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Hanno partecipato: Alessandro Margara (Presidente Fondazione Michelucci), Franco Corleone (Garante dei diritti dei detenuti Comune di Firenze), Beniamino Deidda (Procuratore generale), Henri Margaron (Responsabile SerT Livorno), Elisabetta Masini (NOT-Nucleo Operativo Tossicodipendenze Prefettura di Firenze), Pierluciano Mennonna (SILP CGIL Firenze), Massimo Niro (Giudice di sorveglianza), Valentina Orvieto (avvocato), Michele Passione (avvocato). Maria Stagnitta (Associazione Insieme), Massimo Urzi (Ricercatore Fondazione Michelucci), Grazia Zuffa (Forum Droghe).

I principali problemi evidenziati dalla ricerca svolta riguardavano:

La rilevanza penale delle misure introdotte dalla legge 49/2006:
– la rilevanza penale che assume, in base all’art.73 della legge, la condotta di chi è colto nel possesso di un quantitativo di sostanza stupefacente priva di principio attivo o dotata di principio attivo talmente modesto da escluderne l’effetto drogante;
– l’indebolimento della diminuente i cui al comma 5 dell’art,73, e quindi il possibile irrigidimento della disciplina sanzionatoria;
– la natura giuridica dello stesso comma;
– l’introduzione delle modifiche alla disciplina della recidiva e delle circostanze del reato, con particolare riferimento al concorso di circostanze eterogenee, con il possibile effetto di sanzionare in modo più severo reati di modesta entità.

L’esecuzione delle pene:
– la riduzione dell’accesso a misure alternative o sostitutive della pena detentiva, nonostante la legge abbia elevato il limite di pena per accedervi, passando da 4 a 6 anni;
– la modifica del procedimento di concessione della misura, che tenderebbe a non sospendere l’esecuzione della pena a chi non sia già agli arresti domiciliari e ad escluderne l’accesso a chi sia in carcere e lo chieda sulla base del solo presupposto del limite di pena.

Il trattamento:
– l’accesso molto modesto dei detenuti tossicodipendenti stranieri privi del titolo di soggiorno alle misure alternative o sostitutive della pena detentiva;
– il non accesso da parte degli stranieri, titolari del codice regionale STP (Straniero Temporaneamente Presente), alle prestazione di competenza dei SerT finalizzate alla prevenzione, cura e riabilitazione da stati di tossicodipendenza;

La prassi degli organi di polizia e le segnalazioni delle prefetture:
– l’eventuale correlazione tra la prassi attuata dagli organi di polizia di procedere all’arresto obbligatorio in flagranza di reato anche in presenza di modesti quantitativi di sostanza stupefacente e l’aumento del numero dei tossicodipendenti in carcere;
– l’andamento delle segnalazioni alle prefetture

Le proposte
– verificare la possibilità di un potenziamento dell’offerta terapeutica;
– suggerimenti operativi per mitigare gli effetti sanzionatori prodotti dalla novellazione dell’art. 75 D.P.R. 309/1990 da parte della legge 49/2006;
– ruolo della Regione Toscana;
– coordinamento e lavoro di rete tra i servizi.
 
Sintesi della discussione

Rilevanza penale delle misure introdotte dalla legge 49/2006:

Dai dati esaminati appare che la legge Fini Giovanardi, pur declamando la lotta al traffico per stroncare il consumo, in realtà realizza una tipo di contrasto che lascia sopravvivere il traffico dai bassi agli alti livelli.
La prova in tal senso è fornita dal livello di denunce e di arresti per art. 73. Risulta tuttavia difficile cogliere la quota dei casi di art. 73 per i quali viene riconosciuta la “lieve entità”. Tale verifica è improbabile che possa essere fatta dagli organi di polizia in quanto la lieve entità del fatto non viene riconosciuta in sede di contestazione, ma in sede di sentenza. Una ricerca potrebbe essere fatta in ragione delle pene inflitte: la differenza di pena fra le ipotesi normali di art. 73 e le ipotesi di lieve entità è tale (da 6 anni a 20, per la prima, da 1 a 6, per la seconda), che dovrebbe essere visibile nella pena in concreto inflitta.
Una ipotesi potrebbe essere (procedendo per campioni) la ricerca nelle sentenze o, ancora meglio, nei certificati penali.
Comunque è indubbio che il riconoscimento della lieve entità indica che siamo davanti al consumo.
Permane invece la convinzione di battere il traffico anche quando si colpisce lo spaccio minuto, che è in pratica l’autofinanziamento del consumatore.
Il progetto Boato, che era stato pensato con l’idea di una riduzione radicale delle pene, le aveva ridotte per le ipotesi ordinarie dell’art. 73, ma prevedeva comunque una ipotesi (art. 73bis) denominata “traffico di sostanze stupefacenti”, punita con pena consistente (da 3 a 10 anni per le droghe pesanti e da 2 a 6 per le altre) per dare maggiore sicurezza alla penalizzazione.
Bisognerebbe svolgere una analisi più approfondita della rete commerciale, partendo dall’alto e dalle grandi reti internazionali del commercio degli stupefacenti, anziché partire dal basso ravvisando la associazione a delinquere finalizzata al traffico (art.74), apice delle condotte criminali, nelle reti di spaccio di quartiere.
Per quanto riguarda l’accertamento e della certificazione della dipendenza, si nota che la prassi è più laboratoristica che esperienziale, e inoltre il comma 5 sulla lieve entità non è inserito in alcun data base, ma compare solo nelle motivazioni alle sentenze.
Ad esempio a Sollicciano risulta essere solo del 3-4% mentre facendo una ricerca nei certificati penali risulterebbe essere del 25%.
In realtà l’ipotesi attenuata non è una figura autonoma, e la pena viene ridotta per altri capitoli diversi dal c.5, dal che risulta uno schiacciamento verso l’inasprimento delle pene.
I criteri di determinazione dell’ipotesi attenuata possono rendere plausibili interpretazioni diverse. Pur avendo lo stesso art. 73 natura giuridica di circostanza attenuante ad effetto speciale, e quindi pur potendo consentire una parziale neutralizzazione degli effetti indotti dalla L. 251/2005, si assiste tuttavia ad una tendenza a sanzionare in modo più severo reati in materia di droga di modesta entità, soprattutto nel caso in cui si ravvisi la recidività e la qualificazione di pericolosità del soggetto.

L’esecuzione delle pene:

Emerge un numero minore rispetto al passato di misure alternative diverse dalla libertà per tossicodipendenti detenuti, sia per “mancanza di idoneità” del programma proposto dai servizi, non sempre sufficientemente personalizzato, sia per il limite delle due volte posto alla possibilità di usufruirne. Inoltre pur essendo stato innalzato il limite della pena a 6 anni, è stata ampliata la gamma dei reati computabili.
Il fatto che la legge sia in sostanza maggiormente afflittiva è reso meno evidente da aspetti di apparente alleggerimento delle sanzioni: la diminuzione da otto a sei anni del minimo della pena per l’art. 73, l’affidamento in prova in casi particolari che può essere dato per pene fino a sei anni, anziché a quattro, come era nella legislazione precedente (ma questo poi non vale per le pene inflitte per una serie di reati), l’accertamento della dipendenza e la validità del programma è rimesso a valutazioni puramente laboratoristiche, e infine il controllo sulle violazioni, anche minime, del programma terapeutico impegna gli operatori alla comunicazione di ogni difficoltà, in modo tale da fare inevitabilmente crescere il numero delle revoche delle misure alternative.

Anche da parte del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, nonostante l’ampliamento del limite di pena previsto per l’accesso alle misure sopra indicate, si verifica che il risultato complessivo della novella del 2006 sia stato quello di un “irrigidimento” dei parametri per la concessione delle misure e, quindi, di una tendenziale diminuzione delle concessioni. A ciò hanno contribuito il maggiore rigore richiesto dalla legge per il rilascio della certificazione dello stato di tossicodipendenza e della idoneità del programma di recupero da parte di una struttura pubblica o privata accreditata (nuovo disposto dell’art. 94, comma 1) e la maggiore discrezionalità accordata al tribunale di sorveglianza competente per la decisione, il quale è chiamato espressamente a valutare se il programma concordato contribuisca al recupero del condannato ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati (nuovo disposto dell’art. 94, comma 4).
E’ comunque da sottolineare che in Toscana non tutti i Sert  si sono uniformati tempestivamente alla nuova normativa relativa alla certificazione dello stato di tossicodipendenza, favorendo così soluzioni formali del tribunale di sorveglianza nel senso dell’inammissibilità della richiesta del condannato tossicodipendente .
La più ampia discrezionalità dell’organo giudicante, inoltre, ha fatto sì che, in presenza di programmi terapeutici territoriali scarsamente articolati e personalizzati, sia stato incentivato il riconoscimento della “non idoneità” del programma di recupero e, conseguentemente, il rigetto della richiesta di ammissione a misura alternativa (o sospensiva).
C’è da aggiungere che, nella prassi dei tribunali di sorveglianza, è molto raro il ricorso alla misura della “sospensione dell’esecuzione della pena detentiva” di cui all’art. 90 D.P.R. 309 / 90, anche indipendentemente dalle modifiche apportate dalla legge 49 / 2006,  essendo tale misura ritenuta non adeguata a verificare con tempestività ed efficacia il corretto svolgimento del programma terapeutico da parte del condannato tossicodipendente .
Ne consegue il ricorso prevalente e privilegiato alla misura dell’affidamento in prova in casi particolari di cui all’art. 94 D.P.R. 309 / 90, rispetto alla quale, però, si pongono i problemi già segnalati prodotti dalle modifiche apportate dalla novella del 2006, oltre che il limite originario della concessione per non più di due volte (art. 94, comma 5).
Su quest’ultimo punto, che assume non poca rilevanza anche alla luce delle preclusioni introdotte dalla legge 251 / 2005 per i recidivi reiterati con riferimento alla misura dell’affidamento in prova “ordinario” di cui all’art. 47 dell’ordinamento penitenziario, va ricordato che il Tribunale di Sorveglianza di Firenze nel luglio 2005 aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale, non decisa nel merito dalla Corte costituzionale, la quale per motivi formali restituiva gli atti al giudice “a quo”  ( la questione non veniva poi riproposta perché la pena di cui si trattava era stata estinta per l’applicazione dell’indulto di cui alla legge 241/2006).
Adesso potrebbe forse ipotizzarsi una nuova questione di legittimità costituzionale dell’art. 94, comma 5, ravvisandosi dubbi di costituzionalità nella limitazione a due volte della possibilità di concedere l’affidamento terapeutico ex art. 94, alla stregua delle acquisizioni scientifiche più accreditate in ordine alla dipendenza (psichica e non meramente fisica) da sostanze stupefacenti.

Per ciò che riguarda la fase esecutiva, sono da segnalare alcuni casi, non infrequenti, che spesso accompagnano l’intera durata della pena inflitta: ad esempio se il nuovo giunto in un istituto di pena non si dichiara tossicodipendente può incontrare grosse difficoltà successivamente ad ottenere la certificazione per svolgere un programma in base all’art. 94 D.P.R. 309/’90, soprattutto nel caso in cui non era mai stato preso in carico da un SerT territoriale. E questo, se costituisce comunque un problema per la mancanza di cura verso il malessere di una persona, ha effetti ancora più pesanti nel caso di soggetti condannati per l’ipotesi di cui alla circostanza attenuata.

Il trattamento:

Sarebbero da definire più puntualmente le modalità di svolgimento e di accertamento dei programmi terapeutici, evitando di attribuire una importanza quasi esclusiva all’aspetto “biologico” delle verifiche, senza entrare nel merito della possibile integrazione sociale dei soggetti.
Quanto ai programmi per le misure alternative, l’accettazione maggiore è per quelli svolti in una comunità terapeutica, con una sottovalutazione delle possibiità di intervento nei SerT.
vengono citati i dati del SerT di Livorno, al quale nel 2008 sono state affidate 230 persone, di cui 203 presi in carico perché dichiarati tossicodipendenti (quasi tutti piccoli spacciatori). Molti tra quelli che non lo sono stati sono casi di drop out che non hanno proseguito il trattamento.
Esistono inoltre punti di criticità in diverse circostanze: può darsi che un soggetto venga trasferito da un istituto ad un altro e, pur essendo tossicodipendente certificato dal SerT del primo ingresso, incontra gravi difficoltà ad accedere alle misure alternative alla detenzione, sia perché tutte le volte che viene trasferito (malgrado la cartella personale del condannato segua il soggetto nei suoi trasferimenti) deve ricominciare l’attività di osservazione, con tutte le difficoltà dovute alla disomogeneità dei servizi sociali e dei SerT, sia perché il trattamento del soggetto condannato, già in carico presso un SerT territorialmente competente, da parte del servizio intramurario può dar luogo a lunghe procedure sulla legittimazione a rilasciare attestazioni e supportare il finanziamento della struttura in cui svolgere la misura alternativa.
Anche in questo caso emerge che circostanze di questo genere sono amplificate nel caso di condannati a pene relativamente brevi, e soprattutto nel caso di stranieri e di persone irregolarmente presenti in Italia. Per molti di loro, tra l’altro, la condizione di irregolarità interviene durante la carcerazione, essendo assolutamente inoperante la circolare del D.A.P. del 31.07.2008, riguardante le pratiche per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno

La prassi degli organi di polizia e le segnalazioni alle prefetture:

Si assiste frequentemente ad arresti per fattispecie che sin da subito presentano i connotati di cui all’art.73 comma V D.P.R. 309/’90, per le quali opera il disposto di cui all’art.380, comma II, lett.h, c.p.p. Tuttavia, non è possibile affermare che per ciò solo il PM sia in qualche modo obbligato, o comunque indotto, a richiedere al Giudice della cautela l’applicazione della misura coercitiva della custodia in carcere, ben potendo questi, valutate tutte le circostanze evidenziate nel verbale di arresto dalla PG operante (ed in primis la possibilità che venga ritenuta la sussistenza della circostanza di cui al comma V dell’art.73), trasmettere al G.i.p. richieste cautelari diverse da quella di cui agli artt. 285 e/o 284 c.p.p.
In ogni caso, è ovvio che l’arresto per le ipotesi comunque sussumibili nella circostanza attenuata de qua, che rimane facoltativo, implica un’affluenza in carcere che può sortire effetti diversi (ferma la violazione dell’art.275 comma II c.p.p.); infatti, mentre per quei soggetti che si presentino incensurati, e comunque (se stranieri) regolarmente presenti in Italia, è presumibile che il GIP attenui la misura applicata con l’arresto (e ciò anche a prescindere dalla richiesta avanzata dal PM), per tutti gli altri (magari per comportamenti identici, posti in essere in concorso da soggetti con differenti condizioni personali e/o giudiziarie) è altamente probabile che verrà applicata la misura della custodia in carcere, rinnovando nuovamente quel fenomeno di marginalizzazione cui il carcere sembra sempre più inesorabilmente tendere.
L’azione della polizia privilegia inevitabilmente il contrasto di piazza, indotto o dalla “rincorsa alle statistiche” o dall’andamento generale dell’intervento di sicurezza contro la microcriminalità di strada.
L’intervento è basato sulla emergenzialità – e spesso più emergenze si sovrappongono, come in questo periodo la repressione dello stalking o l’intervento nelle scuole medie inferiori – e spesso viene arrestato il più piccolo e il facile. Quanto alle valutazioni, si basano su principi speso semplicistici: minor prezzo uguale minor principio attivo.
Le modalità dell’intervento di polizia, ricadente sul consumo, ha prezzi considerevoli che incidono sul sistema giuridico complessivo. L’accertamento di polizia tende a sostituirsi all’accertamento giudiziario, rendendo superfluo il processo, svilisce la difesa e facilita la carcerazione, particolarmente per alcuni gruppi, quali gli immigrati. I due terzi dei detenuti sono infatti immigrati (circa il 37%), tossicodipendenti (27%), privi di una appartenenza territoriale o con disturbi psichiatrici. Rappresentano la “detenzione sociale”, che finisce in carcere perché non viene affrontata sul terreno sociale, che le è proprio.

Qualche dato: nel 2008 ci sono state 225 persone segnalate per sostanze stupefacenti a Firenze e provincia, nel 2009 ci sono 75 segnalazioni fino ad oggi.

Il NOT – Nucleo Operativo Tossicodipendenze della Prefettura di Firenze ha ricevuto, nel corso del 2008, n. 1093 segnalazioni per detenzione di stupefacenti per uso personale. Le segnalazioni riguardano persone residenti a Firenze e provincia, fermate in tutta Italia.
Come ormai da circa 10 anni la stragrande maggioranza delle segnalazioni riguarda la detenzione di hascisc e/o marijuana, seguita da quelle per detenzione di eroina. Nel 2008, per la prima volta, il numero di segnalazioni per cocaina ha superato quelle per eroina. E’, inoltre, notevolmente aumentato il numero dei segnalati per cocaina che hanno più di 40 anni.
Il maggior numero di segnalati, in generale, ha tra i 19 e i 25 anni, possiede la licenza media inferiore e risulta stabilmente occupato.
A tre anni dall’entrata in vigore della L.49/06 emergono alcune criticità nell’applicazione dell’art 75, così come riformulato:
– è eliminata la distinzione tra c.d.”sostanze leggere” e c.d. “sostanze pesanti” ed è introdotto il concetto di “tenuità della violazione” in base al quale è possibile adottare l’invito formale a non fare più uso di sostanze stupefacenti come definizione del procedimento. Questa ammonizione era prima possibile solo nei casi di prima segnalazione per detenzione di sostanze leggere. Attualmente, invece, non essendo stato definito il concetto della tenuità, si applica questo provvedimento anche per prima detenzione di sostanze pesanti, rendendo di fatto meno punitiva la norma stessa e lasciando quindi ampio spazio alla libera interpretazione del singolo assistente sociale del NOT;
– è stata eliminata la sospensione del procedimento, che consentiva l’ invio al SERT della persona segnalata in alternativa all’applicazione della sanzione. Il segnalato deve ora essere sanzionato e genericamente invitato a seguire un programma terapeutico. Nel caso concluda positivamente questo programma, la sanzione potrà essere revocata. Nella pratica però i tempi di applicazione della sanzione sono inferiori alla durata di un programma medio, quindi le persone sono disincentivate ad intraprenderlo;
– la legge 49/06 continua genericamente a parlare di colloquio da svolgersi con personale del NOT: questo momento di incontro, che aveva finora l’obiettivo di essere uno spazio di informazione sulla normativa ma anche di riflessione sulle proprie esperienze, era svolto da assistenti sociali. Con la nuova normativa, centrata più sull’aspetto sanzionatorio che su quello preventivo-educativo, viene meno il valore del colloquio e viene ridotta la professionalità degli assistenti sociali;
– si è introdotta la possibilità, da parte degli organi di polizia, di ritirare la patente di guida o il certificato di idoneità tecnica del ciclomotore, laddove si ravvisi la “diretta ed immediata” disponibilità di veicoli a motore all’atto della contestazione. Questo concetto non è stato chiarito e continua a dare luogo alle più disparate interpretazioni;
– è stato introdotto il comma 8 dell’art.75 che prevede l’obbligo di riferire al Questore la detenzione di sostanze da parte dello straniero maggiorenne, per le valutazioni di competenza in sede di rinnovo del permesso di soggiorno. Questa norma sembra eccessivamente afflittiva e discriminante.
Alla luce anche dei numerosi dibattiti avvenuti in sedi diverse tra gli operatori dei NOT delle Prefetture, emerge la necessità di ripristinare, con opportuni “aggiustamenti” il “vecchio” art. 75, in particolare rispetto all’invio al SERT per la predisposizione di programmi terapeutici. Questi potrebbero peraltro essere differenziati in percorsi socio-educativi individualizzati, definendone anche i imiti temporali.
La discrepanza tra i dati risultanti alla Polizia e i dati del NOT potrebbe essere data sia dal fatto che la stessa persona può essere stata segnalata più volte sia dal fatto che la segnalazione potrebbe riferirsi ad un fatto commesso da residenti nella provincia di Firenze ma rilevato fuori dalla Provincia di Firenze. In ogni caso pare emergere una carenza nel coordinamento tra diverse istituzioni.
Si evidenzia inoltre la crescita delle sanzioni del prefetto e il rilievo assoluto della cannabis, per cui sembra essere colpito ancora una volta non il consumo, quanto piuttosto l’uso occasionale. Si immagina che a colpire i livelli più “bassi” si possa dissuadere dalla condotta più grave, ma in realtà quest’ultima non viene colpita e si sanziona invece la condotta di minore gravità. Appare in sostanza “una dissuasione che non dissuade”.

Alcune evidenze significative

La lettura della normativa da parte del giudice è basata su criteri fortemente disomogenei, l’arresto è facoltativo pur essendo attuato, e il problema maggiore risulta essere la discrepanza tra gli interventi attuati.
Appare un aumento della discrezionalità anche nelle Prefetture, con basso livello di attenzione per programmi alternativi, tenendo conto soprattutto che la maggioranza delle persone segnalate sono consumatori occasionali di sostanze.

Proposte per interventi di competenza regionale

– interventi legislativi sia per promuovere, attivare e legittimare politiche di riduzione del danno e di diminuzione della carcerazione per i tossicodipendenti;
– interventi di potenziamento delle risorse, revisione degli organici e rilancio dei servizi pubblici, dopo l’indebolimento che si constata in seguito alla Legge Fini Giovanardi, che potenzia piuttosto l’intervento privato;
– valorizzazione e incremento dei programmi terapeutici nei servizi, sia con interventi ambulatoriali diurni sia con l’attuazione di programmi più completi e operativi;
– potenziamento dei SerT interni ai carceri, ora spesso limitati a seguire la disassuefazione. Appare indispensabile che possano usufruire di risorse adeguate per svolgere programmi terapeutici idonei, anche quelli residenziali, più costosi, senza alcuna differenza tra cittadini italiani e immigrati:
– attuazione di un lavoro di rete tra i soggetti istituzionali coinvolti, con l’apertura alle risorse presenti sul territorio. Risultano infatti diversi elementi di criticità (dati raccolti in modo disomogeneo, interventi non congruenti, mancato collegamento tra i servizi) che indicano l’opportunità di stabilire una modalità operativa basata su forme di coordinamento non episodiche e non puramente formali.