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La legge 49/2006 “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” è intervenuta modificando il precedente D.P.R. 309/1990 negli articoli fondamentali, in particolare nelle disposizioni sanzionatorie, di natura penale e amministrativa, dettate per la “repressione delle attività illecite” dagli artt. 73 e seguenti.

Il nuovo assetto normativo si è caratterizzato per l’inasprimento delle pene in relazione alle condotte di produzione, traffico, detenzione e uso di sostanze stupefacenti, nonché per l’abolizione di ogni distinzione tra droghe leggere, come la cannabis, e droghe pesanti, come eroina o cocaina. La norma cardine dell’impianto punitivo è rappresentata (come del resto nel D.P.R. 309/1990) dall’art. 73, capace di colpire con un poderoso dispositivo sanzionatorio (in origine, da 8 a 20 anni, oggi, con la legge 49/2006, da 6 a 20 anni) ogni comportamento in relazione con le sostanze psicotrope contenute nella tabella della stessa legge (dalla produzione, al traffico, al commercio fino alla semplice detenzione). Nonostante l’art.75 preveda una minore pressione punitiva per la  detenzione di sostanza per uso personale, l’impianto comprensivo dell’art.73 fa sì che la persona trovata in possesso di sostanza proibita ricada per ciò stesso sotto il rigore dell’art.73, salvo riuscire a dimostrare che la droga era destinata all’uso personale. In altri termini, la configurazione della norma cardine della legge antidroga introduce il meccanismo della “inversione dell’onere della prova”, destinata a gravare sull’imputato anziché come di regola sull’accusa. Mutamenti significativi, nel senso di un aggravamento, hanno riguardato anche l’art.75, ovvero le sanzioni per la detenzione a uso personale, nonché gli art. 90 e 94, relativi alla possibilità per i tossicodipendenti di accedere a programmi terapeutici alternativi al carcere.
E’ da notare che l’inasprimento della normativa italiana è intervenuto negli anni in cui in Europa si affermava la strategia dei “quattro pilastri” (prevenzione, terapia, riduzione del danno, repressione), caratterizzata da un riequilibrio, di enfasi e risorse, dal pilastro “repressione” verso i pilastri sociosanitari. Qui sta il carattere innovativo  della strategia dei quattro pilastri rispetto all’approccio tradizionale che vede la questione droghe principalmente come questione criminale.   Diversamente dalla maggior parte dei paesi europei, l’Italia ha scelto di focalizzare sul pilastro repressivo. Purtroppo, i dati forniti dai diversi dicasteri e quelli riassunti nelle Relazioni sullo stato della tossicodipendenza al Parlamento 2008 e 2009 (relativi agli anni 2007 e 2008) non permettono un calcolo economico approfondito. Tuttavia, per la prima volta la Relazione al parlamento 2007 (sui dati 2006) tenta di quantificare l’applicazione della legge in termini economici: si stima che i tre pilastri sociosanitari assorbano euro 1.743.000.000, mentre il solo pilastro repressione assorbe quasi il doppio delle risorse, euro 2.798.000.000. Le stime contenute nella Relazione 2008 (sui dati 2007) non alterano sostanzialmente il rapporto: euro 1.862.030.851 per i pilastri sociosanitari, a fronte di euro 2.469.337.029 per quello relativo all’applicazione della legge penale.

Denunce, arresti per violazione art. 73 e presenza di detenuti tossicodipendenti in carcere

L’irrigidimento del trattamento punitivo verso i comportamenti connessi al possesso di droga non sembra aver portato ad una diminuzione o anche solo ad un contenimento delle condotte di rilevanza penale.
Basti pensare che solo per la violazione dell’art. 73 D.P.R. 309/1990, ogni anno fa ingresso in carcere 1 detenuto su 3, mentre vi legano la loro presenza 4 detenuti su 10. In particolare, se nel 2006 gli ingressi in carcere in violazione della legge antidroga sono stati 25.399 (su un totale di 90.714), nel 2008 sono saliti a 28.795 persone (su un totale di ingressi di 92.800). E’ da notare che aumenta anche la percentuale di ingressi per violazione della normativa antidroga in rapporto agli ingressi complessivi (il 28% nel 2006, il 31% nel 2008). Aumenta anche il numero di consumatori/tossicodipendenti sul totale degli ingressi: il 27% nel 2006, il 33% nel 2008. Questo 33% rappresenta un picco mai rilevato dal 2001 in poi.
Sono cresciute le segnalazioni all’autorità giudiziaria per reati previsti dal D.P.R. 309/1990: nel 2006 il totale delle denunce è stato di 33.056, nel 2008 di 35.097. E’ da notare che il dato è in costante aumento sino dal 2004, anno in cui si registrano 31.483 segnalazioni (Relazione annuale al Parlamento 2009). Crescono soprattutto le denunce per art.73 (29.724 nel 2006, 32.217 nel 2008; nel 2004 erano state 28.250). Si segnala inoltre la crescita significativa delle segnalazioni in stato di arresto (25.730 nel 2006, 28.552 nel 2008; nel 2004 erano state 24.103). Aumentano anche le condanne per violazione dell’art. 73 e, in maniera impressionante, i procedimenti pendenti in relazione alla medesima fattispecie (154.546 procedimenti pendenti per art.73 nel primo semestre del 2006, 180.610 nel secondo semestre del 2008).
Oltre all’aumento degli ingressi, si registra anche un incremento delle presenze di detenuti tossicodipendenti nelle carceri italiane. Alla metà del 2006, subito prima dell’approvazione dell’indulto, i tossicodipendenti in carcere erano 16.145, il 26,4% della popolazione detenuta. Poco dopo l’indulto, com’era da aspettarsi, la percentuale è scesa al 21,4%. Questo calo ha avuto vita breve. Già alla fine del 2007, la percentuale di tossicodipendenti in carcere aveva raggiunto e superato i livelli precedenti, attestandosi nel 2008 al 26,8%.

L’impatto punitivo sul consumo

Quanto alle sanzioni amministrative previste dall’art.75 per l’uso personale, queste  crescono in maniera notevole (8.180 nel 2006, 13.823 nel 2008). Se esaminiamo i dati partendo dal 2004 (7.814 sanzioni comminate), si coglie la portata l’aumento, che raggiunge il 76,9%. E’ da notare inoltre che la nuova normativa ha introdotto un aggravamento delle sanzioni amministrative, sia rispetto alla durata che all’allargamento della tipologia. Se si considerano insieme la più lunga durata delle sanzioni amministrative e l’incremento del numero delle sanzioni erogate, è ragionevole ipotizzare che sia aumentato il numero complessivo delle persone sottoposte a sanzioni.
 Contemporaneamente, crollano le richieste di programma terapeutico (6.713 nel 2006, 1.078 nel 2008). Se esaminiamo la sequenza dei dati dal 2004, si registra un crollo delle richieste di terapie del 84%. Come spiegheremo in dettaglio in seguito, sulla caduta dei programmi terapeutici per le persone segnalate alla Prefettura per uso personale (art.75) sembra aver influito il nuovo meccanismo della legge: il programma terapeutico non sospende più l’erogazione della sanzione come avveniva nella normativa del 1990, e  dunque la terapia si presenta agli occhi del consumatore come un “onere aggiuntivo”.

Misure alternative alla detenzione 

Circa l’andamento del numero delle persone in misure alternative, occorre considerare l’impatto dell’indulto avvenuto nel luglio 2006. Al 1 gennaio 2006, risultavano in affidamento 3852 tossicodipendenti (su un totale di 15.604), mentre al 1 gennaio 2009 si registrano 1219 tossicodipendenti affidati (su un totale di 4.623) (Dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria). Una drastica riduzione era da attendersi subito dopo l’indulto. Tuttavia, considerato che il numero dei tossicodipendenti in carcere ha ormai superato quello del 2006 e che quello dei condannati per l’art.73 ha anch’esso raggiunto il livello pre indulto, lo squilibrio fra l’impennata della carcerazione e la lenta ripresa degli affidamenti pare segnalare un fenomeno “strutturale”.
Nella comprensione di tale fenomeno, aiuta l’analisi separata dei dati sugli affidamenti dalla libertà in confronto a quelli dalla detenzione. Si scopre così che nel 2009, per la prima volta gli affidamenti dal carcere hanno superato quelli dalla libertà. Inoltre, mentre gli affidi dal carcere stanno aumentando, gli affidamenti dalla libertà stanno crescendo in misura molto più lenta. L’applicazione degli articoli della legge antidroga relativi alle misure alternative sarà approfondita in seguito. Si noti che questa contrazione delle misure alternative è ancora più preoccupante considerato che anche prima della nuova legge antidroga, il numero dei tossicodipendenti affidati era relativamente basso, come si evince dai dati sopra. All’inizio del 2006, a fronte di 16.000 tossicodipendenti in carcere, le persone in affidamento erano 3800. Dunque, anche nel momento della massima espansione delle misure alternative, il carcere era la norma per i tossicodipendenti. Il fenomeno si è oggi molto aggravato: alla fine del 2008, a fronte di oltre 14.700 tossicodipendenti in carcere, quelli in affidamento erano poco più di 1200.
 
Approfondimento I: il sistema repressivo punta al “basso”

Il legislatore del 2006 ha declamato la necessità di un inasprimento punitivo al fine di stroncare il consumo. Occorre verificare se a questa guerra al consumo e ai consumatori, corrisponda un’aumentata pressione sull’offerta di droga, puntando a stroncare il grande traffico. I dati sulle denunce e sugli arresti in applicazione dell’art. 73 sembrano dare risposta negativa.
Infatti, nel biennio 2006-2007, l’aumento delle segnalazioni su base nazionale e l’incremento delle operazioni di contrasto al traffico e alla diffusione di droga sono stati bilanciati dalla sensibile diminuzione dei sequestri di droga, calati nel complesso di circa il 10%.
In merito, si è sostenuto che questo rapporto inversamente proporzionale, fra aumento delle segnalazioni e delle operazioni di contrasto e diminuzione dei sequestri di sostanze nell’ultimo anno, possa spiegarsi con la necessità del sistema penale di assecondare la cosiddetta “emergenza sicurezza”. In altri termini, le forze di polizia sarebbero concentrate nel perseguimento di soggetti dal profilo criminale modesto (con prevalenza, i piccoli spacciatori); a decremento delle attività di contrasto al traffico illecito. In questo quadro, la polizia privilegia il contrasto di “piazza”, indotto o dall’agevole rinforzo delle statistiche o dalla semplificazione del lavoro o dall’andamento generale dell’intervento di sicurezza concentrato contro la microcriminalità di strada. La scure sanzionatoria si abbatte cioè con particolare intensità sui soggetti meno pericolosi e, nel contempo, più esposti al controllo penale: i consumatori/spacciatori di piccoli quantitativi di droga.
Una conferma di questo orientamento si avrebbe dall’esame delle denunce/condanne per art.73, nell’ipotesi di “lieve entità”, per verificare quanto queste incidano sull’insieme delle denunce/condanne per art.73. Ma ci sono difficoltà a reperire questi dati, in primo luogo perché, secondo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalente, tale ipotesi è vista come circostanza attenuante della disposizione principale (art. 73) e non come autonoma figura di reato. Perciò, la rilevazione dell’ipotesi di “lieve entità” come attenuante  non è fatta dagli organi di polizia in quanto la lieve entità del fatto non viene riconosciuta in sede di contestazione, ma in sede di sentenza. E’ inutile dire che la mancanza di questo dato è di serio impedimento ad una valutazione esauriente dell’impatto della legge poiché impedisce di verificare la macroscopica distinzione fra “traffico” e “vendita” di droga. E’ dunque difficile valutare il volume di incriminazione che colpisce le figure socialmente più deboli dei consumatori/piccoli spacciatori. 
Altro fenomeno che incide sull’impatto repressivo sono gli arresti. Si assiste frequentemente ad arresti per reati che palesemente presentano i connotati della “lieve entità”, per i quali l’arresto non sarebbe obbligatorio. Su questo fenomeno influiscono diversi fattori. Infatti, mentre per quei soggetti che si presentano incensurati e, se stranieri, regolarmente presenti in Italia è presumibile che il Giudice chiamato ad applicare la custodia cautelare disponga gli arresti domiciliari od altra misura cautelare non limitativa della libertà (anche a prescindere dalla richiesta del PM), per i soggetti che (magari per comportamenti identici) abbiano precedenti penali o, se stranieri, siano privi di regolare soggiorno, è altamente probabile che sia applicata la misura della custodia in carcere.
Non è possibile, inoltre, ricavare dati circa le incriminazioni per fatti di lieve entità distinti tra differenti droghe. Tenuto conto del dato scientificamente consolidato sul diverso grado di nocività delle differenti droghe, si può concludere che la denunciata carenza non consenta di conoscere – per esempio – quale incidenza sulle detenzioni abbiano i procedimenti per possesso di droghe leggere.
Approfondimento II: il crollo dei programmi terapeutici alternativi al carcere

Vistose lacune emergono per le rilevazioni degli affidamenti in prova in casi particolari, di cui all’art. 94 D.P.R. 309/1990. In particolare, i dati sull’esecuzione della pena dei tossicodipendenti in area penale esterna non consentono di ricavare le caratteristiche dei soggetti a cui sono concesse le misure, la tipologia dei trattamenti, nonché gli esiti degli stessi. Queste carenze appaiono particolarmente gravi in quanto le misure alternative al carcere sono indicate come “soluzione” principale al problema del sovraffollamento carcerario dei tossicodipendenti prodotto dall’accanimento repressivo verso le condotte connesse al (mero) possesso di stupefacenti e sostanze psicotrope. In particolare, ci si è chiesti se l’avvento della legge 49/2006, che ha modificato in modo rilevante la disciplina previgente di cui al D.P.R. 309/1990 abbia prodotto risultati riguardo all’accesso dei condannati tossicodipendenti alle misure sospensive (art. 90) e alternative (art. 94) al carcere.
Da un esame sommario della giurisprudenza formatasi in materia, soprattutto nell’ambito del Tribunale di sorveglianza di Firenze, è emerso che, nonostante l’ampliamento del limite di pena (da 4 a 6 anni) previsto per l’accesso alle misure sopra indicate, la normativa del 2006 ha  “irrigidito” i parametri per la concessione delle misure, provocando una tendenziale diminuzione delle concessioni. A ciò hanno contribuito il maggiore rigore richiesto dalla legge per il rilascio della certificazione dello stato di tossicodipendenza e della idoneità del programma di recupero da parte di una struttura pubblica o privata accreditata (nuovo disposto dell’art. 94, comma 1) e la maggiore discrezionalità accordata al tribunale di sorveglianza competente per la decisione, il quale è chiamato espressamente a valutare se il programma concordato contribuisca al recupero del condannato ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati (nuovo disposto dell’art. 94, comma  4).
Riguardo al primo punto (art. 94), è stato rilevato, attraverso la ricerca nella realtà toscana  che non tutti i Ser.T. si sono uniformati tempestivamente alla nuova normativa sulla certificazione dello stato di tossicodipendenza, così favorendo il respingimento delle richieste dei condannati tossicodipendenti per motivi formali.
Circa il secondo punto (art. 90), la più ampia discrezionalità dell’organo giudicante ha fatto sì che, in presenza di programmi terapeutici territoriali scarsamente articolati, nonché relativi  a tossicodipendenti “di lungo corso”, sia  aumentato il numero dei rigetti delle richieste di ammissione alle misure alternative, sulla base del giudizio di “non idoneità” del programma di recupero. Inoltre, nella prassi dei tribunali di sorveglianza, è molto raro il ricorso alla misura della “sospensione dell’esecuzione della pena detentiva” di cui all’art. 90 D.P.R. 309/1990 (ciò indipendentemente dalle modifiche apportate dalla legge 49/2006), essendosi ritenuta tale misura non adeguata a verificare con tempestività ed efficacia il corretto svolgimento del programma terapeutico da parte del condannato tossicodipendente.
Così, da una parte, in carcere entrano sempre più tossicodipendenti e ne rimane una percentuale stabile ma tendente all’aumento. Dall’altra, nella successiva fase dell’esecuzione penale, dopo l’indulto,  i percorsi alternativi e sostitutivi alla pena detentiva verso i tossicodipendenti sono stati quasi azzerati e, a distanza di oltre due anni e mezzo, continuano ad incidere in misura marginale sul numero assoluto dei soggetti condannati in via definitiva.

Approfondimento III: l’impatto punitivo sul consumo personale

Altra questione è rappresentata dalla valutazione del complesso procedimento amministrativo previsto dall’art. 75 D.P.R. 309/1990, alla luce delle novità introdotte dalla legge 49/2006. In particolare, nonostante l’enorme numero delle segnalazioni assolute alla Prefettura da parte degli organi di polizia per possesso di stupefacenti e sostanze psicotrope finalizzato al consumo personale, che nell’arco di oltre tre lustri (a partire dal 1991) ha quasi raggiunto le 600 mila unità, mancano del tutto indicazioni circa i programmi seguiti dai segnalati e i loro esiti.
All’interno dell’apparato sanzionatorio attuato dal D.P.R. 309/1990, così ridefinito dopo il Referendum abrogativo del 1993, il criterio per distinguere la condotta punibile in via amministrativa da quella punibile in via penale è rappresentato dalla finalità della detenzione di stupefacenti e sostanze psicotrope. Se il soggetto deteneva al solo scopo di consumare personalmente (e non di cederla a terzi) una certa sostanza illecita, egli non poneva in essere un contegno di rilevanza penale. Piuttosto, il medesimo soggetto era sottoposto al procedimento sanzionatorio – amministrativo previsto dall’art. 75 D.P.R. 309/1990, che si avviava per effetto della segnalazione compiuta dagli organi di polizia al Prefetto.  In tal modo, la legge del 1990 ha attribuito al Perfetto un ruolo di controllo, prevenzione e contrasto del fenomeno della tossicodipendenza. La disposizione ha previsto l’istituzione del Nucleo Operativo Tossicodipendenze (NOT), composto da funzionari delegati ed assistenti sociali per affiancare il Prefetto nell’espletamento di tali attività.
Il complesso iter procedimentale dell’art. 75 ha subito, con la legge 49/2006, una sostanziale modifica, accentuando il momento sanzionatorio a scapito di quello terapeutico. A tre anni dall’entrata in vigore della legge 49/2006 emergono alcune criticità nell’applicazione del nuovo disposto di cui all’art. 75.
Anzitutto, è stata eliminata la distinzione tra “sostanze leggere” e “sostanze pesanti” ed è stato introdotto il concetto di “tenuità della violazione” in base al quale è possibile adottare l’invito formale a non fare più uso di sostanze stupefacenti come definizione del procedimento. Questa ammonizione era prima possibile solo nei casi di prima segnalazione per detenzione di sostanze leggere. Attualmente, invece, non essendo stato definito il concetto della tenuità, si lascia ampio spazio alla libera interpretazione del singolo assistente sociale del NOT.
In origine, la centralità del percorso trattamentale rispetto a quello sanzionatorio era rappresentata dal fatto che se il consumatore accettava di seguire un programma terapeutico le sanzioni amministrative venivano sospese. 
La legge 49/2006, invece, non prevede più la possibilità di invio ad un programma terapeutico in regime di sospensione del procedimento amministrativo. Le sanzioni sono comunque irrogate nel caso di condotte reiterate e, solo successivamente, l’interessato viene invitato a svolgere un programma terapeutico o informativo-educativo a conclusione del quale, mediante apposita documentazione rilasciata dal servizio, le sanzioni (se ancora in corso) possono essere revocate. Ciò ha connotato il colloquio con il Prefetto (che, peraltro, solitamente avviene dopo molto tempo dalla contestazione della violazione all’interessato) come momento nel quale si procede in ogni caso all’applicazione di sanzioni a carico del segnalato recidivo, disincentivando così il ricorso ai servizi.
Sotto altro profilo, alcuni aspetti della nuova legge del 2006 pongono interrogativi circa il rispetto dei principi generali del nostro ordinamento giuridico. In particolare, è stato subito segnalato che le sanzioni previste dal comma 1 dell’art. 75-bis sono sovrapponibili con quelle che il codice di procedura penale pone sotto la disciplina della misure cautelari personali coercitive non restrittive. Ma mentre le ultime sono assoggettate alle garanzie procedimentali e difensive previste dagli artt. 299 e ss. del codice di rito, non così avviene per le sanzioni previste dalla legge sugli stupefacenti.