco il resconto stenografico della seduta:

Discussione della proposta di legge: Giachetti ed altri: Disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati (A.C. 3235).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 3235: Disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 luglio 2016.
(Discussione sulle linee generali – A.C. 3235)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l’ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell’articolo 83, comma 2 del Regolamento.
Do ora la parola alla presidente della Commissione giustizia, deputata Donatella Ferranti, per riferire sui lavori svolti dalle Commissioni. Prego, Presidente.

DONATELLA FERRANTI, Presidente della II Commissione. Grazie, Presidente. Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge in esame in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati è stata presentata da oltre 200 deputati appartenenti a diversi gruppi ed iscritta nel calendario dei lavori dell’Assemblea in quota opposizione su richiesta del gruppo Sinistra Italiana-SEL. Questa precisazione è estremamente importante in quanto la circostanza che si tratti di un provvedimento rientrante tra quelli che il Regolamento riserva ai gruppi di opposizione ha condizionato in maniera decisiva l’andamento dell’esame in sede referente presso le Commissioni riunite II e XII.
L’esame è caratterizzato non solo da un ampio approfondimento istruttorio, incentrato sull’indagine conoscitiva che ha consentito alle Commissioni di acquisire elementi di informazione in merito alla delicata materia della legalizzazione della cannabis, ma anche dal mancato conferimento dell’incarico ai relatori di riferire in Assemblea in senso favorevole o contrario.
Per tale ragione, anche a nome del Presidente della XII Commissione, onorevole Mario Marazziti, mi appresto a rappresentare l’esito dei lavori in Commissione, in assenza delle nomine dei relatori per l’esame in Assemblea.
Le Commissioni II e XII, nella seduta di giovedì 21 luglio scorso, non hanno ritenuto di conferire il mandato ai relatori, l’onorevole Daniele Farina per la II seconda Commissione e l’onorevole Anna Margherita Miotto per la XII Commissione, avendo concordato con quest’ultima che non vi erano le condizioni per esaminare e votare i circa 1700 emendamenti ed articoli aggiuntivi presentati. Non è stato possibile chiedere il rinvio dell’esame da parte dell’Assemblea in quanto, per poter procedere in tal modo, sarebbe stato necessario il consenso del gruppo che ha chiesto l’inserimento del provvedimento nel calendario dei lavori in quota opposizione.
Nel corso dell’esame in sede referente, l’onorevole Daniele Farina ha più volte ribadito, anche su sollecitazione della relatrice della XII Commissione, onorevole Miotto, nel corso dell’ultima seduta di Commissione, di essere contrario a ogni ipotesi di rinviare l’esame del provvedimento da parte dell’Assemblea, ritenendo di fondamentale importanza portare il testo della legalizzazione della cannabis per la prima volta all’esame d’Assemblea medesima, sottoponendolo così a un confronto Pag. 22che potesse uscire dall’ambito ristretto delle Commissioni e che coinvolgesse così l’intero Paese.
Proprio per la rilevanza del tema trattato dalla proposta di legge, alcuni gruppi si sono dimostrati favorevoli alle richiesta presentata dall’onorevole Miotto di un rinvio. In particolare, nel corso della seduta di giovedì scorso, l’ultima della sede referente, l’onorevole Miotto ha evidenziato come la complessità del provvedimento – emersa chiaramente già nella fase delle doverose audizioni svolte ed attestata, altresì, dal numero particolarmente elevato di proposte emendative presentate, come dicevo prima, 1700 – non le avesse consentito di svolgere un esame approfondito delle medesime proposte, il cui termine di presentazione era scaduto solo due giorni prima, e proprio per esprimere poi il proprio parere e predisporre, in qualità di relatrice per la Commissione affari sociali, emendamenti di sintesi volti a recepire le istanze rappresentate.
Come si è detto, l’altro relatore, onorevole Daniele Farina, parlando a nome del gruppo Sinistra Italiana ha dichiarato di essere contrario a un rinvio, pronto a dare pareri, ma nell’ipotesi alternativa di concludere l’esame in sede referente senza esaminare gli emendamenti, a fronte della posizione della correlatrice, e senza conferire il mandato ai relatori di riferire in Assemblea, rimandando tutto il dibattito all’Assemblea medesima.
Il gruppo del Partito Democratico si è mostrato favorevole all’ipotesi di un rinvio che consentisse alle Commissioni di affrontare con maggiore approfondimento la fase emendativa in Commissione, ma a fronte della posizione del gruppo Sinistra Italiana, che appunto aveva richiesto questo provvedimento in quota opposizione, ha anche sottolineato che il tema oggetto del provvedimento – che, come emerso anche dalle audizioni, può essere affrontato con diverse angolature – fa emergere posizioni diverse anche all’interno dei gruppi parlamentari, che possono bene essere oggetto di dibattito direttamente in Assemblea, in assenza di una posizione assunta dalle Commissioni attraverso il conferimento del mandato.
Seguendo la cronologia degli interventi nell’ultima seduta delle Commissioni riunite, il gruppo Area Popolare ha manifestato la propria contrarietà, oltre che sul merito del provvedimento, anche sul metodo che le Commissioni si stavano apprestando a seguire sulla base di disposizioni regolamentari non condivise. Alla luce della posizione del gruppo Sinistra Italiana e del Regolamento, comunque, il gruppo Area Popolare ha preso atto che non vi erano altre strade da seguire oltre quella di concludere l’esame senza il conferimento di mandato ai relatori e rimettere, poi, ai presidenti delle Commissioni il compito di riferire all’Assemblea sull’andamento dei lavori medesimi in fase referente.
Medesima posizione è stata assunta dal gruppo della Lega.
Il gruppo MoVimento 5 Stelle ha rappresentato tutto il suo disappunto per la mancata possibilità di esaminare gli emendamenti in Commissione, ma ha anche preso atto degli orientamenti dei gruppi e che non vi erano altre vie d’uscita regolamentari rispetto alla situazione nella quale le Commissioni si erano venute a trovare.
L’esame in sede referente si è, quindi, chiuso con una presa d’atto da parte dei presidenti delle due Commissioni II e XII dell’assenza delle condizioni per proseguire nell’esame degli emendamenti e successivamente per conferire ai relatori il mandato a riferire all’Assemblea. Allo stesso tempo, le Commissioni sono state avvertite che, come avviene in casi simili, i presidenti avrebbero informato l’Assemblea, nel corso della discussione sulle linee generali, sull’esito dei lavori delle Commissioni medesime e, quindi, sulle ragioni per le quali non si è potuto procedere all’esame degli emendamenti e al conferimento del mandato ai relatori.
Inoltre, è stato fatto presente che, per quanto attiene al seguito dell’esame del provvedimento da parte l’Assemblea, sarebbe stato rappresentato alla Presidenza Pag. 23della Camera l’orientamento condiviso da entrambe le Commissioni di proseguirlo nel mese di settembre, anziché da martedì 26 luglio prossimo, cioè domani, come invece previsto dal calendario dei lavori dell’Assemblea.
Per quanto attiene all’esame in sede referente, questo è stato avviato su richiesta del gruppo Sinistra Italiana, come dicevo in apertura, dopo che la proposta di legge Giachetti A.C. 3235 era stata inserita nel programma dei lavori dell’Assemblea in quota opposizione su richiesta del medesimo gruppo.
L’esame è stato avviato il 26 novembre 2015. Alla proposta A.C. 3235 sono state abbinate le proposte di legge vertenti sulla medesima materia di tale proposta ovvero su alcune parti, come le proposte di legge che si riferivano solo ad alcune delle questioni affrontate dalla prima e che erano state originariamente assegnate alla Commissione giustizia o alla Commissione affari sociali.
Sono state quindi abbinate alla proposta A.C. 3235 le seguenti proposte di legge: A.C. 971 Gozi, A.C. 972 Gozi, A.C. 1203 Daniele Farina, A.C. 2015 Civati, A.C. 2022 Ermini, A.C. 2611 Ferraresi, A.C. 2982 Daniele Farina, A.C. 3048 Turco, A.C. 3229 Nicchi. A.C. 3328 Turco. A.C. 3447 Bruno Bossio e A.C. 3843 Civati.
Anche a nome del presidente Marazziti, vorrei ringraziare gli onorevoli Daniele Farina e Margherita Miotto quali relatori del provvedimento. Questo lavoro è stato da tutti apprezzato anche per lo sforzo di sintesi che hanno fatto entrambi i relatori nell’ambito di un’indagine conoscitiva estremamente complessa.
Nel corso dell’indagine si sono svolte varie audizioni, che hanno tenuto conto della richiesta dei gruppi. In particolare, l’indagine conoscitiva è stata avviata il 26 maggio, si è conclusa il 7 luglio scorso e sono stati sentiti in ordine cronologico: i rappresentanti dell’Associazione Antigone e della Coalizione italiana per i diritti e le libertà civili, del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, Carlo Alberto Zaina, avvocato, Ferdinando Ofrìa, professore di politica economica presso l’Università degli studi di Messina, i e rappresentanti dell’Associazione «La-pianTiamo», Elisabetta Bertol, professoressa di tossicologia forense presso l’Università di Firenze, i rappresentanti della Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze, della Federazione italiana comunità terapeutiche, dell’Associazione italiana per la cura dipendenze patologiche, della Comunità Incontro Amelia, Carla Rossi, professoressa di statistica medica presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, i rappresentanti del Comitato ospedale senza dolore, azienda ospedaliera di Padova, Giocondo Santoni, maggiore generale chimico farmacista, i rappresentanti del gruppo Abele e della Società italiana di psicologia, Andrea Padalino, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino; Gian Paolo Grassi, primo ricercatore del consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria; Raffaele Giorgetti, professore di medicina legale presso l’Università Politecnica delle Marche, Felice Nava, direttore unità operativa sanità penitenziaria dell’azienda USL di Padova; Roberta Pacifici, direttore di reparto farmacodipendenza, tossicodipendenza e doping del dipartimento del farmaco dell’Istituto superiore di sanità; Sabrina Molinaro, responsabile della sezione di epidemiologia dell’Istituto IFC-CNR; i rappresentanti del Centro studi Rosario Livatino; Alessandro Aronica, vicedirettore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, responsabile Area monopoli; i rappresentanti dell’associazione «Luca Coscioni»; Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri» di Milano; Bruno Mazzocchi, responsabile Unità cure palliative ASL 9 di Grosseto; i rappresentanti dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM), della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM) e dell’Associazione Forum droghe; Loredano Giorni, dirigente responsabile di settore politiche del farmaco, innovazione e appropriatezza della regione Toscana; i rappresentanti del Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi; Massimo Canu, Pag. 24professore di psicologia generale presso l’Università degli Studi di Roma «Sapienza»; i rappresentanti del Centro italiano di solidarietà don Mario Picchi (CEIS). Sono state anche chieste osservazioni scritte al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e all’Associazione nazionale magistrati e all’Unione Camere penali italiane; sono pervenute le osservazioni scritte del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e dell’Associazione nazionale magistrati.
Escluse le sedute nelle quali si è svolta l’indagine conoscitiva, le Commissioni si sono riunite il 26 novembre 2015, il 13 gennaio, il 13 luglio e il 21 luglio 2016. Per quanto attiene all’individuazione del testo base, faccio presente che non si è proceduto all’adozione del medesimo – scelta che avrebbe richiesto un voto da parte delle Commissioni –, ma si è proceduto al disabbinamento di tutte le proposte dalla proposta di legge atto Camera n. 3235 a prima firma Giachetti. In particolare, nella seduta del 13 luglio scorso, su richiesta dell’onorevole Farina a nome del gruppo Sinistra Italiana e nell’esercizio di una facoltà assicurata proprio ai gruppi di opposizione nel caso in cui non siano maturate le condizioni per procedere all’adozione concordata di un testo base, è stato revocato l’abbinamento alla proposta di legge atto Camera n. 3235 di una serie di proposte di legge, che prima ho menzionato, vertenti sulla medesima materia, affinché l’esame potesse proseguire solo in riferimento alla proposta di legge atto Camera n. 3235 in quota opposizione ed iscritta nel calendario dei lavori dell’Assemblea.
Il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato al 19 luglio. Come già detto, sono stati presentati circa 1.700 emendamenti, che si sarebbero dovuti esaminare a partire dal 21 luglio, in tempi tali da concludere l’esame in sede referente entro il 25 luglio. Si è anche detto che gli emendamenti non sono stati esaminati e ho rappresentato anche le ragioni. In relazione all’iter legislativo, faccio presente che in data 21 luglio la Commissione Affari costituzionali ha espresso parere favorevole sul testo della proposta di legge atto Camera n. 3235 a prima firma Giachetti.
Per quanto attiene al contenuto della proposta in esame, non spetta ai presidenti della II e XII Commissione illustrarne il contenuto, considerato il particolare ruolo che i presidenti stanno svolgendo in questa occasione, ruolo che si limita a dar conto dell’iter e quindi di quanto avvenuto in Commissione sotto il profilo regolamentare. Non ci rimane quindi che rinviare, per l’illustrazione della proposta, al dossier del Servizio studi, che analiticamente illustra tutti i contenuti della medesima proposta di legge.

PRESIDENTE. La ringrazio.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritta a parlare la deputata Miotto. Ne ha facoltà. Prego, onorevole.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Presidente, fin d’ora le chiedo l’autorizzazione a consegnare il testo, perché la relazione della presidente Ferranti mi esime dal leggere la prima parte (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
Arriva in Aula oggi un testo che ha l’obiettivo principale di introdurre nell’ordinamento italiano la legalizzazione della coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati. La proposta, che raccoglie le suggestioni che provengono da alcune sperimentazioni che nel mondo sono state avviate da poco tempo, fatta eccezione per il «caso Olanda», per le quali non si possono misurare ancora gli effetti, propone alcune soluzioni che rischiano di apparire talvolta delle fughe in avanti, talaltra delle scorciatoie non condivisibili, perché non fanno i conti con la complessità del fenomeno, la complessità che incrocia valori, modelli culturali, scelte personali, ma anche doveri sociali. È un patchwork che contiene l’esperienza olandese della coltivazione per uso personale fino a 5 piantine; la coltivazione in associazione di cinquanta soci, prevista in Pag. 25Spagna; la vendita in esercizi commerciali dedicati, come in Colorado; l’introduzione del monopolio di Stato, recentemente prevista in Uruguay.
L’impatto sull’ordinamento è imponente: rende libera la vendita a maggiorenni; affida ai Monopoli di Stato la coltivazione, lavorazione e vendita della sostanza; ridisegna il regime penale delle condotte correlate alle droghe leggere; modifica i limiti quantitativi e qualitativi della sostanza detenibile; consente la coltivazione per uso personale; prevede la possibilità di costituire associazioni fino a cinquanta soci per la coltivazione di 250 piante; rende non punibile la cessione gratuita; elimina le sanzioni amministrative di carattere interdittivo-incapacitativo per il consumo della cannabis.
Affronto sei questioni. La prima: aumento del consumo e necessità di ridurlo. La proposta parte dalla constatazione che l’approccio proibizionista non ha fatto diminuire il consumo della cannabis, anzi, particolarmente in Italia, sarebbe progressivamente aumentato, dopo una flessione registrata con la parificazione delle droghe leggere alle pesanti effettuata dalla «legge Fini-Giovanardi», caduta a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, recepita dal decreto-legge n. 36 del 2014. Il largo consumo di cannabis, che riguarda oltre 3 milioni di consumatori abituali, rappresenta certamente un serio problema di ordine sanitario e sociale, e sottolineo il fatto che ne sono consapevoli anche i proponenti, altrimenti, se avessero aderito alla tesi che la cannabis è solo una pianta, come taluno sostiene con una evidente forzatura, non avrebbero proposto la legalizzazione ma la liberalizzazione.
Dicevo che l’ampio consumo di cannabis rappresenta un problema e, se ci poniamo l’obiettivo di ridurlo, è bene confrontarci sulle strategie sin qui messe in campo, evitando quella che io ritengo sia una semplificazione, allorché si attribuisce all’approccio proibizionista il mancato raggiungimento dell’obiettivo. Penso che fallisce ogni strategia solo repressiva se non è integrata da misure di prevenzione e di riduzione del danno. Dobbiamo riconoscere che nel nostro Paese da troppo tempo non si investe più sulla prevenzione, e purtroppo ne paghiamo ora le conseguenze.
Se stanno così le cose, la legalizzazione potrebbe rappresentare una risposta tale da costituire un deterrente al consumo della cannabis ? Gli esponenti delle comunità terapeutiche intervenuti in audizione hanno parlato di resa dello Stato; a molti appare invece un incentivo, perché, liberati dallo stigma legato ad una problematica accettazione sociale, i consumatori di droga potrebbero ritenere di non doversi interrogare sulla riduzione del consumo. Ed ancora, la strategia universalmente condivisa per contrastare la diffusione delle droghe riguarda innanzitutto la riduzione della domanda. Poiché il consumo personale e la detenzione di sostanza per uso personale sono stati depenalizzati, come nella maggior parte degli Stati, la legalizzazione riguarderebbe il commercio e la produzione; allora, quali effetti avrebbe sui consumi ? Nessun disincentivo, anzi il rischio è opposto.
Seconda questione: la diffusione delle droghe e i legami con la criminalità organizzata. È purtroppo noto che il diffuso consumo della cannabis alimenta e moltiplica le risorse finanziarie delle organizzazioni di tipo mafioso, che con quelle risorse condizionano ed inquinano l’economia legale. Numerosi magistrati impegnati in prima linea sul versante della lotta alla criminalità alle mafie hanno ripetutamente affermato, anche in queste settimane, che la legalizzazione per affamare le mafie, per essere efficace, dovrebbe essere estesa a tutto il mondo contemporaneamente. Sembra un paradosso, ma come non convenire con le preoccupazioni che manifestano allorché paventano il rischio che la legalizzazione in un Paese possa indurre la semplice migrazione delle organizzazioni illegali in aree ove il commercio e la produzione sono proibiti ? Oppure, come non prefigurare il rischio di un adattamento del mercato illegale in affiancamento a quello legale, potendo abbattere i costi della sostanza ? Se la Pag. 26cannabis in tabaccheria costa 10-12 euro al grammo, alle narco-mafie risulta agevole occupare il mercato a 6-8 euro. E abbiamo ancora le agende aperte sul gravissimo tema del gioco d’azzardo, perciò temiamo che si ripeta l’insuccesso di una legalizzazione pensata per combattere il gioco illegale e che invece deve fare i conti con le infiltrazioni malavitose nel gioco legale.
Su questo punto ritengo opportuno fare un rapido cenno all’importantissimo contributo del procuratore Roberti della DNA, che con qualche semplificazione comunicativa è stato arruolato fra i sostenitori della proposta all’ordine del giorno. In verità, il Procuratore antimafia propone un rigido regime di monopolio, a partire dalla produzione; il divieto della coltivazione individuale, in via assoluta, il divieto della coltivazione associata, amplia le condotte punibili per tutelare il monopolio, ad esempio, reintroduce la punibilità dell’uso personale se acquistata fuori dal circuito del monopolio, propone l’inasprimento delle sanzioni penali, prevede l’arresto in flagranza anche per i casi meno gravi.
Terza questione: prospettiva di nuove entrate per l’erario. La prospettata legalizzazione viene collegata alla possibilità di recuperare all’erario una quantità di risorse notevole per effetto dell’affidamento al monopolio legale della vendita della cannabis; con grande enfasi i proponenti destinano solo il 5 per cento dei proventi derivanti dalla legalizzazione per il contrasto alle dipendenze, mentre il 95 per cento è destinato a finalità diverse, creando una sorta di complicità con il Ministero del Tesoro. La stima è sull’ordine di qualche miliardo di euro. Innanzitutto è da approfondire la circostanza che, coesistendo il monopolio con la coltivazione personale ed associativa prevista con cinque piantine per persona, i consumatori che si recano in tabaccheria sarebbero residuali e, quindi, la stima del gettito andrebbe conseguentemente ridimensionata, ma rimane sullo sfondo l’interrogativo se sia eticamente accettabile imporre una nuova tassa sul vizio, come usualmente vengono definite le accise che, dal gioco ai tabacchi, alle bibite zuccherate fino alle merendine, sono state già sperimentate anche nel nostro Paese con esiti negativi per gli effetti di deterrenza sui consumi, mentre, invece, hanno assunto la veste di strumenti utili per fare cassa rapidamente.
Quarta questione: l’affidamento al monopolio di Stato delle condotte legalizzate. L’ho ricordato poco fa, numerosi fra gli auditi hanno espresso una chiara preferenza per l’affidamento ai Monopoli di Stato della coltivazione e vendita della cannabis. Occorre ricordare che il ricorso al monopolio legale esiste se lo Stato è l’unica impresa che produce e cede un bene per il quale non esistono succedanei e, non avendo concorrenza, determina il prezzo e le altre condizioni di mercato. Le condizioni del mercato della cannabis non appaiono favorevoli per l’affermarsi di una gestione monopolistica avente a oggetto la cannabis per due ragioni. I monopoli in Italia sono di natura fiscale, per assicurare all’erario un gettito, e questa non è la finalità del monopolio sulla cannabis; inoltre, è prudente considerare che la linea di politica economica da tempo assunta nel Paese è rivolta al superamento di tutte le posizioni di monopolio per aprirsi a processi di liberalizzazioni e, quindi, sarebbe un’iniziativa in controtendenza. Infine, essendo prevista la coltivazione personale o associata, questa entrerebbe in concorrenza con il monopolio; alcune centinaia di migliaia di autoproduttori dovrebbero essere oggetto di controlli, assorbendo larga parte delle risorse risparmiate con la legalizzazione.
Quinta questione: il rispetto dei vincoli internazionali. Ogni innovazione normativa in questo settore va collocata nel quadro degli obblighi internazionali che il nostro Paese è tenuto a rispettare, in forza di trattati sottoscritti. Cito la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti, recepita con la legge n. 328 del 1990, e la Convenzione unica sugli stupefacenti adottata a New York nel 1961, ratificata con la legge n. 412 del 1974, che definiscono reati la detenzione e l’acquisto di sostanze stupefacenti e psicotrope, Pag. 27nonché la coltivazione delle medesime; in alternativa alla condanna possono essere applicate misure di trattamento, educazione, riadattamento, reinserimento sociale. Anche la Corte, in conformità a tali norme, si è più volte pronunciata in occasione della presentazione dei referendum abrogativi sulla illiceità della coltivazione, sancendone la inammissibilità. In verità, maggiore autonomia agli Stati viene accordata da una normativa europea, con una decisione quadro del 2004. Questi riferimenti internazionali costituiscono un vincolo che, ad esempio, impedirebbe di affermare la totale liceità della produzione della cannabis per uso personale.
Sesta questione, la più importante: i giovani. Abbiamo finora visto che le misure previste atte a contrastare il diffondersi delle droghe appaiano inefficaci; appare problematico anche il contrasto alla criminalità organizzata. Credo ci si debba interrogare anche su aspetti di natura sanitaria nel senso più ampio e corretto del concetto di salute, inteso come benessere della persona; se è vero che non sono noti casi di overdose e morti conseguenti al consumo di cannabis e che questa manifesta livelli di tossicità generalmente bassi, tuttavia la pericolosità è legata a specifici fattori di vulnerabilità individuale, alla via di somministrazione e alla durata del consumo. È invece elevata la pericolosità per i giovani consumatori di cannabis, per una diversa sensibilità individuale, anche genetica, a una maggiore predisposizione a sviluppare episodi psicotici.
Le indagini condotte sui consumatori ci consegnano un dato allarmante: si ipotizza che solo il 25 per cento dei consumatori siano maggiorenni. La legge si occupa dei maggiorenni, sui quali, peraltro, gli effetti tossici della cannabis sono di minore impatto, nulla si dice dei minorenni che rappresentano la maggioranza dei consumatori e sono coloro che rischiano di più per le conseguenze sul sistema nervoso centrale che un ripetuto consumo di cannabis, magari con elevato THC, comporta. La legge, è vero, fissa dei divieti, ma sono gli stessi divieti che per gli adulti non hanno prodotto risultati; non è questa un’ulteriore contraddizione?

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sarro. Ne ha facoltà.

CARLO SARRO. Grazie, Presidente. Dunque, abbiamo ascoltato la relazione della presidente della Commissione giustizia che ha ricostruito il travagliato iter di questo provvedimento. Il tentativo che è stato, devo dire, anche, con molta serietà e con molto rigore, praticato di giungere all’elaborazione di un testo base che potesse fare sintesi rispetto alle molteplici proposte di legge presenti in Parlamento, sicuramente, dà atto anche dell’attività istruttoria, per così dire, dell’indagine conoscitiva che è stata compiuta, anch’essa molto ampia, molto articolata, proprio per consentire, tanto alla Commissione giustizia quanto alla Commissione affari sociali, di avere la latitudine più ampia in ordine alle testimonianze di quanti, per esperienza professionale, per diretta conoscenza della tematica, potevano offrire un contributo, appunto, di conoscenza, alle Commissioni, per il lavoro. Questo contributo obiettivamente c’è stato ed è stato estremamente utile, perché da esso noi possiamo ricavare molti elementi e abbiamo voluto, in particolar modo noi di Forza Italia, avere con questo tema un approccio che fosse il più «laico» possibile, il più aperto possibile e il più attento, naturalmente, alle tante ricadute che un tema come quello di cui trattiamo inevitabilmente comporta.
Il provvedimento, sostanzialmente, poggia su tre filoni argomentativi che sono stati, poi, ripresi anche in altri disegni di legge e che riguardano quelle che sono le tre aree più importanti per le ricadute che questo tema comporta. Innanzitutto, vi è la questione del contrasto alla criminalità organizzata, all’uso che nel mercato delle droghe e degli stupefacenti la criminalità organizzata compie, con gli ingenti proventi che da tale attività ricava. Gran parte di quanti hanno favorevolmente valutato questa iniziativa, in particolar modo coloro Pag. 28in linea con il tradizionale pensiero cosiddetto antiproibizionista, hanno affermato che attraverso questo sistema, vale a dire la legalizzazione dell’uso delle cosiddette droghe leggere, verrebbe sottratta una quota importante del mercato alla criminalità organizzata, alle mafie, con, conseguentemente, una riduzione dei proventi che tali sodalizi ricavano da queste attività criminali ed una contestuale liberazione di risorse in particolar modo umane, finanziarie e economiche da destinare, invece, al contrasto delle altre attività, sempre criminali. Potremmo dire che la sintesi di questa posizione è contenuta nel documento che alle Commissioni ha fatto pervenire la Direzione nazionale antimafia che si è espressa, sia pure relativamente solo ad alcuni punti della proposta, in termini favorevoli e, appunto, sintetizza in sei risultati positivi le ragioni che militerebbero a favore di questa posizione. In primo luogo una rilevante liberazione di risorse umane e finanziaria in diversi comparti della pubblica amministrazione, una più importante liberazione di risorse nel settore della giustizia per le migliaia di procedimenti penali che richiedono appunto il coinvolgimento e l’impegno di magistrati, cancellieri, ufficiali giudiziari, un po’ tutto il personale che gravita intorno ad un processo, una perdita di risorse finanziarie per le mafie, una contestuale acquisizione, invece, di risorse finanziarie per lo Stato attraverso la gestione del monopolio e, soprattutto, poi, un rilancio dell’azione strategica di contrasto che potrebbe essere conseguenza, appunto, di questi fattori precedentemente ricordati. Ora, questo documento, nonostante l’autorevolezza della sua provenienza, non ha trovato, soprattutto nel campo di quanti quotidianamente e con esperienza si misurano nell’azione di contrasto, una condivisione. Vorrei citare la posizione del procuratore antimafia Gratteri, che ha radicalmente contestato queste risultanze, e lo ha fatto certamente non partendo da una posizione pregiudiziale o ideologica, ma citando una serie di dati, dati importanti, che smontano, sostanzialmente, questa ricostruzione che è stata fornita dalla Direzione nazionale antimafia, ma che, comunque, ha trovato e trova ingresso in molte delle posizioni antiproibizioniste.
Innanzitutto, il concreto guadagno che verrebbe sottratto alle mafie sarebbe – cito testualmente – ridicolo. Questo perché, mentre un grammo di cocaina costa al mercato illecito 50 euro, un grammo di marijuana costa 4 euro, e, soprattutto, non considera un altro dato: mediamente, ogni cento tossicodipendenti, solo il 5 per cento usa droghe leggere e, di questa percentuale, il 75 per cento sono minorenni. Dunque, la lettura comparata di questi dati e una riflessione che è possibile condurre sugli stessi ci porta già ad escludere molte delle valutazioni di segno positivo che erano state citate nel documento della Direzione nazionale antimafia, perché non solo in termini assoluti il valore sottratto come guadagno alle mafie sarebbe limitato, ma vi sarebbero, poi, problemi molto significativi, perché, prevedendo lo stesso disegno di legge oggi in discussione una sostanziale esenzione di responsabilità per quanto riguarda i soggetti minorenni, vi sarebbe una platea molto vasta, invece, di fruitori e consumatori da parte proprio dei giovanissimi, e dunque una scarsa possibilità di incidere.
Ma, soprattutto, se anche si dovesse andare nella direzione delineata nel disegno di legge, cioè quella di demandare al monopolio la produzione e il controllo, quindi la distribuzione, anche di questo tipo di sostanze, non si creerebbe un’alternativa, per così dire, attrattiva al mercato illecito, perché, citando un esperimento che è stato condotto nelle serre di Modena, un grammo di marijuana o, comunque, di droghe leggere prodotto in forma sperimentale in queste serre, naturalmente con l’osservanza di tutte le disposizioni di legge che qualsiasi tipo di produzione richiede, quindi l’inquadramento del personale, il pagamento degli oneri contributivi, l’osservanza delle misure sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, insomma, tutto quello che è necessario nel mondo della produzione porterebbe ad un Pag. 29valore di mercato di un grammo di sostanza pari a 12 euro, che è esattamente il triplo di quello che costa, viceversa, al mercato nero.
Dunque, una comparazione che rende sicuramente più forte e più attrattiva la proposta del mercato illecito, del mercato di provenienza illecita, e dunque l’inefficacia, da questo punto di vista, dei vantaggi che, viceversa, vengono prospettati qualora la produzione e la distribuzione venisse direttamente controllata dallo Stato. Del resto, proprio il procuratore Gratteri ci dice che in Aspromonte le cosche controllano le coltivazioni con i pastori che, precedentemente, quando la ’ndrangheta si occupava anche di rapimenti, provvedevano a vigilare sui soggetti rapiti; adesso, invece, provvedono a vigilare sulle coltivazioni, e questa attività ha sostanzialmente, in ragione delle dimensioni del fenomeno, un costo prossimo allo zero, quindi assolutamente sostenibile, ma, soprattutto, che concorre, con la combinazione degli altri fattori, a rendere il prezzo della produzione illecita sicuramente largamente più vantaggioso di quella lecita.
Ma non è, credo, questo poi – un elemento di riflessione ulteriore –, un tema così importante e delicato, risolvibile soltanto in termini di profili per quanto riguarda l’ordine pubblico, per quanto riguarda la sicurezza, per quanto riguarda il contrasto alle attività illecite e alla criminalità. Si pone un problema soprattutto di compatibilità di queste disposizioni con l’articolo 32 della Costituzione, cioè vale a dire il diritto alla salute, che è riconosciuto a tutti i cittadini e che la nostra Costituzione assegna come funzione prioritaria alla Repubblica. Ora, sappiamo bene, perché l’attività, l’indagine conoscitiva ci ha permesso di avere uno spettro di dati molto ampio, posizioni anche molto diversificate, che le valutazioni di ordine generale e particolare sono differenziate: ci sono posizioni assunte da taluni organismi scientifici e da taluni specialisti di un certo tipo, nel senso di ritenere sostanzialmente sostenibili quelli che sono i rischi dell’assunzione di queste sostanze, ma altre organizzazioni, e soprattutto quanti con l’esperienza quotidiana si misurano con questo fenomeno – mi riferisco, in particolar modo, alle comunità terapeutiche –, ci danno dati di segno diametralmente opposto.
Certo, se ci atteniamo a quelle che sono le classificazioni di ordine generale, possiamo dire che la dose letale della cannabis, o meglio, del suo principio psicoattivo, non è stata mai determinata, e, soprattutto, essendo calcolata mille volte superiore a quella che è la dose che viene definita come di tipo ricreativo, non sarebbe assumibile da un essere umano contemporaneamente e contestualmente. Però, ed è questa la valutazione che viene condotta come dose letale per tutte le sostanze che generano dipendenza, quindi anche per l’alcol e per altre sostanze psicotrope, cosa diversa, invece, sono le indiscusse conseguenze negative del consumo di cannabis e la potenzialità di abuso o di dipendenza che dipendono da diversi elementi, fra cui, innanzitutto, la presenza di specifici fattori di vulnerabilità individuale, dalla età precoce della sua assunzione, dalle modalità di somministrazione e dalla durata del consumo.
Del resto, proprio i maggiori organismi sanitari internazionali e nazionali – mi riferisco all’Organizzazione mondiale della sanità e all’Istituto superiore della sanità – in più occasioni e con prese di posizione ufficiali hanno evidenziato come l’uso di queste sostanze possa, soprattutto se assunte in età precoce, e quindi rispetto alla posizione dei giovanissimi, arrecare dei disturbi molto seri per quanto riguarda le funzioni cognitive, per quanto riguarda il collegamento con altro tipo di patologie, e qui, naturalmente, il rinvio è a tutti gli atti che sono stati acquisiti nel corso della indagine conoscitiva. Di fatto, noi abbiamo la posizione degli organismi internazionali deputati alla tutela della salute che hanno più volte ammonito, per così dire, come esistano dei rischi oggettivi, dei pericoli reali, che sono, naturalmente, confermati dalle evidenze scientifiche.
L’altro elemento è quello, che si è detto anche precedentemente, a proposito delle Pag. 30esperienze che sono state compiute in altri Paesi sulla cosiddetta legalizzazione per alcuni settori, anche in Italia, pensiamo al gioco d’azzardo. Ebbene, l’esperienza della legalizzazione del gioco d’azzardo o, comunque, della sottoposizione ad una forma di controllo molto più diretta e molto più aperta, tra virgolette, dello Stato ha determinato, come valutazione e primo bilancio che può essere a distanza di anni compiuto, una sostanziale smentita rispetto a quelle che sono le affermazioni delle posizioni antiproibizioniste, perché, per esempio, in questo settore si è registrato non solo un incremento in termini assoluti del gioco d’azzardo, e quindi dell’insieme, del valore complessivo di questo settore, quindi le risorse che vengono ad esso assegnate e spese dagli utenti, ma anche una modifica della platea dei giocatori, per cui si è passati dai dati censiti nell’anno 2011 di una tipologia media del giocatore, di età intorno o superiore ai sessant’anni e soprattutto di estrazione sociale medio-alta, ai dati ultimi, le ultime rilevazioni di questo settore, che ci consegnano viceversa la tipologia del giocatore, che è di età sempre ovviamente più bassa, ma soprattutto appartenente a categorie sociali molto meno agiate e molto economicamente meno forti di quelle cui appartenevano inizialmente i giocatori. Fenomeno, questo, favorito anche dalla diffusione del gioco on line, quindi dall’agevolissima accessibilità ai meccanismi da parte anche dei giovani. Ma il dato che interessa è che da un lato si è avuto un ampliamento dell’attività del gioco, si è avuta una modifica ed un abbassamento pericoloso dell’età e della condizione economica dei giocatori; e soprattutto non c’è stato quell’effetto di contrasto all’azione della criminalità organizzata che viceversa non solo ha continuato a gestire il gioco illegale, ma ha più volte, come numerose indagini hanno poi potuto confermare, anche posto in essere azioni di infiltrazione nel settore del gioco legale: quindi entrando con proprie società o con propri operatori in questo ambito, e quindi estendendo l’inquinamento della sua azione e della sua attività.
Sono dunque questi gli argomenti che hanno convinto tutti noi – abbiamo avuto anche all’interno del nostro gruppo una serie di incontri e di dibattiti – a sostenere in maniera ferma, in maniera laica, in maniera equilibrata le ragioni del «no» a questo provvedimento, la nostra posizione contraria; come con altrettanta convinzione è stata unanime la posizione del gruppo nel valutare invece con favore l’ampliamento e la semplificazione dell’uso, dal punto di vista medico e dal punto di vista del supporto terapeutico di queste sostanze, che, sebbene anche oggi già ammesse all’attività terapeutica, lo potrebbero essere in misura maggiore, e con maggiore facilità anche di accesso, se appunto la materia venisse regolamentata diversamente. E anche il meccanismo che è delineato nel provvedimento oggi all’esame dell’Aula, in particolar modo quello contenuto nell’articolo 6 del disegno di legge, potrebbe essere valutato positivamente rispetto a questo uso, a questo impiego, proprio perché si consente in maniera sufficientemente equilibrata e attenta, in particolar modo per quanto riguarda i controlli, la diffusione e la possibilità, anche da parte di altri soggetti produttori farmaceutici, della coltivazione e dell’impiego di queste sostanze.
Dunque una posizione favorevole da subito all’uso più semplice di queste sostanze nel campo terapeutico. Vi è invece il nostro «no» per quanto riguarda l’uso cosiddetto ricreativo; tra l’altro proprio alcuni degli esperti auditi ci hanno avvertito che questa espressione è piuttosto impropria, perché più che di uso ricreativo bisognerebbe parlare di uso sperimentale, nel senso che molti provano queste sostanze, soprattutto tra i giovani, ed esse hanno poi una funzione-ponte, perché purtroppo spesso portano al consumo e all’assunzione di sostanze molto più pesanti e certo maggiormente nocive.
In queste ragioni, e nelle riflessioni che hanno accompagnato queste argomentazioni, vi sono i tratti essenziali della posizione del nostro gruppo rispetto al provvedimento; e comunque la necessità, da noi avvertita, di muoversi in questo campo Pag. 31con grande prudenza, con grande attenzione, privilegiando quelle risultanze dal punto di vista scientifico che hanno trovato conferma nelle sedi ufficiali ed istituzionali, e soprattutto non lasciandoci troppo suggestionare da analisi di tipo sociologico o di tipo di politica criminale a buon mercato, che, invece, la valutazione attenta dei fatti porta a ritenere sostanzialmente infondate (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Paola Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Presidente, Governo, colleghi, le informazioni sulla droga sono di fondamentale importanza, soprattutto in un’epoca contraddistinta da un numero crescente di casi di tossicodipendenza e alcolismo, che vedono coinvolte persone di tutte le età, di entrambi i sessi e di qualunque categoria sociale. È tristemente nota non solo la mancanza di informazioni, ma soprattutto la distorsione delle informazioni sulla droga, legata spesso ad un approccio ideologico in cui si crea una forzata contraddizione tra libertà individuale e consapevolezza delle conseguenze che certe scelte hanno sulla propria vita e su quella altrui. La distorsione cognitiva che spesso si crea su temi così sensibili ha portato tantissime persone ad avvicinarsi all’uso di certe sostanze convinte di non correre alcun tipo di rischio. Senza le necessarie informazioni è praticamente impossibile riuscire ad aiutare una persona a prevenire possibili forme di dipendenza – in questo caso dobbiamo pensare ad un Paese come il nostro –, oppure a superare il disagio proprio della dipendenza che si crea ed uscire definitivamente dalla condizione di dipendenza, come ci è stato fatto notare da numerose associazioni che abbiamo ascoltato in audizione in queste settimane.
Le droghe sono diventate parte della nostra cultura dalla metà dell’ultimo secolo: alla fine degli anni Sessanta queste sostanze diventarono la colonna sonora di molti movimenti giovanili, che intendevano liberarsi da condizionamenti, regole e da qualsiasi forma di autorità. Si era alla ricerca di emozioni forti che garantissero un senso alla propria vita, andando oltre l’esperienza dei propri limiti. Erano pubblicizzate dalla musica e dai mass media, dai leader del tempo e caratterizzavano i grandi raduni giovanili, i concerti, permeando ogni aspetto della nostra società.
Tutti conosciamo qualcuno che è stato colpito dalla droga, direttamente o indirettamente: è stato stimato che a livello mondiale 208 milioni di persone fanno uso di droga. Negli Stati Uniti un sondaggio a livello nazionale condotto nel 2012 sulla salute e sul consumo di droga ha mostrato che 21,9 milioni, praticamente 22 milioni di americani, circa il 10 per cento della popolazione dai 12 anni in su, avevano fatto uso di droga durante il mese che precedeva il sondaggio, e la droga più comunemente usata è la marijuana.
Secondo il Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sulla droga, nel 2010 circa il 4,6 per cento della popolazione mondiale di età compresa tra i 15 e i 64 anni abusano di marijuana. I giovani di oggi sono più esposti che mai alla droga, proprio per il contagio giovanile che si crea tra coetanei, e che facilita non solo il passaggio di sostanze, ma anche l’immagine di un’esperienza che sembra diventare indispensabile per essere considerati adulti, liberi e trasgressivamente autonomi.
In base ad un sondaggio condotto dai centri per il controllo delle malattie nel 2010, il 47 per cento degli studenti di scuola superiore a livello nazionale aveva bevuto alcol e il 21,7 per cento aveva fumato erba nell’arco di quel mese: 1 ragazzo su 5, almeno 4 in una classe di 20 studenti, circa 200 in una scuola di 1000 alunni ! Una cifra veramente impressionante, se si pensa al mercato potenziale che ogni scuola rappresenta, e che è ben noto non solo ai pusher che girano nei cortili o nelle adiacenze delle scuole, ma agli stessi alunni che si trasformano in pusher potenziali per far fronte alla propria dipendenza.Pag. 32
In Europa un recente studio tra i giovani di 15 e 16 anni ha fatto notare che l’uso di marijuana varia da meno del 10 a oltre il 40 per cento, con i tassi più alti riportati dagli adolescenti nella Repubblica Ceca (il 44 per cento), seguiti dall’Irlanda (39 per cento), dal Regno Unito (38 per cento) e dalla Francia (38 per cento). Con queste percentuali, non stupisce il successivo passaggio alle droghe più pesanti: in Spagna e nel Regno Unito l’uso di cocaina fra i 15 e i 16 anni è tra il 4 e il 6 per cento, ed è aumentato in Danimarca, Italia, Spagna, Regno Unito, Norvegia e Francia.
Fin qui i numeri. Ma forse vale la pena ascoltare qualche testimonianza. «Il mio scopo nella vita non era vivere, era avere uno sballo. Nell’arco degli anni ho fatto uso di marijuana, cocaina e alcol, con la falsa convinzione che mi avrebbero aiutato a fuggire dai problemi: ho solo peggiorato le cose. Ripetevo a me stesso: smetterò definitivamente dopo quest’ultima volta; non è mai successo». Un altro ragazzo: «Ho iniziato con la marijuana, poi con le pillole, ecstasy e gli acidi, facendo miscugli con ogni tipo di droga, prendendone anche dosi esagerate per avere effetti più duraturi. Una sera ho avuto una brutta esperienza, un trip. Pregavo e piangevo affinché questa sensazione sparisse; sentivo voci nella mia testa avevo dei tremiti e per sei mesi non sono potuto uscire di casa. Pensavo che tutti mi stessero guardando. Non riuscivo a camminare nei luoghi pubblici, non riuscivo nemmeno a guidare. Mi sono ritrovato a non avere più una casa, a stare per strada, a vivere e dormire su un cartone, a fare l’elemosina e trovare modi per procurarmi da mangiare».
Ma perché, allora, le persone assumono droga ? Le persone assumono droga perché vogliono cambiare qualcosa nella propria vita e spesso i giovani hanno fornito queste spiegazioni per giustificare l’uso di droga: per inserirmi nel gruppo dei coetanei, per evadere, per rilassarmi, per ammazzare la noia, per sembrare più grande, per ribellarmi, per sperimentare. Pensano che le droghe siano una soluzione, ma, alla fine, le droghe diventano il problema. Anche se è difficile affrontare i propri problemi, le conseguenze dell’uso di droga sono sempre peggiori del problema che si sta cercando di risolvere.
La vera risposta dovrebbe essere quella di un’informazione scientificamente e psicologicamente fondata, senza far uso di droga in primo luogo. Molti di loro sperimentano le droghe senza neppure sapere come funzionano ed è questa la nostra vera responsabilità: non facilitare l’accesso alle droghe, ma spiegare loro come funzionano, far vedere gli effetti, anche, a volte, con linguaggi duri, con esempi forti, con qualcosa che non abbia nulla di accattivante e di seduttivo, con qualcosa che non faccia sembrare la vita e l’esperienza dello sballo come qualcosa che meriti di mettere a rischio la propria vita.
Le droghe sono potenzialmente dannose e la quantità assunta ne determina l’effetto che si ottiene. Una piccola quantità, come è noto, agisce da stimolante, fa andare più veloci. Una quantità maggiore agisce come sedativo, deprime, ti rallenta. Una quantità ancora più grande intossica e può uccidere. Questo è vero per qualsiasi droga, cambia solo la quantità necessaria per ottenere l’effetto.
Ma molte droghe hanno anche un altro rischio che, talora, rientra tra gli effetti desiderati: arrivano al cervello e possono distorcere le percezioni di quello che sta succedendo attorno all’individuo; come conseguenza, le azioni della persona possono essere strane, irrazionali, inappropriate e persino distruttive. La droga blocca, allora, tutte le sensazioni, quelle desiderabili così come quelle indesiderabili. Perciò, mentre forniscono un aiuto immediato per dare sollievo al dolore, le droghe spazzano via capacità e prontezza e annebbiano il pensiero.
A volte sono necessarie, come l’uso della cannabis terapeutica, per la quale questo Parlamento si è già espresso positivamente in diverse occasioni. Ne cito una particolarmente importante, forse per me particolarmente cara, che è quella in cui abbiamo parlato del disegno di legge sulle cure palliative e sulla rete contro il dolore. In quella legge si parla molto, molto Pag. 33positivamente anche della cannabis per uso terapeutico, ma è evidente che quella cannabis è presa sotto lo stretto controllo medico, per il tempo necessario e fino ad ottenere gli effetti desiderati. Infatti, se non si usano i farmaci come dovrebbero essere usati, possono essere pericolosi, al pari delle droghe illegali.
Normalmente, quando la persona ricorda qualcosa, la mente è veloce e le informazioni le arrivano velocemente. Ma le droghe possono offuscare la memoria, causando vuoti mentali. Quando la persona cerca di ottenere informazioni in mezzo al caos della sua mente non ci riesce. Le droghe fanno sentire lento, stupido e possono causare veri e propri fallimenti nella vita. Man mano che la persona ha dei fallimenti, la vita diventa più dura, si desidera più droga per aiutarsi a gestire le difficoltà. Voglio citare un esempio che è particolarmente frequente tra gli studenti: assumere droga per stare sveglio, per sentire che la propria mente funziona più velocemente; avere la sensazione di aver appreso quell’argomento, di conoscere bene quella materia, salvo poi scoprire, al momento dell’interrogazione, che c’è un vuoto mentale che ti impedisce di ricordare quelle cose che eri certo di aver studiato, certo di aver imparato, ma che in quel momento non sono disponibili per te. È proprio il circuito vizioso e – oserei dire – maledetto della droga nell’esperienza di molti ragazzi.
Una comune bugia sulla droga, infatti, è che aiuta una persona a diventare più creativa. La verità è ben diversa. La droga può portare una persona ad una falsa allegria, ma quando l’effetto svanisce, la persona precipita ancora più giù di prima e lo sconforto emozionale aumenta ogni volta. Alla fine, la droga distruggerà completamente non solo la sua creatività, ma anche la sua emotività. «Per tutto il tempo in cui facevo uso di droga pensavo di avere il controllo della mia vita e di averlo sul serio. Invece, ho distrutto tutto ciò che avevo costruito e per cui avevo lottato nella mia vita. Ho tagliato i legami con i miei amici che non si drogavano e con la mia famiglia. Perciò, non avevo amici, ma compagni di droga. Ogni giornata girava intorno a una cosa: il mio piano per avere i soldi che mi servivano per la droga. Avrei fatto qualsiasi cosa per avere la mia anfetamina, era l’unica cosa della mia vita». «Quando ero ubriaca» – dice un’altra persona – «sentivo che ero più euforica. Poco dopo aver iniziato a bere, ho iniziato ad assumere marijuana. Vivevo con un mio amico ed insieme fumavamo marijuana. Qualche volta aspiravamo cocaina dalle bustine. Sniffare cocaina era diventata una routine. Rubavo denaro alla mia famiglia e ai miei nonni quotidianamente per sostenere le spese di alcol, cocaina, marijuana e LSD. Poi ho iniziato ad usare regolarmente l’Oxycontin. Sniffare Oxycontin era diventata una routine quotidiana. Ne sono diventata dipendente Avevo bisogno di qualcosa di più forte e sono passata all’eroina. Non mi sarei fermata davanti a niente pur di ottenere la mia dose. La mia tossicodipendenza stava vincendo. Ogni volta che provavo a liberarmene, il mio corpo ne richiedeva di più».
Ma per entrare nel vivo della legge occorre comprendere meglio cosa implichi il termine «cannabis», perché di questo si tratta in questa legge, dal momento che si riferisce a diverse droghe che derivano dalla canapa indiana, marijuana e hashish compresi. Marijuana è il termine usato per indicare una sostanza ricavata dai fiori secchi, semi e foglie, della canapa indiana. L’hashish è una forma correlata della stessa droga, prodotta dalla resina della canapa indiana. È, in media, sei volte più forte della marijuana. Quando fumati, sia la marijuana che l’hashish rilasciano un caratteristico odore dolciastro, che è quello che si percepisce perfettamente in certi ambienti. Indipendentemente da come lo si chiami, si tratta di un effetto allucinogeno, cioè di una sostanza che altera il modo in cui la mente percepisce il mondo circostante. La sostanza chimica contenuta nella cannabis che crea questa distorsione è nota come THC. La quantità di THC che si trova in una certa partita di marijuana può variare notevolmente, ma, nel complesso, la percentuale di THC è Pag. 34aumentata negli ultimi anni, proprio perché è aumentata una dipendenza pressoché sociale da questo tipo di droga. La marijuana, infatti, è la droga più usata al mondo. È generalmente fumata in una sigaretta – il famoso spinello –, a volte gli utenti, però, aprono le sigarette e rimuovono il tabacco, mescolandolo con la marijuana, e, altre volte, i due prodotti sono mischiati con droghe più potenti, come ad esempio crack o PCP.
Quando una persona fuma uno spinello ne sperimenta l’effetto nel giro di pochi secondi. La sensazione immediata, l’accelerazione del ritmo cardiaco, la diminuzione del coordinamento e dell’equilibrio o un sognante e reale stato d’animo raggiungono l’apice entro i primi 30 minuti. Questi effetti a breve termine di solito finiscono nel giro di due o tre ore, ma potrebbero durare più a lungo, a seconda della quantità assunta, della potenza del THC e della presenza di altre droghe aggiunte nel miscuglio. Dato che un tipico consumatore inala più fumo e lo trattiene più a lungo di quanto non farebbe con una sigaretta, uno spinello crea un grave impatto anche sui polmoni di una persona. A parte il disagio che accompagna mal di gola e raffreddore, si è scoperto che il consumatore si espone a sostanze chimiche cancerogene come se fumasse cinque sigarette. Le conseguenze mentali dell’uso della droga sono ugualmente gravi. I fumatori hanno memoria e attitudine mentale peggiori di chi non ne fa uso.
La cannabis, con il 16 per cento, è al terzo posto tra le cinque principali sostanze che sono causa di ricovero in strutture per la disintossicazione negli Stati Uniti. Secondo un sondaggio nazionale sull’assunzione della droga, i ragazzi che usano frequentemente marijuana sono quasi quattro volte più inclini della norma ad agire con violenza, a causare danni materiali. Sono cinque volte più propensi a rubare rispetto a chi non fa uso della droga, non fosse altro che per procurarsi la droga. Oggi si tratta di una droga molto più potente che in passato, perché le tecniche di coltivazione e l’uso selezionato dei semi hanno prodotto una droga più forte. Di conseguenza, si è riscontrato anche un aumento nel numero di giovani fumatori che finiscono al pronto soccorso. Poiché si crea tolleranza, la marijuana può portare i consumatori a far uso di droghe più pesanti per ottenere lo stesso sballo. Quando l’effetto sparisce, il problema, la situazione o la condizione indesiderata ritornano più intense di prima. A questo punto il consumatore può iniziare a prendere droghe più forti dato che la marijuana non funziona più. Mancanza di coordinazione dei movimenti e distorsione del senso del tempo, battito cardiaco che accelera, rendimento scolastico ridotto, tutto questo comporta una serie di conseguenze, di cui questo Parlamento ha preso atto anche recentemente, approvando la legge sulla guida sicura e, quindi, interdicendo l’uso della guida alle persone che sono sotto l’effetto della droga. Abbiamo preso atto che la droga fa male e abbiamo preso delle misure concrete e coerenti perché questo non accadesse.
La proposta di legge di cui stiamo parlando si compone di dieci articoli ed è volta a consentire a determinate condizioni la coltivazione della cannabis in forma individuale o associata, a prevedere la liceità della detenzione di cannabis entro determinate quantità, a introdurre un monopolio di Stato e a consentire la vendita al dettaglio della cannabis e dei prodotti derivati e, in relazione alla lieve entità delle condotte illecite inerenti agli stupefacenti, a prevedere una differenziazione di pena in relazione alla tipologia delle sostanze, distinguendo tra droghe pesanti e droghe leggere.
Vorrei soffermarmi un attimo sull’articolo 1. L’articolo 1 è quello che inserisce la coltivazione in forma personale ed associata di cannabis tra le fattispecie lecite, non sottoposte ad alcun regime autorizzatorio. La disposizione consente a persone maggiorenni la coltivazione e la detenzione personale di piante di cannabis di sesso femminile – perché quelle di sesso maschile non hanno praticamente alcune effetto sotto il profilo della droga – nel limite di cinque e del prodotto da esse ottenuto, previo invio di una comunicazione con determinati requisiti all’ufficio regionale dei monopoli di Stato. Le piante di cannabis di sesso maschile producono una percentuale irrisoria di THC, inidonea a produrre effetti droganti, mentre le piante di sesso femminile costituiscono la categoria che produce tramite i fiori il citato principio attivo. Ma la legge prevede anche la coltivazione di cannabis in forma associata ad associazioni private di cinquanta persone, nei limiti quantitativi di cinque piante per associato, sempre previa comunicazione al competente ufficio dei monopoli di Stato. La proposta, quindi, consente la coltivazione associata di 250 piante selezionate, dalla quale sono ricavabili chili e chili di cannabis, andando ben oltre quello che è il limite previsto dalla legge.
Immaginiamo poi un altro aspetto, che mi sembra particolarmente interessante ovvero la condizione in cui in un nucleo familiare, in cui sono presenti dei minori, si dia la possibilità al capo famiglia di coltivarsi il suo orticello di cinque piante di cannabis per uso personale – famoso orto in città, tra un po’ li avremo tutti così –: quale potrà essere l’esito di un tale esperimento ? Certamente il minore non riuscirà a capire che differenza c’è tra ciò che fa il genitore e ciò che potrebbe – o nel caso specifico non potrebbe – fare lui. Lo spirito di emulazione lo spingerebbe quantomeno a provare e consumare la sostanza che consuma suo padre e sicuramente a considerare la cannabis innocua e disponibile anche per lui. Il ragazzo potrebbe essere portato a vantarsi con gli amici, facendo provare anche a loro l’effetto della sostanza. Si può immaginare di adottare una soluzione ovvia, che potrebbe essere quella di tenere sotto chiave il luogo di coltivazione della cannabis, ma è facile prevedere che con la curiosità di cui sono dotati ragazzi questi verranno prima poi a scoprire l’attività di coltivazione e l’uso costante della sostanza da parte del genitore. Sottovalutare questi fondati pericoli è da sconsiderati e superficiali, significa fare della libertà un concetto totalmente distorto, perché alla libertà del padre non corrisponde affatto la libertà del figlio, anche perché devo dire che all’immaturità del padre corrisponde invece drammaticamente l’immaturità del figlio, prima che si renda conto del danno che si è procurato.
Per queste ragioni la società civile, assieme alle famiglie e agli educatori di ogni ordine e grado, deve prevenire certi comportamenti devianti, evitando il lucro che sempre accompagna le sostanze stupefacenti e soprattutto facendo efficace e precoce informazione e prevenzione, partendo già dalle scuole elementari. Pare banale e ovvio dirlo, ma la prevenzione è sempre l’intervento più efficace e meno costoso da adottare.
L’articolo 2 della legge consente ai maggiorenni la detenzione personale di cannabis e dei prodotti da essa derivati, in misura non superiore a 5 grammi lordi, aumentata a 15 grammi lordi per la detenzione in privato domicilio. Diventa sempre più difficile acquisire informazioni sugli spacciatori e dimostrare se si tratti di sostanze autoprodotte o acquistate sul mercato illegale, ça va sans dire che, se io ho più 5 grammi lordi, posso sempre dire di essermela coltivata, laddove invece l’ho semplicemente comprata al mercato e allo spaccio.
L’articolo 3 prevede la non punibilità e questo mi sembra particolarmente grave. Prevede la non punibilità della cessione gratuita a terzi di piccoli quantitativi di cannabis e dei prodotti da essa derivati, destinati al consumo personale e, comunque, nel limite massimo di 5 grammi fuori casa e dei famosi 15 grammi in casa. Anche in questo caso si realizza una sorta di legalizzazione dello spaccio, perché in casa ogni persona avrà i suoi 15 grammi lordi. E possiamo facilmente immaginare il coca-party o comunque il droga-party che tipo di effetti potrebbe avere. Si rende impossibile procedere all’acquisizione di informazioni sugli spacciatori e si rendono più complesse le indagini necessarie a dimostrare che si tratti di sostanza prodotta oppure acquistata al mercato illegale. Ma su questo vorrei insistere ancora una volta. L’articolo 3 dice che la punibilità è comunque esclusa, qualora la cessione gratuita di cannabis avvenga tra persone minori. Signori, qui si tratta semplicemente di uno stimolo, di un incoraggiamento veramente delinquenziale, perché si tratta di stimolare i più piccoli a diffondere droga – perché non punibili – non solo tra i loro amici, ma tra gli amici dei fratelli più grandi o tra gli amici del papà o della mamma. E questo perché si crea ? Perché si crea una sorta di impunità per i pusher minorenni. Questo avrà delle conseguenze sulle fasce minori di bambini veramente devastanti e ci impone una responsabilità tale, che io credo ignorarla rappresenti davvero una colpa grave, una colpa grave per questo Parlamento, ma una colpa grave per una società che volesse davvero distruggere il futuro delle proprie generazioni future. Nel quadro di questa previsione, infatti, per superare lo scoglio della cessione gratuita, basterà scambiare il denaro tra altre persone e usare i minori per lo scambio della droga. La proposta non contiene sanzioni in merito alla presenza di minori in casa, soprattutto nelle case di coloro che comunque detengono la cannabis. Non contiene indicazioni relative ai rischi che possono generarsi quando la sostanza viene utilizzata per la preparazione di alimenti. Si tratta di rischi gravissimi di consumo inconsapevole e di sovradosaggio, che derivano sia dall’aspetto apparentemente innocuo degli alimenti contenenti cannabis sia dal fatto che, diversamente dal fumo che fa subito affetto, l’assorbimento tramite digestione è molto più lento e, quindi, si tende a consumarne più del limite.
Pare opportuno quindi focalizzare l’attenzione su un punto della proposta di legge. Risulta problematico far collimare la possibilità di coltivare fino a 5 piante di cannabis e nello stesso tempo limitare la quantità detenuta di cannabis, che è indicato non poter essere superiore a 5 grammi o 15 grammi e più. Abbiamo detto che le famose piantine producono molto, molto più sostanza di quanto non sia quella, diciamo tra virgolette, che la legalizzazione del consumo di cannabis, previsto da questa proposta di legge, consentirebbe. Le piante di cannabis possono dare una produzione per singola pianta che va da un minimo di 10 grammi sino ad arrivare a più di 500 grammi. Complessivamente le cinque piante potranno anche fornire 2500 grammi e più di fiori. Come farà il coltivatore a gestire la sua produzione ? Dovrebbe raccoglierne progressivamente per non più di cinque grammi ? E il resto ? Dovrebbe andare distrutta, registrando la produzione complessiva ? Ora il decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 prevede che la produzione in eccesso venga smaltita attraverso l’incenerimento sotto il controllo dell’ASL o della Guardia di finanza. Si immagina migliaia di situazioni da controllare allo stesso modo ? Sarebbe ingestibile una sovrapproduzione del genere e causerebbe problematiche continue per la sua detenzione. La soluzione è che il testo della proposta di legge porterà ad un ovvio éscamotage, cioè tutti quelli che vorranno evitare contestazioni sulla quantità detenuta coltiveranno e avranno in casa almeno una pianta, perciò sul territorio italiano avremo milioni di siti produttivi di cannabis.
L’articolo 5 istituisce il monopolio della cannabis analogamente a quanto accade per i tabacchi con conseguenze tutt’altro che irrilevanti. Se le dogane possono autorizzare, allora si consente discrezionalità all’amministrazione nella scelta di chi sarà autorizzato, il prezzo di vendita sarà prefissato e non libero, posto che si tratta di un monopolio di Stato, le modalità di confezionamento e lavorazione saranno rigidamente strutturate, la vendita però sarà effettuata anche nelle tabaccherie esistenti, esattamente come accade per il tabacco. Noi avremo una distribuzione non più soltanto di «gratta e vinci» e, quindi, di dipendenza dal gioco d’azzardo, come disgraziatamente subiamo giorno per giorno nella più totale indifferenza da parte del Governo, ma avremo anche un’ulteriore forma di pluri-dipendenza attraverso la somministrazione e attraverso la vendita di cannabis. La proposta, quindi, si pone in termini di un radicale sovvertimento e stravolgimento dell’impianto giuridico penale attuale, in particolare la sentenza della Corte di cassazione del 10 luglio 2008 ha precisato che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale. Ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze, spetta al giudice verificare in concreto l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile. Non me se ne voglia, ma ancora una volta consegneremo ai magistrati la possibilità di decidere cosa si può fare e cosa non si può fare, quanto se ne può fare e come si può fare. La sentenza n. 360 del 1995 della Corte costituzionale ha sostenuto che la coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanza stupefacente integra un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensività di una fattispecie criminosa. Ha anche affermato, ai fini della punibilità della coltivazione, l’irrilevanza della quantità di principio attivo ricavabile e la rilevanza invece della capacità della pianta di produrre la sostanza stupefacente. Duole dirlo, ma c’era molto più buonsenso in questa norma di quanto non ce ne sia nell’intero disegno di legge. La decisione del Consiglio europeo, Giustizia e affari interni, la norma del 2004, ha individuato la mera coltivazione tra le condotte per le quali la normativa europea consente ai singoli Stati membri dell’Unione europea l’applicazione di sanzioni penali; per lo meno non sentiremo più dire che l’Europa ce lo chiede, perché l’Europa, viceversa, autorizza la sanzione. La proposta di legge in esame contraddice in modo evidente la giurisprudenza della Suprema corte e quella della Consulta, prevedendo norme dirette alla legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati, in quanto diretta a depenalizzare alcune parti dell’impianto normativo vigente, che invece si basa sulla consolidata previsione del danno di natura penale che si può provocare. Oltretutto l’attuale proposta di legge contraddice in ogni caso i principi sanciti dall’articolo 32 della Costituzione, che recita: la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. In sede di audizione nelle Commissioni riunite è emerso che l’uso della cannabis comporta effetti avversi su molteplici organi e tessuti e gravi conseguenze permanenti sul nostro organismo. A ciò vanno aggiunti gli effetti dell’uso della cannabis in tema di sicurezza stradale, cui ho accennato prima, con il rischio di incidenti stradali e la sottoposizione alle gravose sanzioni recentemente introdotte. Quelli che destano comunque più preoccupazione sono gli effetti neurobiologici a lungo termine, tra l’altro è stato rilevato come il fenomeno dell’utilizzo delle droghe su soggetti molto giovani determina negli stessi il passaggio dall’utilizzo della sola cannabis a un poliutilizzo, ovvero di cannabis più altre sostanze. Inoltre il progetto di legge contraddice anche l’articolo 2 della Costituzione, secondo cui la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. La proposta legislativa non prevede programmi educativi di nessun tipo che recuperino le persone dipendenti dalla droga, come invece dovrebbe essere previsto, al fine di salvaguardare e tutelare soggetti tossicodipendenti che possono essere considerati soggetti deboli, così come non sono previsti interventi per il reinserimento sociale e lavorativo delle persone tossicodipendenti. Penso che uno Stato democratico non si possa permettere il lusso di liberalizzare ciò che provoca danni alla salute dei cittadini, lo ha detto il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, da trent’anni magistrato e in prima fila nella lotta alla ’ndrangheta calabrese, che non usa giri di parole per esprime la sua totale contrarietà all’ipotesi di una legalizzazione delle droghe leggere. La proposta di legge in discussione, che ha trovato invece il parere parzialmente favorevole del Procuratore nazionale antimafia Pag. 38Franco Roberti, non sembra convincere il magistrato calabrese. Uno Stato democratico si deve occupare della salute e della libertà dei suoi cittadini; noi sappiamo invece che qualsiasi forma di dipendenza genera malattie, in particolare psichiche, ma genera anche ricatto. Non possiamo liberalizzare ciò che fa male.
In conclusione – veramente, concludo – nella legalizzazione della cannabis ci sono sostanzialmente obiettivi che si potrebbero voler perseguire ma che sono in flagrante contraddizione tra di loro, penso per esempio alla tassazione sul vizio, come è stata chiamata anche pochi minuti fa dalla collega Miotto, penso al risparmio sui costi di repressione, nel momento in cui con la legalizzazione decidiamo di lasciar correre, ma penso soprattutto al problema fondamentale che è quello della tutela delle persone. L’unico vero obiettivo della legge deve essere la tutela e la protezione dei consumatori prima che divengano tali, si può affrontare il tema della cannabis in rapporto agli effetti negativi che indubbiamente provoca per la salute ma credo che il tema della cannabis vada ricondotto nella più complessa dinamica del rapporto tra autonomia e dipendenza, tra libertà e responsabilità. La cannabis crea dipendenza e le moderne tecniche di estrazione e di lavorazione, aumentando la concentrazione del principio attivo, aumentano anche la dipendenza, riducono il livello di autonomia e di libertà del soggetto, lo sottopongono a una serie di comportamenti per i quali, riducendo il suo grado di autonomia, si riduce anche il livello di responsabilità. Voglio soltanto dire una cosa, un secondo…
PRESIDENTE. Onorevole Binetti, ha superato già di un minuto i suoi trenta minuti. La prego di tener conto del fatto che ha parlato trenta minuti. Va bene, concluda.
PAOLA BINETTI. Grazie, Presidente. Vorrei soltanto dire che le società di assicurazioni adesso richiederanno anche ai chirurghi, prima di entrare in sala operatoria, di fare il test per sapere se usano droghe o no, questo per dire come aumenta il livello di vigilanza sotto certi aspetti nella società, non possiamo essere noi a buttare al macero cultura e prudenza.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Daniele Farina. Ne ha facoltà.

DANIELE FARINA. Signora Presidente, io sarò molto più breve, perché quello che portiamo in discussione generale in quest’Aula è un provvedimento ambizioso, ha la pretesa di regolare la presenza della cannabis nel Paese dalla coltivazione alla vendita. Per qualcuno questa complessità è un disvalore, per noi invece è un pregio, è la prima volta che si fa questo tentativo di vedere e di normare a 360 gradi. Il testo prova a sintetizzare infatti le numerose proposte di legge depositate in questa legislatura e anche qualcuna delle precedenti e il fatto che sia stato firmato da un così elevato numero di parlamentari ha delle solide ragioni. Siamo infatti di fronte ad un incontestabile fallimento: le politiche restrittive e repressive, validate a livello internazionale, le interpretazioni normative di queste sul piano interno non hanno conseguito i risultati che si proponevano, né dal punto di vista della riduzione della domanda né tantomeno dal lato della riduzione dell’offerta, anzi, dopo decenni di guerra alla droga – ma poi, insomma, colleghi, parliamo largamente di guerra alla cannabis – il quadro è desolante e preoccupante, non solo, in via di peggioramento. A partire dallo smisurato dilatarsi delle risorse disponibili per l’organizzazione del narcotraffico internazionale e oggi ci aggiungiamo anche di quelle terroristiche, un fiume di denaro in grado di pervadere ogni ambito e condizionare gli equilibri di intere regioni del mondo, però in molti interventi non sento traccia di questa evidenza. Invece è certamente questa – ciò che dicevo – una delle ragioni per cui numerosi Stati vanno avviando a convenzioni e accordi internazionali vigenti – sottolineo – una radicale revisione delle legislazioni interne, quello che prima era teoria oggi qua e là è anche Pag. 39pratica e ci fornisce dati e relazioni concrete che rendono possibile e avveduto questo nostro sforzo normativo. Questa discussione ha qualcosa di storico, tra la parentesi della piccola storia, per la prima volta approda in un’Aula parlamentare una proposta di legalizzazione meno restrittiva della legislazione vigente. Ho sentito usare il termine «liberalizzazione», ma nel testo non c’è nulla di tutto questo. La proposta prova a contemperare una riforma parziale del Testo unico sugli stupefacenti n. 309 del 1990, peraltro già ampiamente taglieggiato dalla Corte Costituzionale in supplenza della politica, con norme utili a garantire un reale accesso ai farmaci e ai preparati a base di cannabis per i cittadini, diritto oggi di fatto negato nonostante undici regioni abbiano legiferato in materia. Il tutto sotto regolazione dello Stato e del suo monopolio, seppure attenuato dalla liceità della coltivazione per uso personale, anche associata. Questo monopolio risulta più stringente di quello oggi in atto per i tabacchi lavorati.
C’è un grande ritardo. Per anni siamo stati nutriti di falsificazioni politiche e scientifiche la cui eco è ancora ben presente – noto – nella nostra discussione. Lo stesso Parlamento ha per anni attinto le sue conoscenze da una relazione annuale prevista dalla legge del 2006, la «Fini-Giovanardi», densa di inesattezze, di falsi presupposti, se non di vere e proprie falsificazioni. Ed è naturale che un legislatore cieco difficilmente vari buone leggi. E nel mentre crescevano nel Paese e nel mondo le risorse disponibili e il potere di mafie di ogni sorta di colore e si alimentavano – dicevo – le filiere del terrorismo, col senno del poi la legislazione proibizionista ha rappresentato per questi fenomeni una sorta di concorso esterno, un vero e proprio favoreggiamento. E duole che ancora oggi in quest’Aula vi sia chi, alto gridando un «no» contro ogni modifica normativa, confermi questa complicità.
È la miglior legge possibile ? Certamente no ! È sulla strada giusta (mi fermo qui). Esiste ormai un piano inclinato che sempre più orienterà le politiche globali, i trattati, le legislazioni nazionali. Il mondo, colleghi, va veloce; d’altro canto, i decenni passati hanno avuto costi sociali, umani ed economici spaventosi, senza peraltro conseguire – ribadisco – alcun risultato, anzi peggiorando la situazione ad ogni giro di vite. Dunque, bisogna cambiare. Di fronte a questa stringente necessità è stato posto un muro fatto di 1.700 fra emendamenti e articoli aggiuntivi; la metà di questi reca soltanto la parola «sopprimere», ovvero conservare il presente. Ma l’oggi è fatto di spaccio e criminalità in ogni nostro quartiere; è fatto di clandestinità e degrado; è fatto di insicurezza e di tante risorse repressivamente gettate in una guerra inefficace e senza speranze. Qui ci hanno portato gli alfieri del no. Occorre cambiare le regole di questa partita truccata.
Risorse: proviamo a immaginare che quei 10 miliardi di euro l’anno, di cui oggi si appropria il crimine organizzato, possano essere utilizzati dallo Stato per il reddito, la scuola, la messa in sicurezza del territorio e, sulle droghe, per politiche di informazione e prevenzione, di riduzione del danno e del rischio, perché chi grida per salvare i nostri giovani sono anni che non finanzia neppure quel Fondo nazionale che pure egli stesso ha istituito con la legge del 2006. Ci sono gli irresponsabili alfieri del no e ci sono quelli del «ci sono cose più importanti». C’erano cose più importanti, colleghi, anni fa. Oggi i numeri ci dicono, la cronaca ci dice, che siamo nel campo forse non delle cose più importanti ma certamente dei provvedimenti urgenti. Per questo provvedimento oggi, in un articolo di Roberto Saviano, è stato usato l’aggettivo «rivoluzionario»; troppa grazia, direi. Siamo solo, io dico concludendo, nel campo del buonsenso. Questo iter riprenderà a settembre, però mi permetto di osservare, non per i nostri meriti ma per un orientamento globale, che indietro non si torna: una strada è tracciata e noi la perseguiremo fino in fondo (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giuditta Pini. Ne ha facoltà.

GIUDITTA PINI. Grazie, Presidente. Per prima cosa dobbiamo cercare, colleghi, di uscire dal dibattito provinciale e caricaturale che in questo Paese circonda da sempre il dibattito sulla legalizzazione della cannabis.
La linea adottata dalla destra in questi anni – e non solo dalla destra ma anche dalla parte più conservatrice del nostro Paese – è quella che tutte le sostanze siano pericolose allo stesso modo e che il loro uso, quindi, vada punito allo stesso modo. Peccato che questa affermazione non solo sia falsa ma sia anche pericolosa. Il risultato che infatti si rischia di ottenere e che in alcuni casi si è ottenuto è quello di avvicinare i consumatori a sostanze potenzialmente più pericolose o addirittura letali a parità di sanzione. Molto banalmente il ragionamento che si fa è che se tutte le droghe fanno male in modo uguale e se io vengo punito allo stesso modo, perché dovrei preferire lo spinello a una dose di ketamina ?
Il primo punto da cui partire, a mio parere, quindi è conoscere per prevenire. Le sostanze non sono tutte uguali e la loro pericolosità non è uguale. Parliamo di dati nazionali e internazionali pubblicati su riviste scientifiche. Il 42 per cento dei decessi per overdose in questo Paese è dovuto all’eroina; l’8,4 per cento di decessi alla cocaina e il 6 per cento dei decessi nel mondo, se consideriamo anche le guerre, le carestie, gli attentati internazionali, gli attentati terroristici, gli incidenti stradali, il 6 per cento di tutte le morti del pianeta, dicevo, è dovuto all’abuso di alcol. In Italia parliamo quindi circa di 30 mila morti all’anno per abuso di alcol, mentre sempre in Italia parliamo di 81 mila morti all’anno per anno causati dal fumo di tabacco. Non abbiamo ad oggi registrati invece i decessi dovuti all’uso di cannabis. Quindi no ! Le sostanze non sono tutte uguali.
È ovvio, è certo che in questi ultimi anni ci sono state tipologie di cannabis sempre più pericolose, come ci ricordava prima l’onorevole Binetti, che sono state tagliate anche con altre sostanze. Ma di cosa ci stupiamo ? Crediamo forse nell’etica del lavoro della criminalità organizzata o della mafia ? Io non credo. Esiste però, come dicevamo, un monopolio di Stato sulle sostanze, anche su quelle pericolose e letali, come abbiamo visto. Esiste un monopolio di Stato sul tabacco, esiste un monopolio di Stato sull’alcol e certo esiste un monopolio di Stato anche per la somministrazione degli oppiacei e del metadone per la cura del dolore ed è sacrosanto che sia così, perché chi sta male e chi soffre ha diritto ad avere accesso alle cure e ai farmaci che possano lenire il suo dolore. Eppure, mentre è possibile in ogni parte del nostro Paese somministrare giustamente a chi soffre oppiacei o derivati dell’oppio o metadone, è molto complicato e a volte impossibile, somministrare i cannabinoidi o i derivati della cannabis, anche se probabilmente questi farmaci avrebbero non solo un’azione complementare e migliore ma anche creerebbero meno dipendenza.
Quindi, la domanda che mi pongo è molto semplice: per quale motivo nel nostro Paese non riusciamo a parlare della legalizzazione della cannabis senza creare uno scontro di civiltà ? Ammetto che per quel che mi riguarda questa è una domanda che non ha una risposta, un mistero. Però, immagino che sia dovuto a un fattore culturale: alla visione della cannabis come una sostanza sovversiva, ai mitici anni Sessanta (non lo so). Ma quando undici regioni emanano una regolamentazione sull’uso della cannabis terapeutica e quando il 14,5 per cento dei cittadini tra i 15 e i 65 anni dichiara di aver fatto uso di cannabis nell’ultimo anno, possiamo ancora permetterci di ignorare questo fenomeno e di posticipare la discussione ? Io credo di no. Ma quel 14,5 per cento di cittadini come si è procurato quella sostanza ? Tramite il vasto e capillare mercato e monopolio delle mafie nel nostro Paese. Ci possiamo, quindi, concedere il lusso, come parlamentari e come legislatori, di ignorare ancora questo fenomeno e questi dati oppure di continuare a trattarlo in questo modo ? Io non credo; non lo credo io e non lo crede la Direzione nazionale antimafia e anche le Nazioni Unite non credono che sia più il caso di trattarlo solo in modo proibizionista.
Ed è per questo che da anni, insieme ai giovani democratici ma non solo, ci battiamo per un dibattito serio e completo sulla legalizzazione della cannabis e per un monopolio di Stato che tuteli sia i consumatori che i produttori che la fiscalità in generale dello Stato.
È comunque oggi un passaggio importantissimo per noi, per quello che stiamo facendo: è la prima volta che portiamo all’interno delle istituzioni un dibattito che è già patrimonio comune e che ha bisogno di risposte urgenti e complesse. Ho avuto modo anche oggi di vedere i telegiornali e chiariamo subito un punto: è ovvio che le droghe facciano male, è come dire che l’acqua bagna, però lasciare da solo il ragazzino con lo spacciatore non credo che sia la soluzione anche perché lo spacciatore, essendo un commerciante, tenderà a vendere a quel ragazzino una sostanza che lo porti a tornare da lui. Possiamo e dobbiamo quindi discutere dell’uso, della coltivazione e della vendita della cannabis, ma dobbiamo, oltre che discutere, prendere delle decisioni e assumerci la responsabilità di lasciare o meno questo monopolio in mano a chi ? È una perdita di tempo discutere di questi temi ? È una perdita di tempo quando stiamo parlando di questi numeri ? È una perdita di tempo quando stiamo parlando, anche all’interno di questo provvedimento, di persone che non riescono ad avere un accesso ai farmaci ? Io non credo che sia una perdita di tempo. Dobbiamo nel 2016 finalmente riuscire a superare un dibattito che troppo spesso è stato bigotto e soffocante e da cui le persone, la politica, noi stessi dobbiamo uscire in modo migliore di così e credo che noi ne siamo assolutamente in grado. Siamo stati in grado in questa legislatura di rompere alcuni tabù, lo stiamo ancora facendo e lo stiamo facendo anche oggi e credo che saremo in grado in questa legislatura di affrontare questo dibattito nel merito della legalizzazione della cannabis e credo che saremo tutti in grado – spero – di portare anche a queste domande delle risposte. Io queste domande ve le lascio e le risposte le lascio a voi e vi ringrazio (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ferraresi. Onorevole Ferraresi, ci sarebbe bisogno di una pausa tecnica, se non le dispiace. Sospendiamo la seduta per cinque minuti. La seduta è sospesa.
La seduta, sospesa alle 15,50, è ripresa alle 16.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ferraresi. Ne ha facoltà.

VITTORIO FERRARESI. Grazie, Presidente. Questa proposta che arriva oggi, inaspettatamente direi, perché una proposta di legge innovativa, io direi rivoluzionaria rispetto al Medioevo che abbiamo passato in tutti questi anni, ha avuto un contributo propositivo da parte del MoVimento 5 Stelle. È una proposta che è partita da lontano, ancora prima che il MoVimento 5 Stelle nascesse, ed è stata discussa da alcuni cittadini, alcuni malati e alcune associazioni sul blog di Beppe Grillo. In quel momento ancora il MoVimento 5 Stelle doveva nascere, ma già i cittadini si riunivano e discutevano di proposte di legge o di proposte di cambiamento della situazione normativa del nostro Paese già appunto ancora prima che il MoVimento 5 Stelle si costituisse. Fu quella della coltivazione per uso personale di cannabis la proposta più votata, o comunque una delle proposte più votate, da parte degli iscritti al blog.
Successivamente siamo entrati in Parlamento e abbiamo sottoposto al nostro portale lex, un portale dove i cittadini discutono le proposte di legge sottoposte dai portavoce nazionali anche questa proposta, che andava proprio nella direzione della coltivazione di piante di cannabis per uso personale, dei Cannabis social club, e che fu accolta sicuramente con una volontà da parte dei cittadini di contribuire Pag. 42e infatti fu una delle proposte più commentate sul nostro portale ed ebbe un apprezzamento quasi generale. E poi siamo arrivati appunto a questa proposta dell’Intergruppo per la legalizzazione; il MoVimento 5 Stelle, come sempre, se una proposta, se un argomento appunto è ritenuto valido, collabora, propone, dibatte e partecipa a questo dibattito senza nessun pregiudizio nei confronti delle bandiere politiche che lo animano ed è per questo che abbiamo partecipato, dando il nostro supporto e il nostro aiuto, a creare questa proposta di legge per la legalizzazione che oggi è in Aula e che vede in una gran parte del primo pilastro la costruzione del MoVimento 5 Stelle. Le ragioni le abbiamo già sentite in tutti questi anni, ma siamo arrivati con una maggiore consapevolezza quest’oggi, sia perché l’opinione pubblica è più informata, riceve più informazioni e quindi non si fa abbindolare solo da tutte le bugie e le mistificazioni che sono state fatte in questi anni, sia perché ovviamente queste informazioni arrivano da alcuni dibattiti che in altri Paesi sono già stati fatti. Le nazioni che depenalizzano, regolamentano o legalizzano la cannabis sono sempre di più sparse sull’intero globo e quindi da lì che ci arrivano le informazioni, non tanto dal nostro Paese dove l’argomento è un tabù, dove i dati si fanno fatica a recepire e gli stessi soggetti che sono contrari, senza se e senza ma, pregiudizialmente e ideologicamente a questo tema non hanno dei dati certi da poter mostrare all’opinione pubblica per contrastare o per supportare le loro tesi. Queste informazioni ci derivano dal primo punto di vista, subito, come contributo per la giustizia. Essendo un deputato della Commissione giustizia della Camera, posso subito affermare come la giustizia abbia un’estrema necessità di legalizzare la cannabis. Ha questa necessità perché – come vediamo – ogni giorno ci sono degli scandali legati alla mancanza di personale amministrativo, alla mancanza di giudici, alla mancanza di strutture adeguate dove svolgere i processi, alla mancanza di risorse (che addirittura ultimamente ha messo a collasso la giustizia italiana, per non parlare appunto dell’ultima notizia delle 12.000 sentenze ineseguite, solo riguardante Napoli nord), alla mancanza di sicurezza nei tribunali, alla mancanza di risorse delle forze dell’ordine che non riescono a reprimere crimini ben più gravi che coltivare qualche piantina di cannabis e che molte volte lo fanno senza un’adeguata formazione perché non ce la possono fare o perché non gli viene impartita. Ecco, noi allora dobbiamo pensare che con questa proposta innanzitutto il settore giustizia avrebbe degli influssi positivi; verrebbero sgravati un sacco di problemi dei tribunali andando avanti con i processi che per 130 mila procedimenti ricordiamo possono finire in prescrizione ogni anno. Potrebbe aiutare da questo punto di vista le forze dell’ordine che potrebbero perseguire reati ben più gravi. E, quindi, tutte queste risorse dedicate a una lotta alla cannabis ingiustificata e che ha fallito in tutti questi anni, come ci dimostrano appunto i documenti, il libro bianco sulle droghe e gli studi a livello internazionale, potrebbero essere usate per combattere i veri criminali: la criminalità finanziaria, i crimini di mafia e altri crimini che nel nostro Paese hanno bisogno di essere perseguiti, mentre si persegue invece magari qualche persona, qualche soggetto per qualche piantina con contraddizioni perché molto spesso a Milano si giudica in un modo e a Palermo in un altro, creando una destabilizzazione. Anche i cittadini non sanno più cos’è penalmente rilevante e cosa non lo è, e questo è pericolosissimo per il nostro ordinamento, ossia la mancanza di consapevolezza di ciò che è vietato, di ciò che è penalmente rilevante e di ciò che non lo è. E da questo punto di vista, quindi, noi dobbiamo dare, anche con questa proposta, un indirizzo chiaro per far capire, appunto, al cittadino che può andare fino a un certo limite e da lì non può superarlo perché dopo inizia l’illegalità. Ma con la legge attuale stiamo lasciando all’illegalità il mercato della cannabis; lo stiamo lasciando a criminali che senza alcuno scrupolo mischiano sostanze chimiche e tossiche con il prodotto di una pianta naturale che cresce sul nostro pianeta Pag. 43senza il bisogno anche dell’uomo. E lo stiamo lasciando a loro e siamo da questo punto di vista complici della criminalità organizzata, ma non solo della criminalità organizzata, anche della semplice criminalità in questo business. Questo business che, se eliminato, potrebbe dare ingenti quantità di risorse alle forze dell’ordine per lo sgravio ai tribunali, ai giudici e metterle nella macchina della giustizia per farla funzionare finalmente. Potrebbe essere un vero e proprio incentivo, una macchina di risorse, visto che si dice sempre che i soldi non ci sono.
Oltre al conflitto di giurisprudenza, ovviamente noi dobbiamo anche guardare alle sanzioni e si è parlato tanto di sanzioni per la guida sicura. E dobbiamo darli questi dati perché in Italia dobbiamo sapere che non c’è un documento che certifichi che c’è stato un incidente per uso esclusivo di cannabis con principi di THC. Non c’è un documento che ci certifica che c’è stato un incidente per l’utilizzo di cannabis, esclusiva, attenzione, perché tutti i rilievi sono mischiati con droghe, con alcol e, quindi, non abbiamo questo dato. Lo abbiamo in altri Paesi dove addirittura si è dimostrato che i crimini e gli incidenti sono diminuiti. L’esperienza americana ce lo insegna. Se in Italia non abbiamo i dati per dire una cosa del genere e, quindi, sono bugiardi quelli che ci vengono a dire che provoca più incidenti d’auto, abbiamo i dati, invece, dell’America e del Colorado che ci dicono che i crimini e gli incidenti in auto sono addirittura diminuiti dopo la legalizzazione. Altro problema, ovviamente, è quello di quei cittadini che si mettono a guidare e rischiano sanzioni molto forti soprattutto se sono quegli stessi cittadini che hanno bisogno di medicinali a base di cannabis e si mettono alla guida e vengono trattati come criminali quando il principio attivo ne farebbe derivare senz’altro un beneficio rispetto a qualcosa di negativo per la circolazione stradale. Ovviamente, sarà il medico che dovrà prescrivere in questo senso la sostanza, ma devono essere differenziate le due condotte, di chi veramente guida sotto l’alterazione psicofisica e chi lo fa avendo assunto magari THC qualche settimana prima e non ha nessun, nessun e dico nessun effetto negativo sulla guida.
Le entrate: si diceva che la mafia non gestisce tanto la cannabis. Sapete qual è il mercato che ogni anno la criminalità organizzata – forse questi dati si farebbe bene a passarli anche a qualcuno in quest’Aula o a qualche magistrato che si è espresso contro – fa con la cannabis ? Siamo a 60 miliardi di euro l’anno dovuti agli introiti di questo mercato; 60 miliardi di euro ! Certo, magari la cannabis non è maggioritaria nei business della criminalità organizzata che gestisce sanità, appalti, droghe pesanti, prostituzione, gioco d’azzardo, che comunque è legalizzato, e anche forse tabacchi. Ma possiamo veramente lasciare 60 miliardi di euro alla criminalità organizzata ? Per non parlare dei piccoli criminali che molto spesso aiutano la criminalità, ma lo fanno esternamente, senza essere ricondotti in questi dati. C’è da dire questo. Infatti, i piccoli spacciatori poi magari non vengono inglobati in queste ricerche. Mentre lo Stato rinuncia, in un momento di disoccupazione, in un momento in cui le imprese falliscono, chiudono o se ne vanno all’estero, in un momento in cui la nostra produttività è ai minimi storici, a un’entrata dai 2 ai 10 miliardi di euro l’anno per questa sostanza, che è sempre stata criminalizzata. E, allora, si potrebbe pensare alle migliaia di posti di lavoro in agricoltura, alle migliaia di posti di lavoro per aprire negozi, alle migliaia di dipendenti che potrebbero essere utilizzati dallo Stato per creare una forza lavoro. E a tutto questo non si pensa invece.
La salute: sono tanti i dottori, i medici, gli esperti, non da ultimo Umberto Veronesi, che di certo non è un amico del MoVimento 5 Stelle e che però è sempre stato preso in considerazione come uno dei massimi esperti, che sostengono che i danni derivanti dall’uso della cannabis sono limitatissimi, se non inesistenti. E, allora, provo a pensare ai costi anche della sanità che non sono stati presi in considerazione. Che benefici potremmo avere, miliardi di euro anche in sanità, per utilizzare come terapia, invece che la morfina o altre sostanze, la cannabis ? In Italia sono pochissimi, sono un centinaio i cittadini che possono accedere alla cannabis per uso terapeutico gratuitamente. Le regioni che sono davanti in questo tipo di regolamentazione sono senz’altro la Puglia e la Toscana. Altre le hanno seguite, ma c’è tantissima disorganizzazione, difficoltà, costi elevati per i cittadini che vogliono assumere medicinali a base di cannabis e che non possono farlo se non a costi immensi perché dobbiamo importarla magari dall’Olanda. E, allora, ben venga la sperimentazione allo stabilimento farmaceutico militare di Firenze e ben venga che lo Stato si faccia carico di coltivare e garantire ai malati in Italia queste cure, tra l’altro molto più naturali di tante altre e a costi minori, rispetto appunto alla situazione che abbiamo attualmente, che è veramente deplorevole.
Noi dobbiamo capire che i dati che ci arrivano molto spesso vanno letti in modo reale rispetto alla nostra società. È stato detto appunto che l’Italia è uno dei Paesi che consuma più cannabis nell’intera Europa. E questi dati vanno esposti all’opinione pubblica e ai cittadini senza bugie, senza quelle mistificazioni che fanno arrivare un’informazione sbagliata ai nostri cittadini. E, allora, i dati ci dicono che il consumo di cannabis aumenta dove è presente una legge, una normativa repressiva. Con la Fini-Giovanardi, una legge vergognosa, che parificava l’utilizzo di cocaina o eroina a quello di cannabis, con sanzioni medievali, noi abbiamo avuto il picco di consumo di cannabis, non solo tra le persone adulte, ma anche tra i giovani. E, quindi, con il discorso della lotta alla droga si è andata a fare un’operazione controproducente, che ha di fatto lasciato in modo criminale alla criminalità organizzata l’utilizzo e il mercato della cannabis. E quindi si è dato ai nostri giovani non solo un messaggio negativo, ma anche, quando arrivava, un prodotto assolutamente tossico per la loro salute, perché mischiato con altre sostanze. Mentre quando c’è una legge repressiva il consumo aumenta, quando c’è la legalizzazione – questi sono dati – il consumo, salvo un leggero aumento immediato per la novità, diminuisce drasticamente anche per la popolazione giovanile. Il numero di incidenti, come ho detto prima, il numero di crimini in Colorado sono diminuiti dopo la legalizzazione perché dobbiamo capire che tutti gli studi – questi sono studi certi – ci riportano un dato incontrovertibile ovvero che la cannabis non è letale. Come è stato ripetuto non c’è una morte accertata per l’utilizzo di cannabis ma siamo a circa 3,3 milioni di morti nel mondo all’anno per l’utilizzo di alcool, circa 40.000 solo in Italia. Sono invece 80.000 le morti in Italia per tabacco e 4 milioni nel mondo ogni anno. Ma a nessuno è venuto in mente di vietare l’utilizzo degli alcolici o del tabacco, come a nessuno è venuto in mente di andare a intervenire su altri fattori di dipendenza che ovviamente fanno sfociare anche la situazione familiare o del singolo in malattie gravi come il gioco d’azzardo o altre patologie di dipendenza che possono derivare anche dall’utilizzo dei social network o di mancata attenzione a scuola, al rendimento scolastico ma nessuno si sogna di togliere o di vietare il social network o il gioco d’azzardo, il tabacco, l’alcol. Dunque, perché voler negare la regolamentazione di una sostanza che non è letale, di una sostanza che è molto meno pericolosa di alcol e tabacco ? Mi aspetto che tutte quelle persone, in primis la Ministra Lorenzin, che sono contro questa proposta, il giorno dopo averla votata, depositeranno una proposta di legge per vietare l’alcol o il tabacco nel nostro Paese. Me lo aspetto per coerenza: infatti se diciamo che sono molto più pericolose, non si vede perché una sostanza, che è meno pericolosa rimanga vietata e crei ulteriori problemi al nostro Paese e una sostanza che, invece, è legale non viene vietata anche se è più pericolosa. Non è facile ovviamente spiegarlo, non è facile perché l’ideologia e il pregiudizio che in tutti questi anni c’è stato, unito alla mancanza di informazione che molto probabilmente adesso c’è in misura minore, si Pag. 45contrappone al buonsenso di leggere una proposta di merito e di considerare che il mercato della cannabis è già libero perché tutti nel nostro Paese, soprattutto in Italia dove il consumo è altissimo, possono accedere a questa sostanza indiscriminatamente. Lo possono fare senza controllo dello Stato, lo possono fare senza adeguata informazione e lo possono fare soprattutto perché in questo Paese non si è fatto nulla in termini di repressione e di contrasto nonché di informazione, di riduzione del danno. Dunque forse, se volevamo incentivare un contrasto alle dipendenze e alle droghe, si doveva intervenire già da anni, stanziando le giuste risorse per le politiche giovanili di informazione, di riduzione del danno nelle discoteche e per evitare che questo tabù si trasformasse in un reale pericolo per i nostri ragazzi, tenuto conto che gli spacciatori con la legge Fini-Giovanardi avevano la stessa sanzione sia che spacciassero cocaina ed eroina, sia che spacciassero cannabis e quindi, poiché la cocaina e l’eroina danno un guadagno ben maggiore, a loro conveniva spacciare quelle e in questo modo la pericolosità aumentava: lì sì, in quel caso aumentava tanto. Ma qui si continua ancora a parlare di droghe in generale senza distinguere le sostanze, senza fare una giusta informazione ed è questa la maniera più pericolosa che rendiamo al Paese per quanto riguarda la pericolosità, l’informazione sulle droghe e sulle sostanze. Noi stessi, anzi non noi ma qualcuno in quest’Aula e qualcuno al Governo sta facendo questa informazione ben più pericolosa per le nostre giovani generazioni e per tutti i cittadini: infatti, nascondendo, si vuole il male del nostro Paese come se si difendesse un business e come se si facessero gli interessi del crimine, come i criminali.
Dunque c’è da dire che, se si vuole mischiare il tutto, ne uscirà sicuramente non solo un cattivo servizio alla cittadinanza ma un cattivo servizio al Parlamento perché questa è una proposta di legge di iniziativa parlamentare. Chiedo, dal momento che è presente il sottosegretario Ferri, che rimanga così ma soprattutto che il Governo, nelle sue diverse anime (so benissimo che il Ministero della giustizia sa che questa è una proposta sacrosanta e necessaria per il suo settore; so benissimo che tanti appartenenti alla Commissione affari sociali e salute o appartenenti alla Commissione finanze si sono sempre interessati del monopolio delle entrate dello Stato o membri della Commissione lavoro conoscono la necessaria utilità di questa norma), nonostante le spaccature interne, i pregiudizi o l’omertà, possa – lo chiedo formalmente – in un momento del genere in cui tante sono le problematiche, dalla legge elettorale alla riforma della Costituzione, lasciare al Parlamento il suo potere legislativo. Occorre lasciarglielo fare, forse una delle rare volte in questo Paese e lasciare che le maggioranze siano formate in Parlamento con la discussione degli emendamenti, con la votazione degli emendamenti, con la votazione della proposta che senz’altro non è perfetta, ma è un punto di partenza che non può essere demolito come certe forze politiche vorrebbero fare. Questa discussione sia lasciata ai parlamentari che possano discutere senza ordini dall’alto o paura che il Governo li possa punire per un loro comportamento discrezionale e consapevole all’interno di quest’Aula, che rimane sempre l’organo rappresentativo dei cittadini. Questa è una richiesta che noi facciamo come MoVimento 5 Stelle che ha dato un contributo ed ha aperto una porta a questa proposta e che vuole affrontarla assolutamente, senza pregiudizi o ideologie nel merito, con i dati davanti, con i contributi che ci sono arrivati e soprattutto con una situazione reale del Paese che non può più aspettare, non può più rimanere nel Medioevo ma deve cogliere i passi avanti che sono stati fatti a livello internazionale, i passi avanti che sono stati fatti da molte Nazioni perché non so se in questa legislatura riusciremo ad approvare la legalizzazione della cannabis. So per certo che prima o poi nel nostro Paese avverrà perché non ci si può nascondere per troppo tempo, non si può continuare a mentire non solo agli italiani ma anche a noi stessi, magari per recuperare qualche voto di qualche persona Pag. 46disinformata. Noi non siamo a favore della droga. Ho sentito una frase bruttissima che questa proposta di legge faciliterebbe: nessuno vuole facilitare. Abbiamo anche previsto di utilizzare risorse per informare i cittadini, per contrastare la dipendenza: si possono aumentare, se ne può discutere ma l’importante è spiegarla bene. Questa proposta non facilita nulla, questo proposta regolamenta, controlla e, quando lo Stato tiene al cittadino, soprattutto in materia di sostanze psicoattive si attiva per garantirgli la massima integrità del prodotto, si attiva per garantirgli una consapevolezza nell’uso del prodotto stesso e soprattutto si attiva per fornire un’informazione che possa rendere il cittadino consapevole. Nessuno è a favore della droga: noi rigettiamo quest’affermazione. Io stesso, Presidente, non ho mai fatto uso, mai neanche provato una droga o quanto meno anche una sigaretta ma da parlamentare, da rappresentante dei cittadini, da componente della Commissione giustizia ritengo, senza essere da una parte o dall’altra, che questa sia una proposta di civiltà, una proposta di giustizia che solo un cieco potrebbe rigettare con la situazione ed il Paese che abbiamo davanti e per questo è necessario che la discussione vada avanti. Alcune proposte possono modificarla e sono ben accette, ma che questo dibattito non si fermi a reprimere un’iniziativa che ormai il nostro Paese ha necessariamente bisogno di prendere per uscire dal medioevo e per garantire diritti ai malati, far ripartire l’economia e i posti di lavoro e soprattutto sgravare la giustizia, come ha già detto la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, con una nota che non lascia assolutamente dubbi: togliere la criminalità organizzata e sgravare la giustizia di un peso che non può più sopportare, incentivandola con risorse che le devono essere legittimamente date. È per questo che, Presidente, le nostre proposte emendative saranno poche e saranno di merito. Ci attendiamo serietà, informazione e onestà intellettuale da tutti i gruppi parlamentari che discuteranno questa proposta. Questo è il nostro appello, questa è la nostra sfida, perché diventi un dibattito serio, un dibattito in cui ogni interlocutore fa la sua parte, magari contrastando alcune parti e lasciandone altre, un dibattito che finalmente esca dal pregiudizio e dalle maldicenze, che sono state fatte e dette in tutti questi anni, e ci possa finalmente portare in un’epoca moderna, in un’epoca di avanguardia, e soprattutto garantire diritti ai cittadini. Infatti noi siamo qui per questo: garantire alla collettività il diritto a essere liberi, a curarsi liberamente, a incentivare l’economia del nostro Paese e a garantire giustizia, perché la legalizzazione della cannabis è una questione di giustizia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Amato. Ne ha facoltà.

MARIA AMATO. Grazie, Presidente. Il cambiamento del costume e della società anticipa in genere i tempi della legge. Per la cannabis la spinta alla legalizzazione è una spinta forte, anche se non priva di resistenze e di richiami alla prudenza. In Commissione congiunta giustizia e affari sociali e sanità, le numerose audizioni hanno visto protagonisti pro e contro cannabis alternarsi con contrapposte ragioni. Ci hanno dato la misura delle aspettative profondamente diverse e di posizioni contrastanti e inconciliabili dei diversi mondi, facendoci toccare con mano tutta la complessità e la delicatezza dell’argomento, fornendoci uno spaccato su aspettative, ricadute in termini di salute, teorie scientifiche, filosofiche, di genetica della coltivazione e persino spirituali inerenti alla cannabis, qualcuna – va sottolineato – carente in riferimenti scientifici e di letteratura. Un richiamo alla prudenza nella coltivazione per uso personale, pur con un numero limitato di piante femmina, arriva dal direttore del centro di ricerca per l’agricoltura di Rovigo, per la difficoltà reale al controllo capillare delle piante e della loro tipologia genetica e ancora nelle ricadute in salute per piante esposte a possibili inquinanti e pertanto maggiormente dannose.Pag. 47
Ma il tema più delicato sta nel fatto che i maggiori consumatori sono i giovani e, come per l’alcol, molto alto è il consumo tra i minori, con un impatto difficilmente quantizzabile sulla salute proprio per la limitata produzione scientifica e per la prudenza che impone il principio farmacologico di ricordare che il metabolismo di qualsiasi composto o farmaco è diverso in un soggetto in crescita e in un adulto. Va detto che la dose letale di THC è una dose elevata. Nel ratto – il dato, per tranquillità degli animalisti, ci viene dagli Stati Uniti – è di 42 milligrammi pro chilo per inalazione, ma sono ancora incompleti gli studi sul rischio oncogenico e sul reale peso della connessione con malattie psichiatriche e dei danni sulla memoria e per le psicosi. Il tema della salute riguarda la parte del testo, l’articolo 6, sull’uso terapeutico della cannabis e dei suoi derivati. Molte regioni hanno proprie leggi, ma alla domanda: «non bastano le leggi regionali ?», la risposta è: «no, non bastano». Sono, come di frequente accade in sanità, diverse tra loro, anche se con qualche aspetto in comune e tutte nel perimetro di quanto espresso nel decreto Lorenzin sull’uso terapeutico della cannabis di novembre 2015. Serve una normativa nazionale completa dal seme al farmaco, omogenea, che garantisca equità nell’accesso alle cure, uguale per tutti, perché i malati hanno gli stessi diritti. Molti autorevoli interventi in audizione hanno sottolineato la necessità di normare separatamente dall’uso ludico l’intero percorso della terapeutica: selezione del seme, coltivazione, preparazione del farmaco e accesso alle cure. Ed in molti hanno osservato che è complicato il percorso di una legge in cui si affronti l’uso ludico e quello terapeutico, aspetti profondamente diversi persino nelle caratteristiche stesse della pianta.
Il Sativex, estratto della cannabis per uso terapeutico inalatorio, è un farmaco di importazione e il percorso per i pazienti necessita di una reale semplificazione. In Italia è in essere un progetto pilota sulla base di accordi rispettivamente tra il Ministero della salute e quello delle politiche agricole, alimentari e forestali, e tra i Ministeri della salute e della difesa, per il controllo genetico e qualitativo e la produzione dei semi e la produzione di talee nel Centro di ricerca per l’agricoltura di Rovigo e l’estrazione del principio attivo nell’Istituto farmaceutico militare di Firenze, ponendo le basi per il percorso completo, con ovvie riduzioni dei costi e positive opportunità economiche.
La prima questione da affrontare è, quindi, la selezione delle piante e la coltivazione obbligatoriamente indoor, standardizzata e bio per evitare la contaminazione dei pollini, per avere una cannabis con livelli standard di THC e per proteggerla da contaminazioni con sostanze inquinanti, antiparassitari o concimi nocivi per la salute. Si devono cioè definire i passaggi che trasformano un’erba in un farmaco da inserire in un prontuario per la prescrizione: la selezione delle piante, chi le produce e secondo quale disciplinare, la trasformazione farmaceutica comprensiva dei galenici, le modalità di distribuzione, di prescrizione e di utilizzo. Va ben definito il ventaglio di malattie per cui sia possibile per il medico prescrivere la cannabis, anche e oltre quelle più conosciute, quali la sclerosi multipla, le sindromi dolorose da spasmo muscolare, il dolore nel cancro, il glaucoma resistente a terapie convenzionali, il dolore da arto fantasma. La cannabis aiuta negli stati di progressivo indebolimento e inappetenza nell’AIDS e nei trattamenti chemioterapici. Nella terapia del dolore viene alternata a trattamenti con oppiacei anche per allungare il tempo di assuefazione, nella malattia di Gilles de la Tourette riduce i movimenti scoordinati da contrazione muscolare del viso e del corpo. Ma in medicina si sa che l’esperienza, la casistica e il numero dei pazienti determinano le indicazioni e già si parla di buoni risultati nel morbo di Crohn.
Tra le audizioni quella del professor Saia del comitato «Ospedale senza dolore» di Padova portava la voce dei terapeuti del dolore, un appello accorato a fare presto contro il dolore inutile, come molti medici definiscono quel tipo di dolore, che non serve a fare diagnosi, che è Pag. 48il sintomo che più riduce la qualità della vita di tante persone. Ha sottolineato la necessità che la cannabis fosse prescrivibile da tutti i medici, nel rispetto delle indicazioni possibili e motivando terapie in casi particolari. Anche lui ha chiesto per l’uso terapeutico un testo che viaggiasse su un binario diverso, più semplice, più veloce. Ha concluso il suo intervento con una frase che sintetizza le attese dei malati: il dolore non aspetta. Altri, sempre parlando dell’uso terapeutico, paventavano il rischio che si preferisse il trattamento con la cannabis a prescindere, mettendo il paziente a rischio dei danni per la mancata terapia convenzionale, dubbi che possono essere fugati attraverso campagne di informazione e percorsi formativi per il personale medico e sanitario.
C’è bisogno di dare spazio e risorse alla ricerca anche per le applicazioni terapeutiche dell’altro principio attivo della cannabis, il cannabidiolo. L’Italia ha una buona legge sul dolore, la legge Turco sulla medicina palliativa, ma non basta. Ci sono ancora tante differenze tra regione e regione, in particolare nel trattamento del dolore cronico e nell’assistenza alla terminalità. La mancanza di equità in questo campo ferisce come l’ingiustizia.
Quella sulla cannabis non sarà una discussione facile, sicuramente sarà lunga. Spero in ogni caso che su posizioni ideologiche prevalgano pensiero scientifico e buonsenso (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare deputata Faenzi. Ne ha facoltà.

MONICA FAENZI. Grazie, signor Presidente. Per la prima volta giunge in Aula una proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis; un risultato significativo a prescindere dai tempi che poi saranno necessari alla sua approvazione, anche per il fatto che vi è stata un’ampia e trasversale adesione da parte di tutte le forze politiche presenti in Parlamento. Infatti 294, tra deputati e senatori, hanno aderito al gruppo che, appunto, favorisce la legalizzazione. Si tratta di una proposta di legge che ha quindi il merito – lasciatemelo dire – di superare concettualmente l’abrogata Fini-Giovanardi, che equiparò drammaticamente le droghe leggere alle pesanti, annullando di fatto la funzione general-preventiva del diritto penale ed ha anche il merito di superare la Jervolino-Vassalli perché, alla luce dei dati scientifici, la marijuana non ha mai determinato la morte del suo consumatore. Il testo Giachetti all’esame dell’Aula quindi ha predisposto in dieci articoli una regolamentazione che è finalmente chiara della materia, dalla coltivazione, permessa fino a 5 piante di sesso femminile, passando per la lavorazione, la vendita, fino alla consumazione e la detenzione. Anche dalle audizioni svolte nelle Commissioni riunite giustizia e affari sociali è emerso il totale fallimento del proibizionismo, che non ha contribuito a diminuire i problemi della diffusione della cannabis, così come peraltro confermato anche dalla relazione della Direzione nazionale antimafia del 2015, dove si esorta il legislatore a compiere una depenalizzazione dei reati afferenti il consumo della marijuana. I dati al riguardo infatti certificano che la quantità di marijuana sequestrata ogni anno proprio dalle attività repressive è dalle dieci alle venti volte inferiore a quella immessa sul mercato. Ulteriori vantaggi di una politica antiproibizionista sarebbero quello di liberare dalle carceri i tanti detenuti condannati per la coltivazione e il piccolo spaccio e sgravare così la magistratura di migliaia di processi inutili; ulteriormente, assicurare ai 6 milioni di italiani attualmente consumatori – beh, sì, perché sono sei milioni gli italiani che consumano marijuana – la qualità proprio della cannabis in circolazione; infine, garantire un ritorno economico stimato tra gli 8 e i 10 miliardi per le casse dello Stato. Non deve poi essere trascurata anche la funzione terapeutica, la cui coltivazione risulta totalmente insufficiente allo scopo nonostante la buona volontà di due regioni italiane, che l’hanno consentita. Infatti l’insufficiente quantitativo ha indotto i malati a procurarsela illegalmente ed è di attualità infatti il caso di un malato di SLA che è finito in carcere proprio per questa ragione. Aggiungo, inoltre, che dal punto di vista repressivo l’attività svolta dai Paesi produttori non ha affatto arginato l’influenza economica e politica delle organizzazioni criminali, le quali continuano a controllare la produzione delle materie prime. Nei Paesi consumatori inoltre non si riscontrano significative riduzioni dei profitti dei trasformatori e degli intermediari rappresentati in Italia, in primo luogo, dalla criminalità mafiosa. Da qui discende che rifiutare ideologicamente una politica antiproibizionista significa oggi lasciare in mano alla criminalità organizzata un potere economico vastissimo con conseguenti ripercussioni sulla salute e la sicurezza tout court dei cittadini italiani. L’approccio a temi come questo, sicuramente sensibili e legati anche alla sfera personale di ognuno di noi, non dovrebbe a mio parere essere di tipo ideologico ma schiettamente pragmatico, perché i vantaggi di una politica antiproibizionista sono sicuramente maggiori rispetto a quelli ottenuti fino ad ora con la repressione, che sono pari a zero. A mio parere però, lasciatemelo dire, il testo Giachetti ha anche un altro merito, quello di disciplinare la più efficace delle attività necessarie a risolvere il problema dell’uso di sostanze stupefacenti, perché è proprio questo quello che vogliamo fare appoggiando questo disegno di legge, quello di combattere proprio l’uso di sostanze stupefacenti ed è quello proprio della prevenzione. Oggi un minore ha la possibilità di procurarsi la marijuana senza tante difficoltà, mentre, se tale provvedimento venisse approvato, sarebbero attivati tanti più controlli e tali da rendere sicuramente più difficile l’accesso per i minori alla sostanza. Ricordo, inoltre, come il testo affronti anche il tema delle campagne di prevenzione, stabilendo al riguardo che il 5 per cento dei proventi derivanti dalla legalizzazione del mercato della cannabis siano destinati proprio al finanziamento dei progetti del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga, mentre quelli derivanti dalle sanzioni saranno interamente devoluti ad opere di informazione, cura e riabilitazione di consumatori di droghe e tossicodipendenti. Per questo e per le ragioni che ho illustrato in precedenza, ritengo che rispolverare alcuni dei più vecchi e retrivi fondamentali del proibizionismo non abbia più senso e a tal fine occorre che il Parlamento e il Governo prendano posizione a favore di questa proposta, affinché diventi legge il prima possibile.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Romano. Ne ha facoltà.

ANDREA ROMANO. Signora Presidente, dopo molti anni questo Parlamento torna a discutere di un provvedimento legislativo organico e di insieme relativo al consumo di stupefacenti e si tratta già per questo di un successo dei firmatari della proposta di legge di cui iniziamo oggi la discussione, firmatari, ricordiamolo ancora una volta, che appartengono ad un ampio numero di partiti di diverso schieramento. Rispetto a un tema inevitabilmente controverso e carico di valenze ideologiche contrapposte, lo sforzo del legislatore deve necessariamente essere guidato da un metodo pragmatico e lontano da ogni schematismo, l’abbiamo detto in tanti, uno schematismo che finirebbe per essere appunto ideologico e dunque sostanzialmente inutile, perché io credo che la domanda a cui dovremmo rispondere non è tanto relativa alla scelta di principio cannabis sì o cannabis no, ma è piuttosto un’altra e dunque: quale legge è più adatta a contenere e, se possibile, eliminare i danni sociali e collettivi che derivano dallo sfruttamento criminale della produzione e della commercializzazione della cannabis ? In questo caso il dato di partenza da cui muovono i firmatari di questa proposta è molto chiaro: l’adozione di un modello di repressione indifferenziata, ovvero il modello adottato finora in Italia, con l’obiettivo di punire in modo sostanzialmente identico tutti i consumatori di ogni sostanza stupefacente, questo metodo è fallito sotto ogni aspetto. È un modello che si è rivelato inefficiente perché non ha ridotto in alcun modo il Pag. 50consumo di cannabis, soprattutto nelle fasce giovanili e adolescenziali. È un modello che ha favorito invece di indebolirlo lo sfruttamento criminale della produzione e della commercializzazione di cannabis, dando vita di fatto ad un sistema di industrializzazione criminale delle sostanze psicotrope che ha garantito enormi incentivi economici al mercato illegale delle sostanze proibite ed è un modello infine che è stato segnato da una catastrofica eterogenesi dei fini. Infatti con il proibizionismo si intendeva perseguire l’obiettivo della cancellazione del consumo di cannabis e dei danni sociali prodotti dal suo abuso, ma si è giunti nella realtà concreta al suo esatto opposto, ovvero alla crescita del consumo insieme alla radicalizzazione delle conseguenze sociali e sanitarie e alla moltiplicazione dei profitti criminali che ne derivano. La proposta di una legalizzazione controllata della produzione e del consumo di cannabis muove esattamente da questo, non tanto da una convinzione ideologica ma dalla consapevolezza piena e fondata sul dato di fatto del fallimento concreto delle politiche proibizionistiche, un fallimento – aggiungo – che ha colpito soprattutto le fasce più deboli e fragili della popolazione. Si prenda nello specifico il caso degli adolescenti, ovvero coloro che proprio in virtù della loro specifica vulnerabilità fisiologica, neurologica e sociale al consumo di cannabis sono particolarmente colpiti dall’abuso di questa sostanza psicotropa. Relativamente agli adolescenti, il legislatore deve domandarsi se questa categoria particolarmente vulnerabile di potenziali consumatori può essere meglio tutelata dal monopolio di fatto che le organizzazioni criminali detengono sulla produzione e sulla commercializzazione di cannabis, oppure da un sistema rigorosamente regolato quale quello che si propone in questo testo, che sottrae alle organizzazioni criminali la produzione e la commercializzazione, ne vieta esplicitamente l’assunzione ai minorenni e si concentra sul controllo e sull’informazione. Su questo specifico aspetto, ovvero sulle conseguenze di una legalizzazione regolamentata sugli adolescenti, non ci muoviamo nel vuoto di dati e analisi, al contrario, proprio l’esperienza statunitense fornisce un quadro di dati molto corposo che dimostra come la legalizzazione controllata abbia portato conseguenze positive proprio sulla tutela delle fasce più fragili e deboli della popolazione. È utile ricordare, tra gli altri, uno studio molto ampio realizzato dalla scuola di medicina della Washington University di Saint Louis a cura del professor Grucza sull’impatto sugli adolescenti delle politiche di legalizzazione adottate da alcuni Stati americani. Uno studio che ha sottolineato la riduzione dei disordini psichiatrici legati al consumo di cannabis tra le adolescenti proprio – e cito – «in coincidenza con la cancellazione della repressione per l’uso di cannabis tra gli adulti in dieci Stati americani e l’adozione di politiche di legalizzazione della cannabis ad uso terapeutico in tredici Stati». Così come altrettanto utile è citare un ampio studio pubblicato dalla rivista Lancet Psychiatry che non ha rivelato alcuna crescita nel consumo di cannabis tra gli adolescenti in quegli Stati americani dove sono state adottate leggi di legalizzazione del consumo terapeutico di questo stupefacente. E questo, d’altra parte, è lo stesso metodo utilizzato per prevenire e combattere l’abuso di tabacco e alcol, ovvero le sostanze potenzialmente capaci di produrre danni sociali e collettivi analoghi a quelli della cannabis. Nessuno in quest’Aula e fuori da qui immaginerebbe di ricorrere a strumenti proibizionistici né tanto meno di consegnare il settore dell’alcol alle organizzazioni criminali per limitare, prevenire o possibilmente cancellare i danni sociali e sanitari provocati, per l’appunto, dall’abuso di alcol o tabacco. Nessuno lo immaginerebbe, proprio perché sappiamo tutti che in questi settori una scelta proibizionistica non solo non inciderebbe in alcun modo sulle conseguenze sociali dell’abuso ma finirebbe per regalare enormi risorse economiche alla malavita organizzata.
A questa stessa convinzione legata alla consapevolezza del fallimento concreto delle politiche proibizionistiche si è arrivati in questi anni in alcuni Paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti ovvero nella patria del proibizionismo, nel Paese che per tanti anni ha svolto funzioni di sentinella mondiale sulle politiche di proibizione, nella nazione che per molto tempo ha dedicato proprio a questo enormi risorse economiche, politiche e persino militari e a questa stessa convinzione ci spingono alcune importanti prese di posizione di istituzioni italiane alle quali affidiamo normalmente la vigilanza su aspetti fondamentali del nostro Stato di diritto. Penso alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 che ha cancellato l’equiparazione tra droghe leggere e droghe pesanti; penso al fondamentale parere della Direzione nazionale antimafia che, nella relazione presentata a questo Parlamento nel febbraio 2015, ha scritto a chiare lettere – e cito – «di oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo e di opportunità di valutare una depenalizzazione della materia, della necessità di un prosciugamento di un mercato appannaggio di associazioni criminali agguerrite». Ma penso anche alle valutazioni di magistrati impegnati ogni giorno su questo fronte, come Teresa Principato.
In conclusione, l’invito che dobbiamo rivolgere a noi stessi – e concludo – in quanto legislatori, mentre iniziamo la discussione su un provvedimento potenzialmente storico, è l’invito a riflettere sulla natura stessa del nostro compito, perché il nostro compito di legislatori non è o non dovrebbe essere quello di decidere per legge quali comportamenti privati o quali consumi siano più o meno appropriati per i cittadini ma solo e soltanto quello di decidere quali leggi siano più efficaci per tutelare i più deboli dallo sfruttamento di quei comportamenti o per contenere ed – se è possibile – eliminare i danni sociali e collettivi che derivino dall’organizzazione criminale di quei comportamenti (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Civati. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CIVATI. Signora Presidente, mi consenta una licenza politica per esprimere a lei e attraverso di lei la solidarietà alla Presidente di questa Assemblea per le parole oscene che sono state pronunciate ieri sera da un leader della destra, se così si può definire (Applausi di deputati del gruppo Misto-Alternativa Libera-Possibile e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).
Arrivo subito all’oggetto della nostra discussione di oggi per precisare alcuni aspetti che mi sembrano rilevanti avendo anche ascoltato, con grande attenzione e con apprezzamento ovviamente, le cose che sono state appena dette. La prima: in alcuni interventi sembra di sentire un’argomentazione nitida però priva di riferimenti storici, come se noi non avessimo la cannabis in Italia, come se la cannabis in Italia non ci fosse, come se la cannabis in Italia volesse portarla l’Intergruppo, Della Vedova ed alcuni deputati, e come se non ci fosse stato, rispetto alla cannabis, un fenomeno che si chiama proibizionismo che ha avuto grande fortuna purtroppo presso queste Aule, che ha avuto grande fortuna negli ultimi anni, che ha avuto fortuna fino a che non è intervenuta la Corte Costituzionale, come ricordava il collega Romano. È una discussione acronotopica, senza riferimenti allo spazio e al tempo, sembrerebbe di dire; qualcun altro dice che c’è ben altro di cui parlare. Io non so che cosa ci sia di ben altro, perché se si tratta del terrorismo la cannabis c’entra anche con il terrorismo; se si parla di traffico di armi, il traffico di stupefacenti – e quello della cannabis ne rappresentano una parte significativa – riguarda anche il rapporto morboso, potremmo dire, e vizioso, visto che è stato un aggettivo molto frequentato quest’oggi con le armi.
Se si parla di questioni sociali noi sappiamo che questa norma avrebbe un impatto fortissimo dal punto di vista sociale e sanitario; se si parla di ben altre questioni economiche faccio notare, senza polemica, che questa norma avrebbe il significato di altre cose di cui abbiamo parlato con grande enfasi, dagli 80 euro all’abolizione dell’IMU. Si tratta di questioni di quella portata e di quel valore economico, se vogliamo parlarne seriamente.
Da ultimo – ed è la terza precisazione che volevo fare – si sente discutere di questo argomento come se – e gli inglesi direbbero what if – noi ragionassimo in termini teorici: che cosa accadrebbe se ci fosse la legalizzazione, in modo astratto. Noi sappiamo che altri Paesi si stanno cimentando con processi analoghi e lo stanno facendo non senza difficoltà e criticità, ma lo stanno facendo imparando dagli errori, facendo congetture e trovando confutazioni, in alcuni casi, alle cose che sono state fatte, ma provandoci molto seriamente e i dati non sono allarmanti. Leggo di cose strane, ma in realtà quello che emerge, per esempio dal Colorado, è uno sviluppo molto razionale e rigoroso, che ha certamente dei problemi che possono però essere superati.
Io penso che di questo stiamo parlando, di una proposta molto seria, molto razionale e, se si può usare questo aggettivo, molto laica, che prescinde, tra l’altro, fin dalle sottoscrizioni da una particolare scuola politica o culturale, e molto liberale. Io vorrei fare un appello a molti liberali che sono presenti in quest’Aula e che si definiscono tali: facciamone una discussione ispirata a un liberalismo politico e culturale e facciamo in modo che la liberalità dei singoli parlamentari possa emergere, che non sia banalmente un voto di coscienza, che sia un voto tutto politico in cui ci si possa confrontare senza pensare a chi è in maggioranza o a chi è all’opposizione, perché la natura di questo atto è diversa o è nata in modo diverso.
Legalizzare non significa promuovere, fare pubblicità, sollecitare; significa regolamentare, distinguere e precisare, come è stato detto molto bene dall’onorevole Pini. Ci sono cose diverse, sostanze diverse, effetti e conseguenze molto lontane tra loro e bisogna farlo, secondo noi, con un consenso informato delle persone, aprendo un grande dibattito pubblico perché non rimanga confinata a quest’Aula una discussione che, secondo me, ha un valore – ripeto – sociale e politico molto forte. Io non vorrei che prevalessero atteggiamenti di comodo o posizioni anche un po’ datate, perché si sente usare ancora l’argomento del passaggio dalla cannabis a sostanze più pesanti e più forti; si sente parlare di una confusione tra un proibizionismo che c’è e una legalizzazione che potrebbe esserci, invertendo, però, i due fenomeni e le due questioni e quindi accusando chi vuole legalizzare di cose che già sono nella società purtroppo del proibizionismo. Io vorrei proporvi, per non essere polemico ma per essere però molto rigoroso nella scelta degli argomenti, un ragionamento al contrario: immaginiamo che cosa potrebbe significare rendere illegale l’alcol e il tabacco; provate a immaginare, per un secondo o per qualche minuto, che cosa significherebbe avere un regime proibizionistico su sostanze che sono droghe legali che fanno molto più male della cannabis secondo tutta una serie di studi e anche di ovvie considerazioni empiriche; tornerebbe il contrabbando, ci sarebbero sostanze meno controllate e probabilmente più potenti, un argomento che si è sentito riecheggiare anche in quest’Aula, e si avrebbe una situazione probabilmente come quella conosciuta in una stagione immediatamente precedente rispetto a quella del proibizionismo della cannabis, cioè il proibizionismo degli alcolici che nasce soltanto vent’anni prima nello stesso Paese, gli Stati Uniti, quello stesso Paese che oggi guida, sulla base di sollecitazioni che vengono dalla popolazione attraverso i referendum dei vari Stati, il processo di depenalizzazione, di legalizzazione prima della cannabis terapeutica e poi della cannabis per uso ricreativo.
Io vorrei che ci concentrassimo su questo passaggio: dal divieto alla regolamentazione, dalla proibizione alla consapevolezza anche di quanto bisogna resistere agli abusi e di quanto le istituzioni pubbliche, la Repubblica, devono impegnarsi per evitare conseguenze nocive per le persone, per i singoli o per la società. Facciamolo in modo efficace e serio, facciamolo in un modo che sia comprensibile e usciamo – fatemi dire quest’ultima cosa – dall’ipocrisia però, perché – ripeto – i consumatori di cannabis sono numerosissimi. Ci sono degli argomenti familistici un po’ sorprendenti perché probabilmente tutti hanno un parente che consuma cannabis – lo dico con una battuta – perché è un fatto purtroppo quotidiano e io mi chiedo: è proprio necessario consegnare comportamenti quotidiani alla illegalità, alla criminalizzazione e anche alla criminalità ? Questa è la domanda a cui dobbiamo saper rispondere da qui al lavoro in Commissione, che spero sia celere e rigoroso come tutti ci auguriamo (Applausi di deputati dei gruppi Misto-Alternativa Libera-Possibile e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signora Presidente, arriva in Parlamento un provvedimento molto delicato, un provvedimento che ha visto divisioni: c’è stato un percorso accidentato, audizioni, confronti e si sono divisi anche i partiti. Io rispetto le posizioni degli altri colleghi del Partito Democratico; per quel che mi riguarda, insieme a tanti altri, ho una posizione contraria a questo disegno di legge. Esprimerò alcune valutazioni con la mia esperienza politica, ma se mi si permette anche con la mia esperienza di medico, che ho fatto come volontario all’inizio della mia esperienza professionale, all’interno dei SERT, quando vennero costituiti. È un dibattito, quello che è presente in Parlamento, che rispecchia anche quello che abbiamo nel Paese. A volte gli accenti sono manichei: da una parte, si dice «laici», dall’altra parte, per chi ha posizioni, «confessionali», i proibizionisti contro gli antiproibizionisti, chi vuole la legalità e chi vuole l’illegalità. Io credo che questo schema lo si debba superare e si debba superare cercando di guardare non soltanto all’oggetto droga, ma alla complessità delle problematiche perché, mentre il Paese si divide e mentre le forze politiche discutono, cambia anche il mondo della droga.
Fortunatamente rispetto agli anni Ottanta sono diminuiti i consumatori di eroina, ma c’è stata un’impennata di una droga pesante, la cocaina. Si mantiene alta la diffusione e il consumo dei derivati della cannabis ed è un consumo che tocca soprattutto gli adolescenti. C’è uno studio molto interessante, di oltre 4.000 intervistati quasi l’80 per cento di questi ha iniziato a 14, 15 anni. Il mondo della droga vede anche un consumo straordinario delle droghe sintetiche e tanti consumano droghe diverse. Rispetto a questa complessità, io non mi sento di dire «sì» a questo provvedimento, ma non dire «sì» non significa voler andare di nuovo alla penalizzazione di chi consuma. Noi abbiamo adottato alcuni provvedimenti relativi al decreto-legge n. 36 del 2014, che ha di fatto spazzato via gli errori commessi dalla legge «Fini-Giovanardi», che noi avevamo avversato. E io credo che sarebbe stato più logico andare avanti lungo questo percorso e circoscrivere la sfera dei consumatori, non andare alla penalizzazione di chi consuma, ma andare avanti verso la repressione. Ma proprio per questo io ora entro nel merito della materia, partendo da questo aggettivo, droga «leggera». Basta leggere un libro di farmacologia per comprendere che questo aggettivo viene utilizzato proprio perché a questo tipo di droga non viene fatto assumere l’effetto peggiore che si ha con l’utilizzazione di droga, la sindrome della astinenza, quell’astinenza dolorosa; quindi chi consuma derivati della cannabis non ha una dipendenza fisica. Ma dire questo significa che non fa danni ? Io non voglio andare ad una esasperata criminalizzazione o terrorismo psicologico, dico soltanto che ci sono dati scientifici che dicono che la tossicità di questa sostanza rimane nel corpo per mesi.
Aggiungo che c’è una dipendenza psicologica e gli effetti sono effetti chiari: una diversa percezione delle cose, una dilatazione nel tempo e nello spazio, un cambio d’umore. Questi sintomi variano a seconda della modalità dell’assunzione: per chi ne fa un uso saltuario o episodico probabilmente non si presentano in forme patologiche, Pag. 54ma quando si ha un utilizzo abituale, quando si ha un utilizzo cronico, o peggio quando si ha un abuso, ebbene questi effetti sono effetti presenti. Ci sono casi in cui si arriva alla dissociazione, a fenomeni anche chiari di allucinazioni. Quindi, io credo che sia giusto ribadire questo. È stato detto dal collega che mi ha preceduto: chi utilizza droga leggera passa alla droga pesante ? No, assolutamente, si può rimanere alla droga leggera; va detto però che studi e esperienze sociologiche ci dicono che si arriva alla droga pesante partendo dalla droga leggera. Ma passiamo all’altro dato, il dato sociale; si dice giustamente che a fare commercio di droga, a fare sporchi affari è la mafia ed è vero. E si dice anche che le Forze dell’ordine e la magistratura spingono verso una forma di legalizzazione, ma su questo dobbiamo allora essere tutti corretti e dire che non tutti sono d’accordo. Io non voglio piegare alla mia posizione importanti magistrati, però – visto che lo ha dichiarato Gratteri – questi, per esempio, dice che sarebbe assolutamente sbagliato pensare che si può abbattere il business della mafia sulla droga, legalizzandola o seguendo questa linea. E lo dice portando dei dati concreti; dice: lo Stato potrebbe dare questo prodotto con prezzi molto più alti, triplicati rispetto a quello a cui li fornirebbe, ancora una volta, la criminalità organizzata. Mi va da pensare a Borsellino, il quale quando parlava di questa ipotesi assunta da alcuni di legalizzare la droga, diceva, volendo combattere la mafia: siamo davanti ai dilettanti della criminologia. Perché diceva questo ? Perché la mafia è un mostro con tante teste e una regia straordinaria saprebbe adattare a questa condizione strategie di mercato e quindi mi pare chiaro che questa è una strada, una scorciatoia non facile da seguire.
Vado verso la conclusione. La conclusione è questa: chi dovrebbe fare la regolamentazione ? Lo Stato ? Uno Stato che dovrebbe regolare e poi diffondere ? Io ripenso ad alcuni dibattiti – e mi dispiace che i colleghi Cinquestelle siano andati via – penso alla loro posizione di conflittualità verso lo Stato sulla diffusione dei videogiochi, sulla ludopatia che si collega alla dipendenza psicologia. Dicono in quel caso i colleghi Cinquestelle: siamo davanti ad uno Stato colpevole, uno Stato complice. Ma in questo caso, nella dipendenza psicologica di queste droghe, siamo di fronte ad uno Stato benefattore ? Non mi pare. Allora, io concludo dicendo che, nel momento in cui si legalizza, non ci sono ragioni per uscire; ce ne sarebbero forse alcune per entrare nel mondo della droga. Quando un tempo utilizzare queste sostanze significava essere anticonformista, oggi si dice che si è conformisti. Non c’è dubbio – e concludo, Presidente – che siamo a volte davanti a un disagio. Il disagio va affrontato e lo Stato credo debba doverosamente, attraverso le proprie agenzie educative, innanzitutto la scuola, affrontare le difficoltà che hanno i giovani.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giuliani. Ne ha facoltà.

FABRIZIA GIULIANI. Grazie, Presidente. Ho chiesto di poter intervenire in questa discussione perché ritengo sia importante, nel momento in cui si sceglie di portare in Aula un confronto su un tema così sentito – l’abbiamo visto anche oggi dalla stampa – introdurre degli elementi di chiarezza, oltre che su alcuni contenuti del testo, che sono stati anche già richiamati da molti dei colleghi che mi hanno preceduto, su alcune delle motivazioni tecniche e politiche che a mio avviso – qui c’è un dibattito aperto all’interno del nostro partito che va anche oltre di esso e investe trasversalmente le forze parlamentari – rendono necessario adottare una legge relativa alla legalizzazione della cannabis. Sono state queste le motivazioni che mi hanno spinto anche ad aderire in maniera convinta all’intergruppo parlamentare che si è costituito e a sostenere la proposta Giachetti, dove si prevede, appunto, la liceità della detenzione di cannabis entro determinate quantità e si consente la vendita al dettaglio dei prodotti derivati introducendo un monopolio di Stato. Si interviene anche su alcuni aspetti che ritengo di grande rilievo e che andrebbero forse anche considerati isolatamente – poi questo dipenderà anche da come andrà il dibattito –, ossia l’eventualità dell’uso terapeutico e la possibilità di fare analisi e ricerca in materia, vietando naturalmente la possibilità di fumare i prodotti derivati dalla cannabis negli spazi pubblici o aperti al pubblico e nei luoghi di lavoro.
Vorrei provare a partire appunto da alcune delle ragioni tecniche che rendono l’approvazione della proposta in esame importante. In primis, il pronunciamento, che è stato anche richiamato, della Corte costituzionale che dichiarò illegittima quella parte della Fini-Giovanardi che aveva soppresso la distinzione presente nel testo unico tra droghe pesanti e leggere e, dunque, il conseguente trattamento sanzionatorio. A seguito della sentenza, è intervenuto un provvedimento che ha confermato la distinzione a fini sanzionatori tra droghe pesanti e leggere prevista dalla Jervolino-Vassalli, ma, come sappiamo, il provvedimento d’urgenza è intervenuto innanzitutto per colmare la lacuna normativa che si è verificata a seguito della sentenza, che aveva dichiarato illegittime le modifiche apportate al testo unico e di conseguenza lo stravolgimento delle tabelle relative, senza affrontare la questione sanzionatoria. Voglio poi ricordare il fatto che il nostro sguardo deve essere largo e che anche dall’Europa, nel rapporto del 2016 promosso dall’Agenzia europea delle droghe, si invitava la politica comunitaria a far sì che l’agenda della politica europea in materia di droghe contemplasse un insieme di indicazioni politiche di più ampio raggio e più articolate rispetto al passato. I testi che oggi discutiamo qui alla Camera cercano di fare ordine in questo percorso individuando, appunto, un’articolazione delle pene diversa. E, soprattutto, la parte che mi sembra più rilevante è quella relativa all’uso terapeutico.
Voglio concludere sottolineando un dato che è stato anche richiamato, ma che a mio avviso deve anche vedere poi i singoli pronunciamenti, che è quello più squisitamente politico, ossia il giudizio relativo al fallimento delle politiche abolizioniste. L’esperienza di questi decenni ci ha dimostrato in maniera abbastanza chiara come l’attività di repressione nei Paesi produttori non abbia arginato l’influenza economica e politica delle organizzazioni criminali che controllano la produzione delle materie prime, mentre nei Paesi consumatori non ha ridotto i profitti dei trasformatori e degli intermediari rappresentati nel nostro Paese principalmente dalle organizzazioni mafiose, né ha arginato la diffusione delle droghe proibite. Insomma, la tolleranza zero verso i consumatori non è riuscita a scardinare il business in nessuna parte del mondo. Io credo che su questo occorra parlarci chiaro e a proposito di questo sia anche importante far venir giù un velo di ipocrisia e aprire un confronto reale. Non si sono salvate più vite, non si sono aiutate persone e famiglie in difficoltà. È un dato assodato che la legalizzazione della cannabis andrebbe invece a colpire in maniera diretta ed efficace gli affari delle grandi organizzazioni criminali. Già è stato ricordato il pronunciamento della Direzione nazionale antimafia e quindi su questo non vado. Io credo invece che riuscire appunto a fare chiarezza andando in questa direzione ci potrebbe aiutare. Vado a concludere solo su queste considerazioni. Io credo che ci deve guidare un principio di umanità quando si va a legiferare su materie tanto delicate e questo principio non può ispirarsi a categorie consumate e logore già nel secolo scorso come proibizione e liberalizzazione, che è cosa molto diversa naturalmente dalla depenalizzazione, né ispirarsi a pregiudizi. Se si perde la capacità di distinguere, ecco per ispirarsi a filosofi che hanno avuto una certa influenza sul pensiero politico, si cade nella notte in cui tutto è nero. Non è la forbice tra liberalizzazioni e proibizioni a segnare la strada, ma la capacità di discernere, riconoscere il bisogno, le domande e prevenire il disagio.
Non è nemmeno la grammatica dei diritti, come ogni tanto si è ascoltato nel corso di questa discussione, ma a volte capita anche di leggere questa riduzione a Pag. 56una dimensione di grammatica del diritto anche quando si leggono i commenti delle nostre discussioni. Non sono i diritti oggi forse la categoria più utile per parlare di libertà, di rispetto e di coesione sociale, perché questa grammatica non aiuta a vedere i bisogni che attraversano le nostre società, le diseguaglianze che sono fatte di cose materiali, ma anche immateriali; diseguaglianze che producono esclusione e isolamento. Non basta per parlare di libertà oggi e per parlare soprattutto della diffusione degli stupefacenti. Io non credo che ci sia da rivendicare, ma da comprendere e lavorare nel rispetto della volontà di ciascuno e soprattutto tenendo d’occhio la tenuta e la coesione sociale. La via giusta è quella dell’accoglienza sociale per le persone e le famiglie che attraversano questo dramma, decriminalizzando le pratiche legate al consumo e concentrando il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura verso i veri criminali e la scia di sangue e violenza che questo traffico porta con sé e, dunque, criminalizzare i trafficanti e gli spacciatori. Io credo che se arriveremo ad una sintesi, dovremo prendere di vista questi principi perché in essi a mio avviso c’è molto di più di ciò che ci unisce rispetto a ciò che ci divide (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paglia. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PAGLIA. Grazie Presidente. Sono felice di poter partecipare oggi a questo dibattito perché l’aspettativa o la speranza, per meglio dire, è che sia un momento che apre una storia diversa in questo Paese, diversa dal proibizionismo a cui siamo abituati da molti anni e che molti danni ha fatto, almeno dal mio punto di vista. Ho sentito in questi giorni, in queste settimane, in queste ore, a mano a mano che ci si avvicinava alla discussione di oggi, il fronte proibizionista, cioè il fronte di chi in questo Paese non vuole cambiare nulla, il fronte che sembra soddisfatto di quella che è la situazione attuale, utilizzare argomentazioni sempre contro. Sono argomentazioni che mettono in discussione cosa succederebbe se questa legge dovesse essere approvata. Improvvisamente le droghe diventerebbero più pericolose; improvvisamente ci sarebbero più pericoli per la salute; improvvisamente aumenterebbero i consumi. Nessuno, però, almeno da quella parte, che si sia preoccupato di spiegarci quanto e se abbia funzionato la storia che abbiamo alle spalle. Infatti, se una riforma ha senso, ha senso nel momento in cui si dà una valutazione negativa del presente com’è.
Allora, io vorrei dire alcune cose e vorrei porre alcune domande. Io vorrei chiedere a quest’Aula e anche al Paese se non sia vero che chiunque in Italia sia adolescente o poco più che adolescente o sia adulto non sappia dove trovare una qualsiasi tipo di droga oggi, a partire dalla cannabis. Chiunque di noi io credo sa o può sapere, con il semplice gioco di una telefonata o due telefonate, cioè il gioco dei contatti, dove si possono trovare sostanze stupefacenti in Italia. È vero o non è vero che il 70 per cento degli italiani dichiara – quelli che dichiarano – di aver provato almeno una volta nella vita la cannabis ? Nella speranza, dico io, che quell’unica volta che si è provato non coincida con la volta in cui dei cani fanno dei controlli nelle scuole per esempio o in cui per caso si viene trovati a fumare o a passare, peggio, una canna. Infatti, con la legislazione che abbiamo conosciuto in Italia in tutti questi anni, quell’unica volta poteva rovinare una vita; quell’unica volta, non la sostanza. Infatti, non è piacevole, quando magari si ha 18 anni – stiamo sui maggiorenni –, dover andare a casa, essere accompagnati a casa dalle forze di polizia e dover raccontare alla famiglia che si è dei tossici, perché così si viene diciamo bollati anche da quel pezzo appunto d’Italia che ancora oggi insiste con il proibizionismo. Ed è vero o no che in Italia ci sono, dicono, sei milioni di consumatori abituali ? Abituali non significa che consumino tutti i giorni, ma significa che è una cosa che fa parte del loro stile. Sei milioni di persone sono il 10 per cento della popolazione residente in Italia, una cosa non da poco. Parliamo di un mercato importante, parliamo di un’abitudine di massa. Lo Stato non dovrebbe preoccuparsi di reprimere quella che è un’abitudine di massa di fatto perché, se lo facesse, farebbe esattamente quella cosa che fecero gli Stati Uniti quando misero fuorilegge l’alcol cioè quella cosa che oggi ci fa ridere, quella cosa che ha accompagnato almeno la mia infanzia e adolescenza: trent’anni fa ancora giravano ancora film sugli anni Venti in cui ci si chiedeva come fosse possibile che un Paese apparentemente evoluto come gli Stati Uniti ad un certo punto avesse deciso che per bere una birra o un bicchiere di vino ci si dovesse rintanare dentro cantine clandestine puntualmente gestite dalla malavita organizzata. Ed è vero o no che in Italia oggi abbiamo – ce lo dice il Ministero dell’interno e quindi probabilmente sono stime al ribasso – un mercato di almeno 11 miliardi di euro che riguarda la cannabis illegale e che è nelle mani delle mafie ? Sono o non sono un problema per l’Italia le mafie di questo Paese ? Sono o non sono il problema le mafie intese come capacità di accumulare risorse grazie al traffico di stupefacenti, le mafie intese come capacità di utilizzare quelle risorse per accrescere il loro potere, le mafie intese come capacità di immettere quelle risorse all’interno del circuito economico legale attraverso il riciclaggio e quindi di condizionare anche quello ? Non sono pochi 11 miliardi di euro: fanno in parte il PIL di un Paese 11 miliardi di euro. Sono l’1 per cento circa del nostro prodotto interno lordo 11 miliardi di euro. Non a caso, ipocrisia per ipocrisia, un paio d’anni fa in parte il bilancio di questo Paese è stato salvato quando Eurostat ha deciso che proprio i proventi da droghe, oltre che da altre attività criminali, potessero essere conteggiate all’interno del PIL per ricalcolare su questo anche il rapporto con il debito. Ipocritamente questo Paese ha già consolidato la propria posizione finanziaria nazionale e internazionale riconoscendo che quei traffici esistono ma vuole che quei traffici rimangano in mano alla criminalità organizzata. È di questo che dovremmo discutere. Noi chiediamo molto semplicemente che – siano 5 miliardi, 11 o forse 20 – quel mercato che oggi è illegale diventi un mercato legale e lo diventi nel modo più semplice e strutturato possibile, diventi addirittura un monopolio dello Stato soggetto a fiscalità esattamente come succede con il tabacco. Io non sono nemmeno interessato, come è evidente, a quei 6-8 miliardi di euro che sempre il Ministero dell’interno stima come possibili entrate qualora quel quantitativo di cannabis attualmente consumato dovrà essere ricondotto all’interno della legalità, eppure credo che in un Paese che dedica alla lotta contro la povertà 600 milioni di euro e con questo pensa di aver fatto il suo dovere, forse sarebbe bene avere 6-8 miliardi di euro di entrate supplementari dovendo semplicemente reprimere l’illegalità cioè facendo il lavoro che un Paese civile fa quotidianamente: reprimere l’illegalità. Facendolo, potremmo avere risorse aggiuntive.
C’è poi il fatto dell’autocoltivazione perché sento molti oggi dire: sì, il monopolio potrebbe essere una strada, il monopolio molto controllato, il monopolio che incasella tutto ma l’autocoltivazione no perché improvvisamente appunto, come dicevo all’inizio, succede che spuntano fuori semi dalle proprietà straordinarie con quantità di THC mai vista all’interno della storia scientifica e delle conoscenze individuali di ciascuno di noi, che verrebbero messi a disposizione di tutti gli autocoltivatori, come se peraltro la situazione di adesso non fosse diversa. Anzi potremmo dire nell’illegalità e nell’assoluta mancanza di trasparenza, se esistessero semi pericolosi, questi già potrebbero pullulare. Non credo che sia così, io credo che anche in questo caso si tratta di assecondare quella che è una tendenza che in questo Paese già esiste: non c’è giorno in cui voi non possiate aprire i giornali alle cronache locali, andare a pagina 2, a pagina 3, a pagina 4 e trovare: sequestro di quattro piante nel giardino, ragazzino preso con tre piante all’interno dell’armadio, studente universitario con cinque piante sul balcone, piccola serra lungo l’argine del fiume con sette piante. Di questo stiamo parlando. Voi lo leggete nella cronaca locale perché lo sapete sulla base del fatto che la Guardia di finanza, i carabinieri, le forze di polizia impegnano tempo e risorse a cacciare questi. Quando diciamo che il 50 per cento delle risorse impegnate, delle segnalazioni e delle ricerche fatte dalle nostre forze di polizia sul contrasto di stupefacenti sono impegnati sulla cannabis, parliamo anche in buona parte di questo. Parliamo della ricerca delle piante nei cortili e nei balconi.
Parliamo, come dicevo prima, dei cani che vengono mandati a scuola in questo Paese ad annusare zainetti di ragazzi, non si capisce esattamente a cercare cosa: infatti anche in questo caso qualcuno mi deve dire se le tre piante sul balcone sono un problema e mi deve dire se tutte le volte che si trova forse un grammo, forse il respiro di un grammo questo debba essere causa sufficiente a rovinare la vita di una persona, di un ragazzo, maggiorenne e minorenne che sia, e questo – sia chiaro – non per giustificare il consumo. Questo esattamente per avvalorare il fatto che, se noi non vogliamo giustificare il consumo, il modo migliore di non giustificarlo è quello di scindere nettamente ciò che è legale da ciò che è illegale e dire una volta per tutte o che, sopra i diciotto anni, quella sostanza è legale esattamente come capita per l’alcol e per il tabacco e, sotto i diciotto anni, no. Su questo vi seguiamo. I più antiproibizionisti all’interno di quest’Aula a cui mi onoro di ascrivermi, vi seguiranno sul fatto che i minorenni non devono assolutamente consumare sostanze, che meno ne consumano i maggiorenni e meglio è, che debba essere vietata la pubblicità, che si debba investire in promozione a contrario esattamente come si dovrebbe fare per esempio sul gioco d’azzardo e non si fa. Siamo d’accordo su tutto. Ciò su cui non siamo d’accordo è che si continui a lasciare un business miliardario in mano alle mafie, che si continui con l’ipocrisia di Stato e che si continui a criminalizzare quello che è un comportamento e non un reato (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Impegno. Ne ha facoltà.

LEONARDO IMPEGNO. Grazie, signora Presidente. Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana discutiamo di regolamentazione legale della produzione, consumo e commercio della cannabis. Siamo finalmente riusciti a infrangere almeno il tabù della discussione in quest’Aula. Evitiamo quindi che il necessario confronto sul merito della proposta di legge si trasformi nello scontro superficiale e ideologico tra forze politiche. Tra l’altro per la verità questo è accaduto sui giornali e non oggi in quest’Aula anche tra opinioni diverse all’interno degli stessi partiti e questo è un buon segno. Ma evitiamo però di distinguere tra chi è favorevole alle famiglie e ai giovani e chi è per lo spinello libero. Questa è una rappresentazione macchiettistica del fenomeno e non rappresenta il lavoro, il sudore e la fatica di coloro i quali hanno finalmente sottoposto all’attenzione della Camera una proposta di legge che affronta il fenomeno per quello che è. Guardiamo in faccia la realtà e proviamo ad offrire delle soluzioni. La domanda, diceva bene il collega Romano, è la seguente: quale legge riesce meglio a contrastare i fenomeni criminali e a limitare – sottolineo: limitare – l’uso degli stupefacenti nel nostro Paese e anche delle droghe leggere ? La realtà qual è ? È che il consumo di cannabis riguarda circa 6 milioni di persone e il suo mercato è totalmente e solidamente nelle mani della criminalità organizzata ed è a rischio la salute dei nostri giovani. Numerosi studi hanno dimostrato di recente che per produrre derivati della canapa si utilizzano agenti chimici estremamente pericolosi per la salute. È recente la scoperta che a Napoli, ad esempio, veniva tagliata la marijuana e l’hashish attraverso il metadone, che comportava una miscela esplosiva per i giovani ragazzi. Il Parlamento non può chiudere gli occhi di fronte a questo e deve guardare in faccia la realtà. Io sono per un Paese sicuro dove il consumo di droga si riduce drasticamente e dove si investe in prevenzione e in recupero dei giovani e dei meno giovani ma per fare questo bisogna smascherare molte falsità che sono girate in questi giorni. Legalizzare non significa incentivare, promuovere ma regolamentare, controllare e addirittura proteggere. È stato dimostrato che la legalizzazione non aumenta il consumo di droga da parte dei minori. Ci sono molti studi negli Stati Uniti d’America e molti esempi come il Colorado, il Portogallo ed altri e qualche volta dovremmo imparare a concentrarci meno sulle sostanze e più sui consumatori, imparare a capire che esistono, sì, le droghe leggere e le droghe pesanti ma esistono anche i drogati pesanti e i drogati leggeri e questo un legislatore deve tenerlo bene a mente. Chi fuma due pacchetti di sigarette al giorno è a rischio totale di tumore ai polmoni, chi beve quotidianamente in maniera esagerata è a rischio e questo vale anche per la cannabis, perché la cannabis fa male. Ma, al di là delle riflessioni etiche, pur legittime, gli obiettivi prioritari della proposta di legge quali sono ? A mio giudizio sono due. Il primo è proteggere la salute dei nostri cittadini e in particolare dei giovani e il secondo contrastare e colpire al cuore le organizzazioni criminali.
Signor Presidente, sono un deputato della Repubblica italiana, ma sono anche un deputato di Napoli e questa proposta di legge parla alla mia città, alla mia terra. Parla a una delle città che ha uno spaccio di droga e le piazze di droga più importanti d’Europa. E parla ai minori, che non solo ne fanno uso, ma stanno nel ciclo produttivo della criminalità organizzata. Molto si è fatto e si continua a fare nel contrasto repressivo e investigativo nei confronti dei fenomeni criminali legati allo spaccio, ma dobbiamo dirci con estrema chiarezza che i risultati sono completamente fallimentari. Basta andare in qualche città, in qualche paese, in centro e in periferia, in una piazza e in una strada, per verificare l’impotenza delle leggi nostre attuali e delle misure adottate in questi anni. In questo ci viene in aiuto il parere della Direzione distrettuale antimafia. Negli ultimi anni in Italia sotto il profilo macroeconomico il narcotraffico è stato il più rilevante ed efficace moltiplicatore di ricchezza, creando in pochi anni enormi accumulazioni patrimoniali, che nessun’attività economica è stata mai in grado di produrre e negli ultimi 20-25 anni il patrimonio ripulito immesso nel mercato – sto per concludere, signora Presidente – equivale a 400 milioni di euro. Insomma, purtroppo il mercato c’è, è florido, incontrollato e pericoloso, e la legalizzazione delle droghe leggere, ormai sostanzialmente liberalizzata nel nostro Paese, tutelerebbe veramente la salute dei nostri cittadini. Questo è un primo passo. Facciamone un altro e facciamolo per il bene dei nostri cittadini (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bruno Bossio. Ne ha facoltà.

VINCENZA BRUNO BOSSIO. Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, credo che questa proposta di legge di iniziativa parlamentare ha un primo firmatario, ma siamo tutti quelli che l’abbiamo firmata primi firmatari, senza differenza in questo momento anche di appartenenza politica. È un primo passo. Lo sappiamo, non sarà una passeggiata, ma è un evento storico. Possiamo finalmente discutere senza i tabù di chi non entra nel merito e anzi spesso non distingue, forse volutamente, liberalizzazione, legalizzazione e depenalizzazione. Un tabù, questo della mancata discussione, che ha impedito a migliaia di malati in Italia di curarsi con la cannabis terapeutica e a decine di agricoltori di produrre canapa sativa, un tabù che attraversa la vita di tante famiglie italiane, che devono affrontare il rischio per i propri figli, non solo per l’uso o l’abuso di una sostanza che fa male, che procura danni come l’alcol e le sigarette, ma anche per i rischi del mercato illegale. D’altra parte – lo sappiamo, l’hanno detto in tanti qui oggi – la repressione non ha Pag. 60prodotto grandi risultati. Dovunque le politiche proibizioniste, di cui la Fini-Giovanardi è stata l’applicazione italiana, sono fallite, il consumo di sostanze non è diminuito, il traffico è cresciuto e a finire in galera sono stati perlopiù i micro-spacciatori e i consumatori, mentre i grandi organizzatori di traffico internazionale hanno continuato ad arricchirsi ancora di più. Negli ultimi anni grazie a questa politica proibizionista il numero in Italia di chi consuma cannabis con frequenza è addirittura aumentato e, guarda caso, soprattutto riguardo ai giovanissimi, quelli che si dice che si vuole tutelare non approvando questa proposta di legge.
Secondo i dati dell’osservatorio europeo, che coincidono con i dati del rapporto della Direzione investigativa antimafia, la denuncia e il sequestro di cannabis è efficace solo sul 5 per cento del mercato illegale. E ancora in Italia – dichiara la professoressa Rossi – si registra un uso più alto della cannabis rispetto al Portogallo, in cui la normativa è più tenera, o alla Polonia, in cui ad esempio l’azione penale per chi viene trovato in possesso non è obbligatoria. Mentre in Francia, dove la legge è ancora più dura, la cannabis ha una diffusione maggiore: quasi 8 milioni di consumatori.
Guardiamo il Portogallo, che nel 2000 aveva seri problemi di criminalità; poi via via con la depenalizzazione, la legalizzazione e anche sotto stretto controllo medico, è diminuito l’uso, per così dire, di droghe. Dunque crediamo che queste politiche siano state all’origine anche dell’aumento dei consumatori di cannabis. Il tema qui oggi è: ma la cannabis fa male ? Io non mi pongo questo problema, però leggo quello che dice il professor Veronesi, anche lui d’accordo che i proibizionismi non funzionano. Il 70 per cento, però, delle persone ha usato forse in Italia la cannabis. Certo, lui come me non consiglia ai figli di fumare marijuana, così come non gli consiglia di bere alcol o fumare tabacco. Quindi non è un trattamento innocuo, ma ha un limite basso di pericolosità. Ma la pericolosità vera diventa il mercato illegale. E la ’ndrangheta si combatte legalizzando la cannabis ? Bene, guardiamo alla ’ndrangheta calabrese, che è la mafia più ricca perché controlla il mercato della droga. E non si dica che controlla solo il mercato della droga pesante, non solo perché si dimostra che sta controllando anche quello della droga leggera e in questo modo il passaggio è ancora più facile. Io credo che da qui nasca anche la posizione del Procuratore Roberti favorevole a far produrre la marijuana, così come si fa attualmente con il tabacco, per liberare risorse da indirizzare nella lotta alle droghe pesanti, sollevare i tribunali dai procedimenti che spesso restano anche sulla carta, togliere ricchezza alle mafie, far guadagnare lo Stato con nuove entrate e prosciugare – questo è un altro tema, quello dell’antiterrorismo – il canale di autofinanziamento dei talebani afgani.
Un’ultima cosa. È importante distinguere legalizzazione e liberalizzazione. La resa dello Stato è oggi, che rende libero il mercato illegale, soprattutto verso i minorenni. Mentre noi oggi vogliamo un mercato controllato e legale, vogliamo togliere migliaia di ragazzi, del sud soprattutto – quello di cui parlava il collego Impegno – da questo ricatto. Guardate questo bellissimo film di Luigi Scaglione sul mercato mafioso della cannabis. Quindi mercato libero e criminale o, invece, mercato controllato e legale. D’altra parte, sono d’accordo – e concludo – con le parole d’ordine dell’articolo di oggi di Saviano: non voglio drogarmi, odio il consumo e per questo legalizzo (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare deputata Gregori. Ne ha facoltà.

MONICA GREGORI. Grazie, signora Presidente. Da decenni il mondo è impegnato nella guerra alla droga con risultati piuttosto fallimentari, sia da un punto di vista normativo sia da un punto di vista economico. In Italia la lotta decennale contro le droghe leggere ha comportato alti costi sociali, economici e sanitari. A dimostrare il fallimento di questa lotta Pag. 61pluridecennale sono alcuni semplici dati. I ragazzi tra i 15 e i 19 anni che hanno fumato cannabis almeno una volta sono 690 mila; le persone tra i 15 e i 64 anni che lo hanno fatto sono 2,3 milioni. La Direzione nazionale antimafia parla di un mercato che vende approssimativamente tra 1,5 e 3 milioni di chilogrammi all’anno di cannabis, per un consumo di circa 25-50 grammi pro capite, pari a circa 100-200 dosi.
Come sempre i numeri permettono di fare chiarezza; tuttavia con i numeri si rischia di ignorare tutto ciò che non è misurabile, come le ricadute che si possono avere a livello psicologico per una notte passata dietro le sbarre di una cella del carcere o per il tempo che si dovrà discutere con genitori, professori o datori di lavoro per convincerli di non essere dei tossicodipendenti. Ma la domanda che ci dovremmo porre è: quanta colpa si deve provare se si pensa che in fondo con la normativa vigente si stanno dando soldi alle mafie, mentre se la cannabis fosse legalizzata i guadagni per lo Stato oscillerebbero tra i 5,5 miliardi e gli 8,5 miliardi di euro ? Bisognerebbe considerare che, per esempio, tre grammi di hashish trovati nelle tasche di un giovane italiano sono probabilmente di origine marocchina, visto che l’80 per cento dell’hashish consumato in Europa viene dal Marocco, primo produttore mondiale di cannabis con 47.500 ettari di terre coltivate. Bisognerebbe rendersi conto che lo slogan della sessione speciale dell’ONU nel 1998, «un pianeta senza droghe, possiamo farcela», si è dimostrato un buco nell’acqua, perché in Europa le persone che fumano hashish o erba sono 22 milioni e spendono circa 9 miliardi di euro, contribuendo a fare della cannabis la droga più diffusa nel continente, circa il 38 per cento dell’intero mercato illegale. Bisognerebbe anche tenere a mente che, mentre un ragazzo italiano finisce in carcere e una volta uscito non ha nient’altro da raccontare se non una storia di sbarre e processi, un suo coetaneo portoghese per esempio potrebbe parlare di quello che per molti è stato un successo; infatti nel 2000, come già è stato ricordato da molti colleghi, il Portogallo aveva seri problemi di criminalità legati alla droga e il più alto tasso di HIV tra i consumatori di eroina nell’Unione europea. Lo stesso anno il Governo depenalizzava tutte le droghe cominciando a trattarle come un problema medico e non più come uno penale. Quindici anni dopo in Portogallo sono diminuiti il consumo di droga, l’epidemia di AIDS e i reati, come ha riconosciuto anche l’ONU. Per quel che riguarda la cannabis, bisogna spingersi oltre la semplice depenalizzazione, che potrebbe essere anche pericolosa, e percorrere la via della legalizzazione e quindi la via della regolamentazione del consumo, della produzione, della lavorazione e della vendita così come prevede la proposta di legge in discussione oggi. Finché la distribuzione delle droghe rimarrà vietata, il suo commercia resterà un monopolio della criminalità organizzata. E allora, ha senso per lo Stato spendere milioni d’euro nella lotta al crimine ignorando che altrettanti soldi sono spesi dai cittadini per soddisfare un’abitudine accertata e diffusa ? Per la precisione secondo l’Istat ogni anno spendiamo 2 miliardi e mezzo in prodotti derivati dalla cannabis; l’Ufficio delle Nazioni unite per il controllo della droga e prevenzione del crimine ci dice che paghiamo 11,32 euro per un grammo di marijuana e 13,8 per uno di hashish, facendo così del nostro Paese il secondo mercato europeo per guadagno da cannabis dopo la Spagna. Ovviamente in Campania, Sicilia e Calabria le famiglie mafiose festeggiano questi numeri, a volte sparano per difenderli. In una situazione di crisi delle organizzazioni, la droga leggera è diventata una delle fonti primarie di guadagno, tanto che in alcuni casi si prova la via della coltivazione diretta. La Direzione nazionale antimafia parla di un quantitativo sequestrato che è di almeno 10-20 volte inferiore a quello consumato e di un mercato che vende approssimativamente fra 1,5 e 3 milioni di chilogrammi all’anno di cannabis. Alla luce di questa situazione è estremamente importante e necessaria una legge che disciplini l’autocoltivazione, il possesso, la vendita e l’utilizzo anche terapeutico della cannabis, perché è evidente che la questione non sia liberalizzare la droga, perché di fatto in ogni angolo della strada è possibile trovare qualsiasi sostanza, bensì è importante arginare il traffico illecito e intraprendere un percorso di prevenzione che passi per l’informazione dei giovani circa i rischi proprio per ridurre i danni della dipendenza. Per questo la legge che oggi discutiamo e discutiamo con l’introduzione del monopolio di Stato sulla vendita al dettaglio della cannabis e dei prodotti derivati prevede la destinazione del 5 per cento del totale annuo dei proventi derivati dalla legalizzazione del mercato al finanziamento dei progetti del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga. Inoltre i proventi delle sanzioni amministrative relative alla violazione dei limiti e modalità previste per la coltivazione e detenzione di cannabis saranno interamente destinati a interventi informativi, educativi, preventivi, curativi e riabilitativi realizzati dalle istituzioni scolastiche e sanitarie e rivolti a consumatori di droghe e tossicodipendenti.
L’introduzione del monopolio di Stato inoltre garantisce la tracciabilità del processo produttivo, il divieto di importazione ed esportazione di piante di cannabis e prodotti derivati, l’autorizzazione per la vendita al dettaglio solo in esercizi dedicati esclusivamente a tale attività, ma soprattutto garantisce la vigilanza del Ministero della salute sulle tipologie e caratteristiche dei prodotti ammessi in commercio e sulle modalità di confezionamento. Rispetto a questo aspetto, l’articolo 6 di questa legge estende la possibilità per il Ministero della salute di autorizzare la coltivazione di cannabis anche ad enti e persone giuridiche private per scopi terapeutici o commerciali finalizzati alla produzione di farmaci. È opportuno sottolineare che da molto tempo è provata scientificamente l’efficacia terapeutica dei cannabinoidi nel trattamento di numerose patologie, nonché la loro capacità di consentire la riduzione dei dosaggi degli analgesici oppiacei, quali la morfina, necessari a diminuire il dolore ai malati oncologici sottoposti a trattamenti cronici, evitando così i pesanti effetti collaterali legati all’assunzione prolungata dei suddetti oppiacei. In Italia l’uso terapeutico dei cannabinoidi è lecito ma mal regolamentato perché la procedura per accedere ai farmaci cannabinoidi è alquanto farraginosa, complessa e lenta, il che si traduce in un’estrema difficoltà per i pazienti di potervi accedere. Sono dodici le regioni che hanno deciso di intervenire per consentire il rimborso dei farmaci a carico del servizio sanitario regionale e per regolarne la prescrizione. Il problema, anche per queste regioni, è determinato dal fatto che la normativa nazionale attuale vieta la coltivazione della cannabis ad eccezione della canapa coltivata per usi industriali. Il divieto di coltivare la cannabis per fini terapeutici comporta che i farmaci devono essere importati dall’estero e i medici che decidono di sottoporre i propri pazienti a una terapia farmacologica con derivati della cannabis possono richiederne l’importazione all’Ufficio centrale stupefacenti del Ministero della salute oppure possono utilizzare le preparazioni magistrali fatte dalle farmacie. Tuttavia l’articolo 5 del decreto del Ministero della salute dell’11 febbraio 1997 stabilisce che, relativamente all’acquisto di questi farmaci, l’onere della spesa non deve essere imputato ai fondi pubblici, tranne il caso in cui l’acquisto medesimo venga richiesto da una struttura ospedaliera per l’impiego in ambito ospedaliero, per cui in assenza di una specifica normativa statale i costi spesso molto elevati dei farmaci che vengono importati dall’estero finiscono per ricadere sulle regioni, comprese quelle che hanno legiferato sull’utilizzo della cannabis a scopo terapeutico, prevedendone i relativi oneri a carico del sistema sanitario regionale. Le regioni, proprio per gli alti costi dei farmaci importati, hanno difficoltà a garantire la gratuità di questi farmaci. A fronte di queste considerazioni, mi pare che questa legge sia la sintesi di una necessaria evoluzione culturale che si dimostra efficiente sul piano fiscale, producendo effetti – concludo – positivi sul piano sociale e sanitario, garantendo il controllo della qualità delle sostanze vendute e contrastando in modo incisivo il lavoro illecito delle organizzazioni criminali (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stumpo. Ne ha facoltà.

NICOLA STUMPO. Signora Presidente, volevo innanzitutto attraverso di lei esprimere solidarietà alla Presidente Boldrini per quanto è successo in queste ore. Per tornare invece al dibattito di questi giorni e di queste ore presente anche nel Paese e non soltanto nelle nostre Aule parlamentari, si tratta di un dibattito che io penso abbiamo fatto bene poi a spostare a settembre, per dare anche più spazio e più possibilità di discuterne in modo appropriato e non in un modo frettoloso e con i tempi diciamo estivi, come si vede anche nella giornata di oggi. Parto dicendo che questa proposta di legge ha dei meriti oggettivi; il primo tra i tanti è quello di aver portato in discussione in Parlamento una questione che dovrebbe essere già di per sé scontata, quella sull’uso terapeutico delle sostanze derivanti dalla cannabis. Questo perché in molti, in questa fase, provando a scindere la questione dentro alla legge, dicono che c’è una parte che va bene e un’altra di cui bisogna discutere. Ecco, il primo punto di merito è proprio questo: fino a oggi non se ne poteva parlare, non se ne era discusso, avevano fatto le regioni, c’era stato bisogno di atti per rendere merito alle regioni e oggi, portando avanti questa proposta di legge, si può portare avanti un atto di civiltà di cui, si è detto già adesso, ne ha bisogno il Paese e ne hanno bisogno i cittadini.
Poi dico che non c’è bisogno di numeri. Io non userò numeri per convincere nessuno sul merito di questo provvedimento, anche perché i numeri si possono in qualche modo aggiustare. Penso che, un po’ come le buone intenzioni, se ne potrebbe lastricare la via dell’inferno con i numeri per giustificare qualcosa. Dunque, voglio restare all’altro merito, secondo me, di questo provvedimento, che è quello di una distinzione culturale di cui se ne sente il bisogno tra le politiche proibizioniste e quelle antiproibizioniste. Noi possiamo provare a discutere per mesi, per anni. Fin qui noi siamo stati dentro una logica di politiche proibizioniste e se qualcuno vuole dirmi che la lotta all’utilizzo delle droghe va bene io sono felice e ci fermiamo qui. Ma siccome tutti dicono che c’è un problema, probabilmente bisogna iniziare ad affrontare il problema dalla radice e allora bisogna distinguere tra politiche proibizioniste o antiproibizioniste, bisogna evitare anche di mettere insieme cose che nessuno vuole mettere insieme, perché in questa proposta di legge, quando si parla di legalizzazione, non si parla di liberalizzazione e quando si parla di legalizzazione, si parla di legalizzazione dei derivati della cannabis e non di altre sostanze. Questi ragionamenti sono stati fatti in virtù di alcune questioni che io reputo importanti. La prima, proprio per difendere i giovani da quelli che poi sono i rischi oggettivi di questa vicenda, è la differenziazione dei mercati. Si diceva, in alcuni interventi prima del mio, che la cosa più oggettiva e vera in cui ci si imbatte in questa nostra vicenda è trovare, nello stesso luogo e nella stessa persona, sostanze diverse. Differenziare i mercati significa evitare che possano succedere le cose di cui si è parlato.
È vero ! Nessuno ha mai iniziato a correre senza camminare e, quindi, è probabile che nessuno abbia iniziato a fare uso di sostanze stupefacenti – chiamiamole pesanti – senza aver usato quelle leggere, ma se non le si incontra nello stesso posto forse si può continuare a camminare senza dover correre per forza (mettiamola così). E poi l’altra cosa (e mi avvio a concludere): io lo dico con rispetto per tutti, però a me non convince questo fatto etico del «fa male» messo così, perché sembra un po’ una paternale troppo forte. Fanno male molte cose e io non voglio proibire nulla; fanno male molte cose: si è detto l’alcol, si è detto il tabacco. Fanno male anche cose circa le quali a nessuno verrebbe mai in mente di dire che vanno proibite e sono tante le Pag. 64cose che fanno male: io immagino che se a un bambino gli si inizia a dare dei prodotti molto calorici da quando è bambino, morirà presto per occlusione delle carotidi e quant’altro (e mi avvio a concludere davvero, Presidente).
Per questo io dico: evitiamo di scendere in queste vicende così; discutiamo nel merito a settembre e discutiamo in questo provvedimento: si è proposto il monopolio, i luoghi di consumo. Si può cambiare tutto, ma una cosa è certa: di questo provvedimento serve salvaguardare un aspetto: o si imbocca la strada dell’antiproibizionismo o si resta in quella del proibizionismo, però su questa strada non si tutelano né i giovani né le fasce più deboli (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rondini. Ne ha facoltà.

MARCO RONDINI. Grazie, Presidente. Per noi è difficile non dare ragione a chi sostiene che questo sia l’ennesimo passo lungo la strada di quella rivoluzione antropologica che consegnerebbe la nostra società ad un futuro senza regole: devono saltare tutti gli argini, tutte le regole e le leggi che sino ad oggi hanno garantito pace e coesione sociale, definiti e liquidati da quella sorta di fronte trasversale che ha promosso anche questa iniziativa come un fardello da cui ci si deve liberare velocemente.
Ed ecco che negli ultimi tre anni maggioranze trasversali, trovando la proprio sponda nel Governo e nella Presidenza della Camera o, meglio, nella Presidente, Laura Boldrini, hanno lavorato per minare quelle consuetudini rette da quelle che erano le leggi del nostro Paese, di un Paese più o meno normale, su cui poggiava una certa idea di comunità. E così una serie di provvedimenti hanno fatto venir meno uno dei cardini dello Stato di diritto, ad esempio la certezza della pena, e a colpi di depenalizzazioni si sono andati a tutelare i criminali a discapito delle vittime. Ma, d’altro canto, questo partito trasversale risponde alla logica politicamente corretta, «boldrinianamente» corretta…
PRESIDENTE. Onorevole Rondini, la richiamo all’ordine sul linguaggio che lei sta usando, tanto per cominciare.
MARCO RONDINI. Ma credo di non offendere la Presidenza.
PRESIDENTE. Lei guardi…
MARCO RONDINI. Va bene.
PRESIDENTE. Ecco, ha capito.
MARCO RONDINI. …secondo la quale bisogna comprendere anche le ragioni di chi è vittima del sistema e, quindi, quasi si giustifica il fatto che possa trasformarsi in carnefice.
Nello stesso solco si muove quel provvedimento che dietro la foglia di fico di una norma che doveva andare a garantire le unioni civili di fatto ha aperto le porte all’aberrante pratica dell’utero in affitto, fingendo poi un’unanime condanna che in Aula è stata affrontata utilizzando un termine controllato che deve rassicurare l’opinione pubblica: quel «maternità surrogata», che non richiama a quella pratica invece detestabile e deprecabile che andava e andrebbe assolutamente condannata. Ma purtroppo bisogna garantire anche la voglia di genitorialità di personaggi come il signor Vendola.
Ebbene, la mistificazione della realtà ad uso e consumo di un’opinione pubblica che deve essere pilotata ad arte è la cifra del vostro modo subdolo di porvi e di governare. Nello stesso solco si pone anche quel provvedimento attraverso il quale avete cancellato il reato di immigrazione clandestina e avete spalancato le porte a centinaia di migliaia di persone, agevolando un’invasione di popolamento da parte di chi è portatore di valori inconciliabili con quelli su cui si fonda la nostra idea di società e comunità. Anche in questo caso ha operato quel fronte trasversale che rifiuta a priori ciò che siamo, in particolare ciò che siamo stati. Ogni occasione viene creata per porre sul banco degli imputati la nostra storia, la nostra cultura, la religione, le nostre norme e le nostre leggi, in una parola tutto ciò che costituisce l’identità di una comunità che questo fronte rifiuta.
E arriviamo alla proposta che approda oggi in Aula che, come dicevo, rientra a pieno titolo nel novero di quell’articolato programma che mira al compimento di quella rivoluzione antropologica che agisce per disarticolare i nessi e i legami dell’idea di comunità che ha caratterizzato sino ad ora la nostra esperienza storica: un’esperienza storica e un’idea di comunità rifiutate da quel partito trasversale che promuove questa iniziativa, come le altre iniziative legislative a cui facevo riferimento, presentate sempre come i passi che si devono percorrere per giungere ad un futuro idilliaco. Già solo questa breve premessa riassume la nostra posizione verso questa inaccettabile proposta.
Vengono addotte, per agevolare l’adozione di questa proposta, giustificazioni di carattere economico e altre, invece, che attengono al contrasto alla criminalità organizzata. E così, con stime stravaganti contestate anche in sede di audizione, per fare accettare all’opinione pubblica questa deriva libertaria folle ci si inventa una dimostrabile efficienza sul piano economico, per poi proseguire tacendo i danni alla salute che l’uso e la dipendenza causano e si arriva ad immaginare fantasiosi effetti positivi sul piano sociale e sanitario. Ed ancora vale la pena di sottolineare l’assoluta inopportunità, tra l’altro evidenziata anche questa in corso di audizione, di inserire nella stessa proposta di legge norme che riguardano la cannabis per uso ricreativo e la cannabis per uso terapeutico. Ma forse la proposta voleva tenere insieme, o meglio i promotori di questa proposta volevano tenere insieme le due questioni perché una diventasse l’alibi per approvare l’altra. Non si può negare la realtà, quella che ci dice come sia noto che moltissime persone hanno esperienza di uso unicamente di cannabis in un certo periodo della loro vita, ma è altrettanto vero che quasi tutte le persone che hanno sviluppato dipendenza da droghe, come l’eroina, hanno iniziato con l’uso di cannabis. Esiste un’escalation provata, registrata dalle comunità terapeutiche, che vede la cannabis come prima sostanza verso i 15 anni, cui segue in genere il consumo di droghe sintetiche, poi variabilmente cocaina e eroina o più spesso entrambe. Alcuni vedono nella contiguità di mercato clandestino la causa principale di questa escalation; in realtà, ci sono evidenze neurobiologiche che l’uso di cannabis sensibilizza determinati circuiti cerebrali che diventerebbero così più suscettibili alla dipendenza da sostanze chimiche in generale. Non si possono poi tacere gli evidenti danni alla salute che causa la cannabis, in particolare sugli under 15: è provato un aumento dei rischi di sviluppare una patologia psichiatrica, danni cognitivi non solo nel periodo di utilizzo ma anche a distanza di anni dall’interruzione dell’uso. È ampiamente nota una riduzione delle funzioni esecutive, del controllo degli impulsi, delle attenzioni e delle funzioni psicomotorie. Per noi sono sufficienti poi i giudizi delle comunità terapeutiche che si occupano da anni del recupero dei giovani dalle dipendenze per definire questa proposta una proposta oscena e irresponsabile.
Concludo, allora, con alcune parole significative che ci sono state lasciate nella sua memoria da una delle comunità terapeutiche che abbiamo ascoltato nel corso dei lavori nelle Commissioni. Ovviamente – ci diceva nella propria memoria la comunità Exodus che abbiamo audito – nella presentazione di questa proposta di legge non si fa alcuna ipotesi sull’incremento dei consumi di cannabis, che si potrebbero registrare in seguito all’approvazione della nuova normativa, nessuna considerazione sugli aspetti non utilitaristici di un simile intervento normativo, al di là dell’ipotizzato maggior gettito fiscale e dell’ipotizzato colpo agli interessi della criminalità mafiosa, visto che la droga fa male e questo è un dato oggettivo che include la cannabis. Quanto male farà lo Stato ai suoi giovani, offrendo loro lo sballo legale ?

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3235)
PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori e il Governo rinunziano alle repliche.
(Annunzio di questioni pregiudiziali – A.C. 3235)
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Binetti e Calabrò n. 1 e la questione pregiudiziale di merito Binetti e Calabrò n. 1, che saranno esaminate e poste in votazione prima di passare all’esame degli articoli del provvedimento (Vedi l’allegato A – A.C. 3235).
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.